CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 luglio 2013, n. 16692
Tributi – Imposte indirette – Iva – Rimborso – Termine sancito dalla circolare ministeriale – Irrilevanza
Ritenuto in fatto.
1. Con sentenza n. 16/10/07, depositata il 9.2.07, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Roma 6 avverso la decisione di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla P. und V. G., con sede legale in Austria, nei confronti del provvedimento dì diniego di rimborso dell’IVA relativo all’anno 2000, emesso dall’Amministrazione finanziaria, in data 10.4.03.
2. La CTR – in riforma della decisione di primo grado -riteneva, invero, che la domanda di rimborso – presentata dalla contribuente in data 2.7.01 – fosse tardiva, ai sensi degli art. 7 dell’VIII Direttiva CEE n. 1072/79 e 1 del D.M. 20.5.82, cui rinvia l’art. 38 ter del d.P.R. 633/72, per cui la medesima era da considerarsi decaduta dal diritto al rimborso di imposta.
3. Per la cassazione della sentenza n. 16/10/07 ha proposto ricorso la società G. P. und V. G. articolando quattro motivi, ai quali l’Agenzia delle Dogane ha replicato con controricorso.
Considerato in diritto
1. In data 2.7.01, la G. P. und V. G., società di diritto austriaco esercente l’attività di fabbricazione di macchinari industriali per la lavorazione del vetro, presentava domanda di rimborso, ai sensi dell’art. 38 ter d.P.R. 633/72, dell’IVA assolta nell’anno 2000. A tal fine, l’istante deduceva che i predetti macchinari venivano regolarmente ceduti a clienti italiani, dietro corrispettivo comprensivo anche dell’installazione, eseguita – per suo conto – da una società italiana, la quale provvedeva, di poi, ad emettere fattura con addebito di IVA nei confronti della committente austriaca. Quest’ultima provvedeva, pertanto, a richiedere il rimborso dell’imposta pagata all’Amministrazione finanziaria italiana nell’anno in questione, in forza della disposizione succitata, essendo l’istante un società che non possiede una stabile organizzazione in Italia, che è priva dì rappresentante ai fini IVA ex art. 17 d.P.R. 633/72, e che, nel corso dell’anno 2000, non aveva compiuto in Italia alcuna cessione di beni o prestazione di servizi.
1.1. La domanda dì rimborso veniva, peraltro, rigettata dall’Amministrazione finanziaria con provvedimento del 10.4.03, sul presupposto della sua tardività, essendo stata presentata – non nel termine di legge con scadenza il 30.6.01 – bensì soltanto in data 2.7.01, ovverosia oltre il termine semestrale previsto dagli art. 7 dell’VIII Direttiva CEE n. 1072/79 e 1 del D.M. 20.5.82, cui rinvia l’art. 38 ter del d.P.R. 633/72.
1.2. Il successivo ricorso nei confronti il provvedimento di diniego, proposto in sede giurisdizionale dalla società estera, accolto in prime cure, veniva rigettato in grado di appello dalla CTR del Lazio, con sentenza n. 16/10/07, avverso le cui statuizioni la G. P. und V. G. ricorre per cassazione, sulla base di quattro censure.
2. Con il primo motivo di ricorso, la suddetta società denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 ter del d.P.R. 633/72, 1 del D.M. 20.5.82, 7 dell’VIII Direttiva CE n. 1072/79, 152 c.p.c. e 21 d.lgs. 546/92, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
2.1. Osserva la ricorrente che del tutto erroneamente la CTR avrebbe ritenuto il termine di sei mesi, previsto dagli artt. 38 ter del d.P.R. 633/72, 1 del D.M. 20.5.82, e 7 dell’VIII Direttiva CE n. 1072/79, fosse un termine perentorio, laddove l’unico termine di decadenza in materia di rimborsi IVA sarebbe quello biennale – peraltro, rispettato dalla società austriaca – previsto dall’art. 21 del d.lgs. n. 546/92. D’altro canto, ritenere applicabile in subiecta materia, per i soli soggetti non residenti, un termine decadenziale più ristretto rispetto a quello dettato per le istanze di rimborso dello stesso tributo proposte dai soggetti residenti, si tradurrebbe – a parere della ricorrente – in “una violazione dei principi comunitari di non discriminazione e di equivalenza”.
