CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 giugno 2013, n. 15640
Tributi – Credito d’imposta per l’incremento dell’occupazione – Art. 7, Legge n. 388/2000 – Limiti – Superamento della soglia comunitaria de minimis
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 186/9/2007 del 29/11/2007, depositata in data 31/01/2008, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, Sezione Staccata di Pescara, respingeva, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 6/12/2006, dall’Agenzia delle Entrate Ufficio Centro Operativo di Pescara, avverso la decisione n. 370/01/2005 della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, che aveva accolto un ricorso proposto dalla società (…) con sede in Firenze, contro tre provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate Centro Operativo di Pescara di diniego delle istanze, presentate nel maggio 2004, della (…) di riconoscimento, per il triennio 2004/2006, di un maggior credito di imposta, pari ad € 1.935.908,00 (laddove la Circolare ministeriale n. 11/E del 13/02/2003 limitava invece il suddetto credito di imposta, ad € 100.000,00, applicando la cd. regola comunitaria “de minimis”, prevista dal Regolamento CE n. 69/01, art. 2, in relazione all’art. 107 – già 87 – par. 1 Trattato CE, sugli aiuti di Stato) per l’incremento dell’occupazione, nei territori dell’Abruzzo e Molise, ai sensi dell’art. 63 L. 289/2002, contenente proroga degli incentivi alle assunzioni già accordati sotto forma di credito di imposta dall’art. 7 L. 388/2000.
La Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo respingeva il gravame dell’Agenzia, correggendo in motivazione la sentenza impugnata, in quanto rilevava che, da un lato, l’incentivo oggetto del contenzioso non rappresentava un aiuto di Stato, ex art. 87 Trattato CE, non tanto perché rivolto a proteggere determinate categorie di lavoratori svantaggiati (come ritenuto dai giudici di primo grado) anziché le imprese, quanto perché l’agevolazione non era selettiva, essendo accordata, pur limitatamente ad alcuni territori, in via indifferenziata (“non essendo subordinata al riscontro di determinati requisiti dimensionali dell’ impresa o di determinati requisiti soggettivi del lavoratore”) “a favore di tutte le imprese che effettuano nuove assunzioni nel territorio nazionale ed, in maggiore misura, alle imprese operanti in talune regioni”, e che, dall’altro lato, il rinvio operato dall’art. 63 citato all’art. 7 comma 10 l. 388/2000 andava “disapplicato, in ragione della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno”.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo tre motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art.360 n. 3 c.p.c. (Motivo 1, in relazione all’art. 63 comma 1 lett. a) l. 289/2002 e 7 comma 10 l. 388/2000 ed allo specifico rinvio operato dalla prima disposizione alla seconda, cosicché con la legge successiva doveva intendersi prorogata “la medesima struttura del credito di imposta per l’incremento dell’occupazione di cui alla l. 388/2000”, con assoluta identità dei due regimi agevolativi; Motivo 3, in relazione agli stessi articoli letti in rapporto agli artt. 87 e 88 Trattato CE, 2 Regolamento CE n. 69/2001 e 10 Cost., essendo detti incentivi degli aiuti di Stato quali benefici fiscali selettivi, a favore delle sole imprese operanti in specifici ambiti territoriali, cosicché gli aiuti diversi da quelli “de minimis”, implicitamente autorizzati in ragione della loro scarsa consistenza economica che ne lascia presumere l’inidoneità a produrre effetti distorsivi della concorrenza, sono sottoposti all’obbligo di notificazione), nonché per contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (Motivo 2, in relazione alla disapplicazione del rinvio recettizio all’art. 7 l. 388/2000 operato dall’art. 63 l. 289/2002). Ha resistito la (…) con controricorso, anche eccependo l’inammissibilità del ricorso, per difetto della procura speciale all’Avvocatura Generale dello Stato e per tardivo deposito dell’istanza di trasmissione di cui all’art. 369 c.p.c. ult. comma, nonché per violazione del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. La società controricorrente ha anche depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Vanno anzitutto respinte le due eccezioni pregiudiziali di parte controricorrente, essendo entrambe infondate.
Quanto alla prima eccezione – quella relativa al difetto di conferimento di procura generale – è sufficiente rammentare come à sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 1, comma 2, gli Avvocati dello Stato non abbisognino del rilascio di procura speciale. Ed anche se, all’evidenza, un negoziale incarico difensivo deve essere stato dato. Sol che, appunto ex lege, non devesi rilasciare procura processuale. E con la ulteriore illazione per cui non viene violato l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 5, che prescrive l’indicazione della ridetta procura speciale se conferita per atto separato (Cass. sez. un. n. 2320 del 2005; Cass. n. 14785 del 2011).
