Corte di Cassazione sentenza n. 15631 del 15 luglio 2011
LAVORO A TEMPO DETERMINATO – IPOTESI DI ASSUNZIONI A TERMINE PREVISTE DALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA IN BASE ALL’ART. 23 LEGGE N. 56/1987 – MANCATA INDICAZIONE DEL LAVORATORE SOSTITUITO – NULLITA’ DEL CONTRATTO PER DIFETTO DI FORMA
massima
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In materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati regolata dall’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 e non dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, la mancata indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non comporta alcuna nullità del contratto per difetto di forma né la conseguente conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, non essendo la nullità per difetto di forma prevista dalla legge applicabile al rapporto “ad substantiam”, stante il principio di tassatività della forma vigente nel nostro ordinamento.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 4.7.2006, accoglieva l’appello incidentale dei lavoratori e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata decisione di primo grado, per il resto confermata, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto con decorrenza dal 15.6.1998, stipulato dalla S.p.a. P.I. con la G., e di quello apposto al contratto con decorrenza dal 6.7.1998, stipulato con il C., entrambi ai sensi dell’art. 8 ccnl 1994 per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, ed accertava per ciascuno dei lavoratori l’intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società, dalle date sopra indicate.
Assumeva la Corte territoriale che non era sufficiente la notorietà della circostanza secondo la quale nel periodo suddetto i lavoratori concentrano la fruizione delle ferie, occorrendo verificare se oggettivamente sussisteva presso l’ufficio di adibizione del lavoratore a termine una carenza di organico determinata dalla fruizione delle ferie per il personale in servizio e che nulla aveva provato o chiesto di provare la società al riguardo.
Propone ricorso per cassazione la società, affidando l’impugnazione a due motivi.
Resistono con controricorso i lavoratori. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.), in relazione alla L. 230/1962, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c. ) in relazione all’art. 23 L. 56/87, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1362 e ss c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.). Richiama le sentenze nn. 167/2006 e 1074/2006 di questa Corte e formula quesiti di diritto, domandando se l’art. 23 L. 56/87 conferisce una e propria delega in bianco, non essendo i sindacati vincolati all’individuazione di ipotesi omologhe a quelle previste dalla legge, sicché deve prescindersi dalla necessità di individuare forme di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a specifiche condizioni oggettive e/o soggettive dei lavoratori, e chiedendo di pronunziarsi in ordine alla portata dell’art. 8 ccnl 1994, che non parla di sostituzione di dipendenti assenti, ma precisa unicamente il periodo per cui l’autorizzazione è concessa, cosicché la necessità nel periodo è stata dalle parti stipulanti considerata sempre sussistente, unico presupposto richiesto dalla norma essendo quello che l’assunzione avvenga nel periodo individuato dalla contrattazione collettiva.
Con il secondo motivo, la società denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione agli artt. 1217 e 1233 c.c. e, richiamando la sentenza di questa Corte n. 14381/02, chiede affermarsi il principio di diritto secondo cui, per la regola di corrispettività delle prestazioni, il lavoratore ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore, offrendo espressamente la prestazione lavorativa.
Il ricorso è fondato quanto al primo motivo, con il quale si rivolge censura contro la affermazione della nullità del termine in relazione alla causale riguardante “le esigenze di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”.
Sul punto, premesso che, con riferimento a tale causale, in particolare già Cass. 13-6-2005 n. 12632 ha affermato che “in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati regolata dall’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 e non dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, la mancata indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non comporta alcuna nullità del contratto per difetto di forma né la conseguente conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, non essendo la nullità per difetto di forma prevista dalla legge applicabile al rapporto “ad substantiam”, stante il principio di tassatività della forma vigente nel nostro ordinamento”.
Nel contempo, più in generale, si è consolidato l’indirizzo secondo cui l’art. 23 della legge 56/1987 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo” (v. fra le altre Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In specie, poi, questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie simile a quella in esame (anche se con riferimento alla analoga precedente previsione collettiva ex art. 8 CCNL 26.11.1994, relativa alla “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre”) ha cassato la sentenza di mento che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.
In particolare, la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie, ponendosi in contrasto col principio di diritto della “delega in bianco” enunciato dalle Sezioni Unite.
Altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, sempre con riferimento alla precedente analoga previsione collettiva) hanno confermato la decisione di merito che aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.
Tale orientamento va confermato anche con riferimento alla nuova previsione collettiva contenuta nell’art. 25 del CCNL del 2001 (che, del resto, parimenti non prevede alcun obbligo di indicazione nel contratto individuale del nominativo del dipendente da sostituire).
La tesi interpretativa accolta nell’impugnata sentenza, infatti, si muove pur sempre nella (erronea) prospettiva che il legislatore non avrebbe conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla legge n. 230 del 1962 (v. fra le altre Cass. 12-3-2008 n. 6658).
Pertanto, ritenuto che le ragioni per le quali la apposizione del termine ai contratti in esame è stata ritenuta illegittima sono basate su una violazione di legge che ha, altresì, comportato una interpretazione errata della norma collettiva de qua, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va decisa nel merito, con il rigetto delle domande introduttive proposte dalla G. e dal C.
La questione prospettata con il secondo motivo ed attinente al quantum del risarcimento è, all’evidenza, assorbita.
Infine, in considerazione della parziale novità delle questioni trattate, in effetti risolte tutte soltanto di recente in sede di legittimità, ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande di cui ai ricorsi introduttivi.
Compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in ROMA, il 9.6.2011
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