2.2. Il motivo è infondato.
2.2.1. Va osservato, infatti, che il quadro normativo di riferimento, concernente la materia dei rimborsi IVA a soggetti non residenti, può essere – in sintesi – determinato come segue.
A norma dell’art. 7 della Direttiva CE n. 1072/79 la domanda di rimborso dell’imposta da parte dei soggetti passivi non residenti in Italia “deve essere presentata al servizio competente (…) entro i sei mesi successivi allo scadere dell’anno civile nel corso del quale l’imposta è divenuta esigibile”.
L’art. 16 del d.P.R. n. 793/81, quindi, allo scopo di adeguare la normativa nazionale alle Direttive comunitarie in materia, ha – dipoi – introdotto nel d.P.R. 633/72 l’art. 38 ter, che contiene la disciplina di base dell’esecuzione dei rimborsi a soggetti non residenti, rinviando, peraltro, ad un emanando decreto ministeriale di stabilire “le modalità e i termini relativi all’esecuzione dei rimborsi, le modalità e i termini per la richiesta degli stessi, nonché le prescrizioni relative al coordinamento tra i vari uffici IVA ai fini del controllo dei rimborsi”.
Tali disposizioni dì dettaglio sono state, infine, adottate con il D.M. 20.5.82, secondo cui, a decorrere dall’anno 1982, il rimborso in questione può essere richiesto, dai soggetti non residenti, per trimestri solari, “su istanza degli interessati da presentare entro il 30 giugno dell’anno solare successivo a quello cui il trimestre sì riferisce”.
2.2.2. Orbene, la disciplina succitata, comunitaria e nazionale, connotata dalla mancata previsione espressa della perentorietà del termine per la presentazione delle istanze di rimborso, aveva, peraltro, indotto non poche incertezze interpretative nella giurisprudenza di questa Corte, che avevano – di conseguenza – dato vita a due opposti indirizzi : il primo, nel senso della perentorietà del termine dì cui all’art. 7 dell’VIII Direttiva CE n. 1072/79 e, giocoforza, di quello previsto dalla normativa nazionale (art. 1 .D.M. 20.5.82) (Per tutte, Cass. 5559/05, 9142/05); il secondo, nel senso della non perentorietà di detti termini, con conseguente applicabilità del più ampio termine biennale di decadenza di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546/92 (ex plurimis, Cass. 7181/09, 23855/09).
2.2.3. La questione interpretativa è stata, quindi, chiarita definitivamente dalla Corte dì Giustizia della U.E., a seguito di rinvio pregiudiziale, ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, operato da questa Corte, con ordinanza n. 11456/11.
Ebbene, la Corte europea, muovendo dal rilievo secondo cui lo scopo dell’VIII Direttiva IVA è di armonizzare le legislazioni degli Stati membri in materia di rimborsi di imposta a favore dei soggetti non residenti, ha osservato che la previsione di un termine ordinatorio, da parte della legislazione comunitaria, avrebbe finito col consentire agli Stati membri di applicare la normativa nazionale in tema di prescrizione, non armonizzata a livello di Unione Europea. Ne sarebbe derivata l’applicabilità di termini di prescrizione diversi da uno Stato membro all’altro, in contrasto con la finalità dell’ottava Direttiva – enucleabile dal suo terzo considerando – di “por fine alle divergenze fra le disposizioni attualmente in vigore negli Stati membri”.
E comunque, quand’anche gli Stati non avessero fatto ricorso alla propria normativa nazionale in materia di prescrizione, ma si fossero rifatti esclusivamente al termine di cui all’VIII Direttiva, inteso come meramente ordinatorio, il risultato pratico sarebbe stato quello di consentire la possibilità di avanzare una richiesta di rimborso dell’IVA, da parte dei soggetti non residenti, sostanzialmente senza alcun limite temporale. Siffatto risultato sì sarebbe, tuttavia, posto in evidente contrasto con il principio della certezza del diritto, in forza del quale – secondo una consolidata giurisprudenza comunitaria (tra le più recenti, C. Giust. CE, 21.1.10, C-472/08) – la situazione tributaria del soggetto passivo di imposta non può essere posta indefinitamente in discussione.
