CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 luglio 2013, n. 17054
Lavoro irregolare – Omessa contribuzione – Omessa iscrizione nel libro matricola – Verbale degli ispettori Inps – Validità – Limiti.
Fatto
La Commissione tributaria regionale dell’Emilia, con sentenza n. 125/01/07, depositata il 6.12.2007, in parziale accoglimento dell’appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Rimini 123/01/2006, rideterminava le sanzioni, nei confronti di V.C., titolare del bar ristorante P., per l’anno di imposta 2002, ai sensi dell’art. 3 L. 73/2002, in complessivi € 1650 (€ 1500 quale importo fisso nella misura minima prevista + € 150 per un giorno di scopertura), essendo stata accertata, da parte degli ispettori di vigilanza dell’Inps, a seguito di ispezione compiuta il 18/7/2002, la presenza di un lavoratore irregolarmente occupato e non registrato nel libro matricola.
Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate deducendo i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, D.L. 22/2/2002, n.12, convertito con modificazioni in L. 23/4/2002, n. 73, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c, ritenendo illegittimo il periodo da sanzionare sulla base dell’accertamento Inps effettuata ai fini dell’applicazione delle sanzioni per l’omessa contribuzione e omessa corresponsione del premio Inail, dovendo la sanzione amministrativa essere comminata per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione, salvo effettive concreta prova contraria a carico della parte datoriale;
b) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, D.L. 22/2/2002, n.12, convertito con modificazioni in L. 23/4/2002, n. 73, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c, ritenendo illegittimo la limitazione del periodo da sanzionare per lavoro irregolare sulla base dell’accertamento operato nel verbale dell’ Inps;
La società intimata si è costituita con controricorso.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 16.5.2013, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione
1. In ordine logico va esaminata, preliminarmente, l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice tributario a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art, due, comma uno D.lgs 546/1992.
Tale rilievo è infondato.
Se è vero infatti che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 130 del 2008, con cui è stata dichiarata la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 (come sostituito dalla L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2) nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative a tutte le sanzioni irrogate dagli Uffici finanziari, anche quando conseguano a violazione di disposizioni non aventi natura fiscale(quali quelle in esame), la presente controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass. S.U. 15846/2008), la pronuncia del giudice delle legge non può incidere su una situazione già esaurita, quale – nella specie – il giudicato implicito sulla giurisdizione formatosi a seguito della decisione di merito pronunciata in primo grado e non impugnata in sede d’appello in punto di difetto di giurisdizione, sebbene tale difetto fosse stato già rilevato dalla Corte Costituzionale con le ordinanze n. 34 e 35 del 2006 e 395/2007, che avevano sottolineato l’imprescindibile collegamento tra la giurisdizione del giudice tributario e la natura tributaria del rapporto.
L’interpretazione dell’art. 37 cod. proc. civ., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (“asse portante della nuova lettura della norma”), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24883 del 09/10/2008; cfr anche Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2067 del 28/01/2011; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26019 del 30/10/2008; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26019 del 30/10/2008; Il principio costituzionale della durata ragionevole del processo consente,quindi, come nella fattispecie, di escludere la rilevabilità davanti alla Corte di cassazione, del difetto di giurisdizione qualora sul punto si sia formato un giudicato implicito, per effetto della implicita pronuncia sul merito in primo grado e della mancata impugnazione, al riguardo, dinanzi al giudice di appello. È, quindi, inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità dalla Agenzia che, soccombente nel merito in primo grado, aveva appellato la sentenza del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 329, comma 2 cod. proc. civ.
2. I motivi del ricorso principale, stante la loro connessione logica, possono essere esaminati congiuntamente.
La sentenza della Corte Cost. 12.4.2005 n. 144 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, l’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 1992, n. 12, convertito in legge dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 72, nella parte in cui non ammette la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione.
L’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 3, comma 3, del di. 22 febbraio 2002, n. 12, conv. In legge 23 aprile 2002, n, 73 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 36 bis del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in legge 24 agosto 2006, n. 248) non richiede, da parte dell’Amministrazione, alcun onere di dimostrare l’effettiva durata del rapporto di lavoro irregolare, essendo sufficiente il mero accertamento dell’esecuzione di prestazione lavorativa da parte di soggetto che non risulti da scritture o da altra documentazione obbligatoria.
È, invece, specifico onere del datore di lavoro dimostrare l’effettiva durata della prestazione lavorativa per evitare che l’entità della sanzione pecuniaria sia determinata “ex lege”, “per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione (Sez. 5, Sentenza n. 21778 del 20/10/2011)
Fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel processo tributario, sussiste il potere di introdurre, per entrambe le parti, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali, possono concorrere a formare il convincimento del giudice, per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa.
Tuttavia non è sufficiente a provare la data di inizio del rapporto di lavoro la sola dichiarazione del dipendente, in mancanza di ulteriori elementi di prova che facciano ritenere plausibile tale affermazione, apparendo la motivazione sopra riportata del tutto insufficiente a dimostrare la data di effettivo inizio del rapporto di lavoro (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1960 del 10/02/2012).
La CTR ha ritenuto la valenza probatoria del verbale per essere basato su dichiarazioni delle parti e sull’osservazione diretta delle attività che si svolgevano all’interno del locale, effettuata dagli ispettori Inps al momento delle ispezione.
I verbali di accertamento dell’ispettorato del lavoro e dei funzionari ispettivi degli enti previdenziali, in materia di omesso versamento di contributi, fanno fede, fino a querela di falso, sulla loro provenienza dal pubblico ufficiale che li ha formati, nonché sui fatti che il medesimo attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti e possono,altresì, fornire utili elementi di giudizio, liberamente apprezzabili, in ordine agli altri fatti che i verbalizzanti abbiano dichiarato di aver desunto o attinto dall’inchiesta da essi svolta, ivi comprese le dichiarazioni di terzi tra cui vanno ricomprese anche le dichiarazioni dei lavoratori oggetto di indagine ispettiva (Cass. Sez. L, Sentenza n. 14158 del 02/10/2002)
Peraltro il verbale ispettivo da contezza unicamente della situazione riscontrata dagli ispettori al momento dell’accesso e non è finalizzato a individuare la durata dell’illecito ai fini della sanzione in questione, stante la presunzione (relativa) di retrodatazione dell’assunzione (superabile dal datore di lavoro), essendovi una evidente differenza tra i comparti normativi che regolano il recupero dei contributi previdenziali, la repressione degli illeciti connessi all’assunzione e le sanzioni di contrasto alla ed economia sommersa.
Non risulta, quindi, fornita dal datore di lavoro la prova contraria relativa all’effettiva data di inizio del rapporto di lavoro.
Va, conseguentemente accolto ìl ricorso, cassata senza rinvio l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo.
L’evolversi della giurisprudenza in epoca successiva alla presentazione del ricorso costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese dell’ intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.
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