CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 giugno 2013, n. 15651
Tributi – Studi di settore – Consulente pensionato che percepisce royalties elevate – Inappicabilità degli standard
Svolgimento del processo
Con ricorso diretto alla CTP di Milano M. M. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate di RHO, in applicazione dei parametri previsti dall’art. 3, comma 81 e ssg, L. 549/95 e DPCM 29-1-1996, aveva elevato i ricavi (da lire 62.000.000 a lire 91.806.000) e quindi il reddito di lavoro autonomo dichiarato per l’anno di imposta 1995 (da lire 5.123.000 a lire 34.029.000), con conseguente maggior IRPEF e maggior IVA, oltre sanzioni.
A sostegno del ricorso deduceva l’omessa ed insufficiente motivazione dell’accertamento nonché l’erronea applicazione dei parametri, in quanto l’attività prevalente non era quella di consulente, ma quella (il cui ricavo era infatti superiore) derivante dall’utilizzazione economica di invenzioni industriali.
L’adita CTP accoglieva il ricorso.
Con sentenza depositata il 18-11-2005 la CTR Lombardia, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, affermava la legittimità dell’avviso di accertamento; in particolare la CTR rilevava: che l’art. 3, comma 181 lett. a) L. 549/1995 prevedeva espressamente l’applicabilità dei parametri in questione ai redditi derivanti da arti e professioni, e non a tutti gli altri redditi da lavoro autonomo (come i redditi derivanti dall’utilizzazione economica di invenzioni industriali), sicché non poteva essere accolta la tesi del contribuente; che, nel merito, il contribuente, in sede di contradditorio, non aveva fornito alcuna giustificazione in ordine ai minori ricavi dichiarati rispetto a quelli accertati, essendosi infatti limitato ad affermare che i parametri in questione non erano applicabili in quanto l’attività non era prevalente.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione il contribuente, affidato a sette motivi; resistevano il Ministero e l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il contribuente deduceva la nullità della sentenza per omessa pronuncia relativamente al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado; al riguardo rilevava che la CTP aveva ritenuto l’accertamento privo di motivazione e che l’Ufficio non aveva in alcun modo censurato con il gravame siffatta conclusione, sicché sul punto la sentenza di primo grado doveva ritenersi passata in giudicato; la CTR, tuttavia, nulla aveva statuito al riguardo, con conseguente vizio di omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c.
Con il secondo motivo il contribuente deduceva insufficiente motivazione relativamente al ragionamento del Giudice di primo grado (omessa considerazione del fatto che era stata censurata la mancanza di attività istruttoria); al riguardo rilevava che la CTP aveva annullato l’atto di accertamento non solo perché i parametri non potevano applicarsi all’attività professionale (come erroneamente affermato dalla CTR) ma anche per altri motivi ( l’accertamento non conteneva alcuna indicazione sul motivo per il quale l’ufficio avesse ritenuto prevalente l’attività di lavoro autonomo; l’accertamento non faceva alcun riferimento alle ragioni addotte dal contribuente in sede di contradditorio ed alla documentazione ivi prodotta; l’Ufficio aveva ignorato le caratteristiche dell’attività svolta in concreto).
Con il terzo motivo il contribuente deduceva la nullità della sentenza per omessa pronuncia relativamente alla tipologia dei costi sostenuti e dell’attività svolta (contribuente in pensione), con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.; al riguardo rilevava che la CTR nulla aveva statuito con riferimento alla dedotta questione concernente le modalità con cui l’attività era stata in concreto svolta (dal riepilogo delle somme percepite negli anni 1989/1999 emergeva che l’attività professionale non era la fonte di reddito principale ma il frutto della saltuaria consulenza fornita dal contribuente alle industrie interessate).
Con il quarto motivo, proposto in via subordinata al primo, deduceva la nullità della sentenza per omessa pronuncia relativamente alla carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, emesso senza alcuna considerazione dell’effettiva situazione personale del contribuente.
Con il quinto motivo deduceva la nullità della sentenza per omessa pronuncia relativamente alla dedotta carenza di prova dell’accertamento, basato esclusivamente sui parametri.
Con il sesto motivo il contribuente deduceva violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 181 e 183 L. 549/1995, art. 39 dpr 600/73 e DPCM 29-1-1996; al riguardo deduceva che i parametri erano stati applicati in modo acritico, senza tenere conto dell’effettiva situazione personale di esso contribuente, che, in sede di contradditorio e nel ricorso introduttivo, aveva affermato di non avere dipendenti, di essere pensionato, di svolgere l’attività di consulenza in modo del tutto episodica e di percepire annualmente ingenti somme a titolo di royalties derivanti dalla concessione di brevetti industriali di sua proprietà.
Con il settimo motivo il contribuente deduceva la nullità della sentenza per omessa pronuncia relativamente alla disapplicazione del DPCM 29-1-1996, che, quale atto di formazione secondaria, , doveva essere assunto nel rispetto della procedura di cui all’art. 17 L. 400/1988 e, quindi, con il prescritto parere del Consiglio di Stato e la preventiva comunicazione del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Siffatto motivo, di natura preliminare e quindi, dal punto di vista logico, da esaminare con precedenza rispetto agli altri, è infondato.
Ed invero, per costante e condiviso principio di questa Corte, “in tema di accertamento tributario, il D.P.C.M. 29 gennaio 1996 (sulla “Elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta”, determinati ai sensi dell’art. 3, comma 181, della legge 28 dicembre 1995, n. 549) non viola l’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, per essere stato emanato senza il parere preventivo del Consiglio di Stato, in quanto non è un atto di natura regolamentare – né attuativo di legge, ai sensi del primo comma, né delegificante, ai sensi del comma 2, non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella legislativa, attribuita all’amministrazione, e non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili” (Cass. 16255/2010).
In ordine agli altri motivi, tutti sostanzialmente incentrati sulla legittimità dell’avviso di accertamento fondato sui parametri in questione e sulla mancata considerazione, da parte dell’Ufficio e della sentenza impugnata, delle situazione concreta del contribuente, va precisato che, in base al noto principio pronunciato in argomento da questa Corte a sez. unite nella sentenza 26635/2009, “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici…”.
L’impugnata decisione non ha fatto corretto uso di siffatto principio, atteso che la stessa appare fondata esclusivamente sul valore presuntivo dei parametri e nulla afferma in ordine alle specifiche giustificazioni del contribuente, che, invero, al fine di motivare lo scostamento tra quanto dichiarato e quanto accertato in base ai parametri, ha dedotto di svolgere del tutto episodicamente l’attività di consulenza, in quanto pensionato e titolare di royalties e brevetti.
Alla stregua di quanto sopra, pertanto, va cassata la impugnata sentenza e va rinviato, per un nuovo giudizio che faccia applicazione del su riportato principio, alla CTR Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alle regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il settimo motivo; accoglie gli altri; cassa in relazione ai motivi accolti l’impugnata sentenza e rinvia per nuovo esame e per provvedere alle spese del presente giudizio di legittimità, alla CTR Lombardia, diversa composizione.
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