La Corte ha concluso, pertanto, nel senso che il termine di sei mesi, previsto dall’art. 7 della Direttiva n. 1072/79, per la presentazione – da parte di un soggetto non residente all’interno del Paese – di un’istanza di rimborso dell’IVA, è un termine perentorio, stabilito, quindi, a pena dì decadenza dal diritto di proporre l’istanza in parola (cfr. C. Giust. CE, 21.6.12, C-294/11).
2.2.4. Da tutto quanto suesposto discende, dunque, con riferimento al caso di specie, che l’IVA, addebitata in Italia alla G. P. und V. G. nel corso dell’anno 2000, avrebbe dovuto essere chiesta dalla contribuente, a pena dì decadenza, entro e non oltre il 30.6.01, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva n. 1072/79 e 1 del D.M. 20.5.82, di guisa che, la domanda di rimborso presentata dalla predetta società soltanto in data 2.7,01 deve ritenersi – come correttamente affermato dalla CTR nell’impugnata sentenza – proposta fuori termine, e perciò tardiva; di conseguenza, la ricorrente non può che essere considerata decaduta dal diritto al rimborso in discussione.
3. Con il secondo motivo di ricorso, la G. Produk-tions und V. G. denuncia, peraltro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 ter d.P.R. 633/72, 1 del D.M. 20.5.82, 7 della Direttiva CE n. 1072/79 e 3 del Regolamento CEE- Euratom n. 1182/71, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Deduce, infatti, la ricorrente che il giorno di scadenza del suddetto termine per la presentazione dell’istanza di rimborso, ossia il 30.6.01, cadeva di sabato, per cui – a norma dell’art. 3, par. 4 del Regolamento CEE – Euratom n. 1182/71 – tale scadenza avrebbe subito, ope legis, un’automatica proroga al lunedì successivo e, quindi, al 2.7.01, giorno in cui la società austriaca aveva, per l’appunto, presentato l’istanza di rimborso in discussione. Per il che, a parere della ricorrente, quand’anche il termine semestrale suindicato, previsto dall’art. 7 dell’VIII Direttiva CE n. 1072/79, e riprodotto dal D.M. 20.5.82, fosse da considerarsi perentorio, detta istanza sarebbe stata, comunque, proposta nel pieno rispetto del termine in parola.
3.2. Il motivo è infondato.
3.2.1. Va, difatti, osservato che il regolamento CEE – Euratom n. 1182/71 – allo scopo dì stabilire norme generale e uniformi in materia di periodi di tempo, date e termini degli atti posti in essere dalle istituzioni comunitarie – distingue, in proposito, i “periodi di tempo”, oggetto degli artt. 2 e 3, dalle “date e termini”, oggetto degli artt. 4 e 5. Per quanto concerne i primi, dall’art. 3 del Regolamento in esame si evince, invero, che la nozione dì “periodo di tempo” riguarda un periodo espresso in ore, giorni, settimane, mesi od anni, senza riferimento ad una data o ad un evento determinato. Di contro, gli artt. 4 e 5 riguardano quegli atti che devono essere compiuti ad una data determinata, o entro un dato tempo, a partire da una data o da un evento, a loro volta, precisamente determinati (cfr., in tal senso, C. Giust. CE, 22.11.73, C-139/73).
3.2.2. Orbene, il Regolamento in esame prevede espressamente la proroga dei “periodi di tempo” che scadono di sabato, di domenica o in un giorno festivo, stabilendo al riguardo, all’art. 3, par. 4, che “se 1’ultimo giorno dei periodo di tempo espresso non in ore è un giorno festivo, una domenica o un sabato, il periodo di tempo termina con lo spirare dell’ultima ora del giorno lavorativo successivo”. Com’è sì desume con tutta evidenza dal tenore letterale della norma, la previsione in parola è, pertanto, applicabile ai soli “periodi di tempo”, esulandone del tutto la disciplina delle date e dei termini contenuta negli artt. 4 e 5 del Regolamento, per ì quali detta proroga non è in alcun modo prevista. Il che, del resto, si evince con chiarezza dall’art. 5, par. 1, laddove dispone che ” (…) le disposizioni dell’articolo 3, ad eccezione dei paragrafi 4 e 5, sì applicano quando un atto può o deve essere compiuto, in applicazione di un atto del Consiglio o della Commissione, ad un momento determinato”, D’altro canto, la ratio della succitata disposizione di proroga dei soli “periodi di tempo” si giustifica per 1’incertezza che potrebbe venire a determinarsi, in caso di scadenza del periodo in considerazione nel giorno di sabato o in un giorno festivo, per il fatto che, a norma dell’art. 3, par. 3, i “periodi di tempo” – salvo espressa esclusione – comprendono, per l’appunto, anche i giorni festivi, le domeniche e i sabati.
