Corte di Cassazione sentenza n. 16772 del 02 maggio 2011
SICUREZZA SUL LAVORO – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO – MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI – INFORMAZIONE, FORMAZIONE, ADDESTRAMENTO
massima
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È responsabile il legale rappresentante di una società per lesioni personali colpose gravissime aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno di un lavoratore dipendente durante lo spostamento di alcuni carichi.
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FATTO – DIRITTO
L.F. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, riformando in melius quella di primo grado solo sul punto del beneficio della non menzione (che ha concesso), lo ha riconosciuto colpevole del reato di lesioni personali colpose gravissime aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno di C. F., lavoratore dipendente della società di cui il L. era il legale rappresentante e lo ha condannato alla pena di mesi tre di reclusione (il fatto è del ……).
Per quanto interessa, la Corte di merito, corrispondendo a specifico motivo di doglianza, escludeva il concorso di colpa del lavoratore infortunato, valorizzando in proposito gli esiti della perizia tecnica e le acclarate modalità di verificazione dell’incidente, quali desumibili dalle informazioni testimoniali e dalla planimetria del luogo, che deponevano per l’assenza di un comportamento imprudente del lavoratore.
In particolare si afferma che una volta verificato la possibilità del sollevamento del materiale e la sua traslazione di 90, del tutto legittimo era l’affidamento dell’operaio a ritenere che il peso dei pianali fosse stato equamente distribuito ed il materiale correttamente sostenuto dalle forche. L’infortunio era da attribuire al comportamento del datore di lavoro, per non avere questi disposto l’utilizzo di uno strumentario sicuro per l’effettuazione delle manovre di spostamento dei carichi e non avere comunque informato e formato adeguatamente il personale impegnato.
Per l’effetto, la Corte di merito riteneva congrua, in ragione del grado della colpa e della gravità degli esiti dell’infortunio, la pena detentiva già inflitta in primo grado.
Con un unico articolato motivo, l’imputato si duole del mancato riconoscimento del concorso di colpa del lavoratore, in termini tali da non avere consentito di ridurre la pena inflitta, se non addirittura applicando la sola pena pecuniaria.
Si ritiene che erroneamente non si era valorizzata la circostanza che nella fase di sollevamento e traslazione dei carichi gli addetti alla manovra avrebbero potuto e dovuto rendersi conto dello “scorretto aggancio” delle forche utilizzate per la movimentazione e non si era altresì tenuto conto del fatto che il lavoratore aveva finito con l’operare in una zona a rischio. Si evoca sotto tali profili un travisamento delle prove attraverso il riferimento alle dichiarazioni rese da due testi, tra cui quelle del lavoratore che operava con il C. al momento dell’incidente e si lamenta la manifesta illogicità della sentenza nella parte in cui, escludendo la condotta imprudente del C., affermava illogicamente che il lavoratore non poteva stare arretrato di tre-quattro metri così da porsi al sicuro da ogni rischio di caduta del carico trasportato. Tale affermazione contrasterebbe con il dato di comunissima esperienza che il mantenimento della distanza di sicurezza di tre – quattro metri non impedisce il controllo visivo della situazione.
E’ stata depositata memoria difensiva nell’interesse delle parti civili costituite con la quale è stata motivatamente richiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
La doglianza è manifestamente infondata, per la ragione che evoca una ricostruzione “in fatto” dell’incidente, ampiamente contraddetta, con motivazione immune da censure di illogicità, dal giudice di merito, tra l’altro in modo coerente con la conforme statuizione di primo grado.
Si evoca un travisamento della prova, basato su alcuni, parziali passaggi di deposizioni testimoniali, dimenticando il principio in forza del quale, in tema di ricorso per cassazione, alla luce della nuova formulazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come modificato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, è sì sindacabile il vizio di “travisamento della prova”, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un dato di conoscenza considerato determinante, ma non desumibile dagli atti del processo, o quando si omette la valutazione di un elemento di prova decisivo sullo specifico tema o punto in trattazione, tuttavia tale vizio può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, ma non nel caso in cui la sentenza di appello abbia confermato l’anteriore decisione (cosiddetta “doppia conforme”), posto in questo caso il limite posto dal principio devolutivo, che non può essere valicato, con coeva intangibilità della valutazione di merito del risultato probatorio, se non nell’ipotesi in cui il giudice di appello abbia individuato – per superare le censure mosse al provvedimento di primo grado – atti o fonti conoscitive mai prima presi in esame, ossia non esaminati dal primo giudice (Sezione 6, 10 maggio 2007, Contrada, non massimata sul punto).
Qui si è in presenza di una ricostruzione convergente, in primo e secondo grado, mentre il ricorso, al di là del richiamo al preteso travisamento, si limita a proporre una diversa e parziale lettura di alcuni elementi di prova, in termini improponibili in sede di legittimità.
In questa ottica non solo qui non può trovare accoglimento la pretesa diversa ricostruzione del ruolo del lavoratore nella verificazione dell’occorso, ma deriva, per quanto interessa, l’incensurabilità della determinazione afferente il trattamento sanzionatorio che, sulla base della affermata esclusione della colpa del lavoratore, ha ritenuto congrua la pena come già determinata in primo grado.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 500,00 (cinquecento) a titolo di sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende non emergendo ragioni di esonero, oltre alla rifusione delle spese per questo giudizio in favore delle costituite parti civili, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 500,00 in favore della cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese in favore delle parti civili costituite e liquida le stesse per C.F. in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge e per C.E., P.A. e C.P. in euro 3.200,00, oltre accessori come per legge.
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