CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 giugno 2013, n. 16232
Lavoro subordinato – Estinzione del rapporto – Licenziamento illegittimo – Reintegra – Nuova sede di reintegra del dipendente – Accordi integrativi – Benefici economici aggiuntivi – Risarcimento del danno
Svolgimento del processo
Con sentenza dell’11 dicembre 2008 pubblicata il 17 dicembre 2009 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Latina del 20 dicembre 2005 che ha rigettato il ricorso proposto da R. nei confronti della N. Italia s.p.a. ed inteso ad ottenere la condanna di tale società al pagamento in suo favore delle differenze retributive conseguenti al riconoscimento del proprio diritto al superiore inquadramento, al risarcimento del danno da dequalificazione professionale e del danno biologico, al pagamento di differenze retributive a titolo di superminimo individuale e l’assegno ad personam di cui all’accordo del 26 febbraio 1993. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando che il R., già in servizio presso lo stabilimento A. Scavi s.p.a. di Scafati, era stato due volte licenziato in forza di licenziamenti collettivi dichiarati in entrambi i casi illegittimi, e definitivamente riassunto presso la diversa unità produttiva di Latina dove il trattamento economico era superiore rispetto a quello goduto in precedenza, ma il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto al trattamento economico che avrebbe ottenuto se avesse continuato a lavorare nel posto in cui prestava la propria attività al momento del licenziamento illegittimo e non a quello, eventualmente superiore, goduto presso la sede ove è stato successivamente effettivamente reintegrato. La Corte romana ha pure ritenuto infondata la domanda intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto al superiore inquadramento considerando l’attività istruttoria svolta,dalla quale è emerso che il R. ha svolto mansioni di riparatore di cavi telefonici di bassa tensione, mentre la declaratoria del livello invocato, prevede, nell’esemplificazione, il riparatore di cavi di alta tensione.
Il R. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la N. Italia s.p.a. eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione per inesistenza insanabile della notificazione del ricorso per cassazione.
La N. Italia s.p.a. ha presentato memoria.
Motivi della decisione
Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla N. Italia per la dedotta inesistenza della notifica eseguita presso lo studio dell’avv. M. M. del Foro di Roma, ancorché questi non avrebbe mai avuto alcun collegamento con il giudizio, con la sentenza impugnata ovvero con la posizione processuale della società rispetto al R.. L’eccezione non è fondata in quanto la notifica del ricorso è stata correttamente eseguita presso l’avv. Olimpio Stucchi, difensore della N. Italia come risulta dalla relata di notifica, a nulla rilevando che la notifica sia stata eseguita presso l’indirizzo di Roma dell’avv. Stucchi corrispondente allo studio dell’avv. M.. D’altra parte la stessa costituzione della società dimostra che questa è venuta a conoscenza del ricorso, e la sua costituzione comunque sanerebbe ogni vizio della notifica che, tuttavia, come detto, non è esistente.
Con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, degli artt. 18 legge 300 del 1970, e 2099 cod. civ. ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., e insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. Si deduce, in particolare, che la tutela reale prevista dall’art. 18 della legge 300 del 1970 implica la corresponsione di tutti compensi che sarebbero spettati al lavoratore se avesse continuato a lavorare nel sito produttivo nel quale è stato poi reintegrato, anche con riferimento alle indennità che presuppongono l’effettivo svolgimento della prestazione.
Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, dell’art. 13 della legge 300 del 1970, 2103 cod. civ., 2028 cod, civ., del CCNL “Gomma e plastica” del 2 luglio 1992 e successivi rinnovi contrattuali, ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ., e insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si lamenta che dall’istruttoria svolta sarebbe emerso lo svolgimento di mansioni corrispondenti ai livelli G ed H del CCNL di categoria, non essendo rilevante la differenza fra riparatore di cavi di alta tensione o bassa tensione come invece ritenuto dal giudice di merito.
Il primo motivo è infondato. Correttamente la Corte d’appello ha osservato che ove venga soppressa l’unità produttiva, la reintegrazione non può che essere riferita genericamente all’azienda del datore di lavoro, cui spetta il potere di individuare la nuova sede di lavoro e che, conseguentemente, stante l’insussitenza di posti ove riprendere lo svolgimento delle ultime mansioni, o di altre equivalenti, presso lo stabilimento di Pagani, la società N. Italia ha potuto operare legittimamente la reintegrazione altrove e segnatamente, presso l’unità produttiva di Latina (Cass. n. 8364/2004; Cass. 12123/2002). Ciò non esclude affatto, però, che fintanto che tale scelta non sia stata effettivamente compiuta, al lavoratore reintegrando, essendo la mancata prestazione dell’attività lavorativa imputabile a fatto della datrice di lavoro, competa il diritto al risarcimento del danno che, salvo prova contraria, deve presumersi di entità pari al coacervo delle utilità che lo svolgimento della prestazione lavorativa avrebbe comportato. Per risarcire il lavoratore da reintegrare deve aversi riguardo al trattamento economico che avrebbe ottenuto se avesse continuato a svolgere le sue consuete prestazioni e dunque, alla “retribuzione globale di fatto” che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento, giacché in tal modo si realizza la “fìctio” in cui il ripristino del rapporto si compendia.
Invece, l’esercizio dello “ius variandi” costituisce una mera eventualità, come tale idonea a recidere il rapporto di consequenzialità necessaria tra tutela riprìstinatoria e parametrazione dell’obbligazione retributiva sulla posizione lavorativa ripristinata, almeno fino a quando, avvenuta la reintegrazione o contestualmente ad essa, tale eventualità non si concretizzi, attraverso una specifica disposizione del datore di lavoro. Sicché, essendo pacifico che il lavoratore è stato reintegrato presso lo stabilimento di Latina il 19 gennaio 1998 dove trovava applicazione un accordo aziendale che prevedeva benefici economici aggiuntivi, la pretesa del S R di ottenere, seppure in forma risarcitoria, il trattamento economico in essere per il personale dipendente in servizio presso lo stabilimento di Latina, anche per il periodo precedente all’effettivo esercizio, da parte della società appellante, della facoltà di individuazione della sua nuova sede di lavoro, è del tutto priva di fondamento. Egli, al pari degli altri dipendenti in servizio presso lo stabilimento di Latina, aveva diritto ai benefici economici previsti dal citato accordo aziendale soltanto dal momento della sua assegnazione a tale stabilimento in luogo della reintegrazione nell’originatio posto di lavoro, in concreto non più possibile. Correttamente pertanto la Corte d’appello ha ritenuto che la società ricorrente era tenuta al pagamento di tali benefici, in effetti corrisposti, soltanto a partire dall’assegnazione del lavoratore allo stabilimento di Latina. Fermo restando il risarcimento del danno per il periodo pregresso calcolato secondo i criteri dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 (per una fattispecie identica vedi anche Cass. 3 aprile 2013 n. 8124).
Il secondo motivo è inammissibile perché investe, da un lato l’interpretazione di clausole contrattuali riservate al giudice di merito, quale accertamento di fatto censurabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e dei vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, dall’altro il giudizio sull’accertamento istruttorio parimente riservato al giudice del merito. Nel caso in esame la Corte territoriale ha dato adeguato conto sia dell’interpretazione del contratto collettivo relativo ai livelli in questione, sia dell’accertamento delle mansioni svolte dal lavoratore, con motivazione compiuta e logica che resiste ad ogni censura di legittimità.
Il ricorrente soccombente va condannato al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 50,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.
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