3.2.3. Ne discende che la data-limite entro la quale un determinato evento deve verificarsi, o un atto deve essere compiuto, rientra nella nozione dì “termine” di cui agli artt. 4 e 5 del Regolamento n. 1182/71, e non può essere considerata un “periodo di tempo” ai sensi dell’art. 3 (C. Gìust. 22.11.73, cit.), come tale assoggettabile a proroga a norma del co. 4 della medesima disposizione.
3.2.4. Premesso quanto precede in via di principio, è, pertanto, del tutto palese, a giudizio della Corte, l’errore in cui è incorsa la società ricorrente, laddove ha invocato la proroga al successivo giorno feriale, non della data di scadenza di un “periodo di tempo” – che può essere previsto per i fini più diversi dagli atti comunitari – bensì dì un termine di decadenza per il compimento di un atto (la richiesta di rimborso IVA) da compiersi entro una data determinata (30.6.01), in forza di un atto di una istituzione comunitaria (tale dovendo indubbiamente considerarsi la Direttiva n. 1072/79, che è un atto del Consiglio della Comunità Europea).
3.2.5. La censura in esame, pertanto, non può che essere disattesa.
4. Con il terzo motivo di ricorso, la G. P. und V. G. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
4.1. Si duole, invero, la ricorrente del fatto che la CTR abbaia omesso di pronunciarsi sulla questione, proposta dalla G. P. und V. G. nel giudizio di appello, concernente la pretesa nullità del provvedimento di diniego del rimborso IVA, poiché notificato alla contribuente oltre “il termine di sei mesi dalla data di presentazione della richiesta”, in violazione dell’art. 38 ter, co. 3 d.P.R. 633/72, che ha recepito analoga previsione di cui all’art. 7, n. 4 della Direttiva CE n. 1072/79. L’omissione determinerebbe, pertanto, a parere della ricorrente, la nullità dell’impugnata sentenza, per violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c.
4.2. La censura è infondata.
4.2.1. E’ bensì vero, infatti, che la questione in parola era stata sollevata con ì motivi di appello dalla società austriaca, come si evince dalla stessa impugnata sentenza (p. 4) , e tuttavia siffatta omissione non può comportare un accoglimento del ricorso con rinvio ad altro giudice, con riferimento al motivo de quo. Ed invero, il rilievo del vizio di omessa pronuncia su un motivo di appello può comportare la cassazione con rinvio dell’impugnata sentenza soltanto quando la questione di diritto, posta con il suddetto motivo, sia fondata, dovendo, in caso contrario, la Corte provvedere – alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, co. 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c. – ad integrare la decisione dì appello di rigetto, pronunciandosi nel merito della questione pretermessa, dì modo che la decisione da rendere venga a confermare il dispositivo della sentenza di secondo grado, determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito (ex plurimis, Cass. 2313/10, 5729/12).
Ebbene, non può revocarsi in dubbio, a giudizio della Corte, che nel caso di specie il motivo di ricorso, concernente la pretesa nullità e inefficacia del provvedimento di diniego, si palesi del tutto infondato.