Quanto alla seconda eccezione – quella relativa alla violazione dell’art. 369 c.p.c. per tardivo deposito dell’ istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio – va osservato che il termine perentorio in parola è quello di giorni venti dalla notificazione del ricorso, che nella specie è tempestivamente avvenuto in data 18.3.2009. E cosicché l’istanza di trasmissione, depositata in data 23.3.2008 (verifica), è tempestiva (Cass. n. 5108 del 2011; Cass. n. 729 del 2003; anche per l’affermazione che non devesi comunque procedere a declaratoria di improcedibilità quando il fascicolo d’ufficio non sia indispensabile, su di cui Cass. Sez. un. n. 12167 del 2003 e Cass. sez. un. n. 7869 del 2001).
Nel merito, la ricorrente lamenta con il primo motivo la violazione dell’art. 63 l. 289/2002, in rapporto all’art. 7 l. 388/2000, avendo i giudici non correttamente valutato la sostanziale identità dei regimi agevolativi, mediante il richiamo integrale della seconda disposizione alla prima, e la conseguente applicazione anche agli aiuti in esame, di natura selettiva, della regola “de minimis”. Il motivo, assorbente rispetto agli altri due, è fondato.
Sulla “quaestio iuris” della misura del “credito d’imposta” di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 63″, in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria, deve ribadirsi il principio espresso nella richiamata sentenza n. 21797 del 2011 (cfr. di recente Cass. 7361 e 7362/2012 e, sull’art. 7 l. 388/2000, Cass. 17440-17441 del 2012, Cass.12869/2012 e Cass.12635/2012) secondo cui la “L. n. 289 del 2002, art. 63, comma 1”, “nel rinnovare il regime di incentivi alle assunzioni, già disposto con la L. n. 388 del 2000, art. 7”, “ha mantenuto esplicitamente ferme, per quanto non diversamente regolato, le disposizioni di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 7”: “per le assunzioni di cui alle lett. a) e b)”, infatti, giusta la successiva lettera “c)”, “rimangono ferme … le disposizioni di cui alla citata L. n. 388 del 2000, art. 7”, quindi tutte le “disposizioni” di detta norma, anche quella del comma 10 secondo la quale “all’ulteriore credito di imposta di cui al presente comma si applica la regola de minimis di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità europee 96/C68/06, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C68 del 6 marzo 1996, e ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della predetta comunicazione purché non venga superato il limite massimo di L. 180 milioni nel triennio”. La piana lettura di quest’ultima disposizione pone in luce l’assoluta irrilevanza della normativa comunitaria (Regolamento 12 gennaio 2001 n. 69 della Commissione relativo “all’applicazione degli arte 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti d’importanza minore (“de minimis”)” sugli “aiuti di stato” nonché di quella Regolamento 5 dicembre 2002 n. 2204 della Commissione “relativo all’applicazione degli artt. 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione” sugli incentivi per incrementi occupazionali), atteso che “il criterio comunitario de minimis” è stato espressamente adottato (“in via di rinvio alla relativa fonte normativa”) dal legislatore nazionale, “nel legittimo esercizio dei suoi poteri discrezionali”, quale tetto massimo (“misura limitata”) dell’ “ulteriore credito d’imposta in rassegna” che ha inteso attribuire ai “datori di lavoro”.
La stessa norma nazionale limita dunque al “criterio comunitario cd. de minimis” la misura massima dell’ “ulteriore credito d’imposta” di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 63, cosicché l’ammontare massimo dello stesso è stato legislativamente determinato in misura corrispondente alla regola comunitaria. Stante l’erroneità della sentenza impugnata la stessa deve essere, di conseguenza, cassata. La causa, involgente solo la questione giuridica esaminata, non necessita di accertamenti ulteriori in fatto e, perciò, si sensi dell’art. 384 c.p.c., deve essere decisa nel merito da questo giudice di legittimità con il rigetto del ricorso di primo grado della contribuente, non avendo questa diritto, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 63, ad un credito di imposta maggiore. Le spese processuali dell’intero giudizio, atteso il consolidarsi della giurisprudenza in epoca successiva alla proposizione del ricorso per cassazione, vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, quanto al primo motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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