4.2.2. Ed invero, la violazione del termine di sei mesi previsto dalla disposizione dell’art. 7 n. 4 della Direttiva 1072/79 e dalla derivata disposizione di cui all’art. 38 ter, co. 3 d.P.R. 633/72, stante il tenore letterale delle norme in questione, se, per un verso, non può incidere sul diritto del soggetto non residente di percepire il rimborso dell’IVA tempestivamente richiesto, per altro verso, non può – di per sé solo – determinare la nullità del provvedimento di diniego del rimborso, che si fondi sull’assorbente ragione della decadenza di detto soggetto dal diritto al rimborso medesimo, per mancato rispetto del termine perentorio per la relativa richiesta. In tale ultima evenienza, infatti, non è certo il ritardo nel comunicare la decisione negativa che può incidere sul diritto del contribuente, essendo tale diritto ormai definitivamente precluso, a monte, per effetto del ritardo nel proporre la relativa istanza.
La violazione di tale termine – inidoneo ad incidere sulla validità dell’atto di diniego – potrà, pertanto, al più integrare la responsabilità dello Stato per omessa attuazione della Direttiva comunitaria in parola, a seguito di apposita procedura di infrazione da parte delle istituzioni comunitarie competenti (cfr. C. Giust. 3.6.92, C-287/91).
4.2.3. Per tali ragioni, dunque, la proposta censura non può essere accolta.
5. Con il quarto motivo di ricorso, la G. P. und V. G. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
5.1. Deduce, al riguardo, la ricorrente che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione, riproposta dalla società austriaca in appello, relativa al legittimo affidamento della contribuente, tutelato dall’art. 10 della 1. 212/00 (Statuto del contribuente), che sarebbe stato determinato dalla circolare dell’Amministrazione finanziaria n. 203/E del 6.11.00. Tale circolare, invero, nello stabilire l’equiparazione del sabato ai giorni festivi, e nel disporre, pertanto, che tutte le scadenze che cadano di sabato debbano essere necessariamente differite al primo giorno lavorativo successiva, avrebbe creato una situazione di legittimo affidamento della contribuente estera, che avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione ad applicare le norme sull’istanza di presentazione del rimborso IVA in conformità alle istruzioni da essa stessa fornite con la succitata circolare. In difetto, il giudice di merito – e segnatamente quello di appello – avrebbe dovuto farsi carico di tale omessa tutela del legittimo affidamento della contribuente, dichiarando la nullità dell’atto di diniego sotto tale profilo. Per il che, l’omissione di pronuncia in proposito determinerebbe, ad avviso della ricorrente, la nullità dell’impugnata sentenza, per violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c. 5.2. Il motivo è infondato.
5.2.1. Pur dovendo, invero, rilevarsi che la CTR non si è in alcun modo pronunciata sulla questione in esame, tuttavia, come per la censura precedente, siffatta omissione non può determinare la cassazione della sentenza di appello con rinvio, essendo la questione stessa, a giudizio della Corte, palesemente infondata.
5.2.2. Ed invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte, le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, per cui, qualora il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’amministrazione in una circolare, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni, in base al principio dì tutela dell’affidamento, come ora espressamente sancito dall’art. 10, co. 2, della legge n. 212/00 (c.d. Statuto del contribuente), senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, secondo le modalità stabilite dalla legge che la disciplina. Per vero, la succitata norma dell’art. 10, a differenza di quella dell’art. 11 della medesima legge che prevede la nullità degli atti impositivi dell’Ufficio ogni qual volta il contribuente si sia adeguato ad un esplicito responso dell’Amministrazione finanziaria, motivatamente espresso in esito alla particolare procedura dell’interpello – non incide in alcun modo sulla validità degli atti dell’Amministrazione finanziaria, ma solo
– come dianzi detto – sulla non debenza delle sanzioni, in ipotesi applicabili al caso di specie (cfr. Cass. 2133/02, 19479/09, 21070/11, 3757/12).
5.2.3. Ne discende che, nel caso concreto, l’essersi la contribuente adeguata all’erronea interpretazione della normativa in materia di rimborsi IVA ai soggetti non residenti, fornita dall’Ufficio nella succitata circolare n. 203/E del 6.11.00, non può in alcun modo determinare – per i motivi suesposti – la nullità dell’atto di diniego del rimborso IVA adottato dalla stessa Amministrazione finanziaria.
6. Il ricorso della G. P. und Verfuhren-stechnìk G., per tutte le ragioni che precedono, non può, pertanto, che essere ricettato, con conseguente condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in € 12.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.