Corte di Cassazione sentenza n. 17096 del 03 maggio 2011 

RAPPORTO DI LAVORO – MEDICO – REATO TRUFFA CONTINUATA – TIMBRATURA DEL CARTELLINO

massima

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 Il medico che esce per la pausa pranzo ma non timbra il cartellino marcatempo è considerato reo di truffa continuata ai danni di ente pubblico e di interruzione di pubblico servizio.

La presente pronuncia stabilisce che integra gli estremi del delitto di truffa continuata la falsa timbratura del cartellino di rilevazione delle presenze di un dipendente pubblico – rivelatosi a seguito di accertamento, assente dal posto di lavoro – atteso che con tale marcatura del cartellino il dipendente pubblico, che nel momento in cui opera una certificazione è pubblico ufficiale, compie una attestazione in punto di effettuazione e durata della prestazione lavorativa idonea a produrre effetti giuridici non solo per quanto riguarda la retribuzione, ma anche per il controllo dell’attività e regolarità dell’ufficio. Questa pronuncia si pone in contrasto con l’orientamento maggioritario giurisprudenziale (Cass. pen., Sez. II, 26/07/1995, n.20296; Cass. pen., Sez. V, 22/09/2003, n.39077), il quale quest’ultimo prevede che l’alterazione del cartellino marcatempo, mediante falsa timbratura, configura i reati di falso in atto pubblico e tentata truffa, atteso che il cartellino produce effetti giuridici non solo in relazione alla definizione del trattamento retributivo, ma anche del controllo, sotto il profilo dell’effettuazione e durata, dell’attività svolta dal pubblico dipendente.

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Svolgimento del processo

D..G., tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste,in data 5.5.2010, confermativa della sentenza 17.5.08 del Tribunale di Udine che lo aveva condannato alla pena di un anno di reclusione ed Euro 500,00 di multa con i doppi benefici di legge, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede, per i reati di truffa continuata ai danni di ente pubblico e di interruzione di pubblico servizio, concesse le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante. Il ricorrente deduceva:

1) manifesta illogicità della motivazione in ordine agli artifici e raggiri ed al danno del reato di truffa (perché il G., in qualità di dirigente medico in servizio presso il reparto oncologia dell’Azienda Ospedaliera (…), abbandonava abitualmente il reparto prima della fine del proprio turno di servizio senza effettuare, in uscita, la timbratura del cartellino marca tempo facendo apparire falsamente di aver prestato la propria opera per un numero di ore giornaliere superiore a quello ordinario); i giudici di appello avevano ritenuto che la timbratura del cartellino avesse costituito un espediente per simulare il rispetto dell’orario di lavoro allo scopo di ottenere indebitamente il pagamento dell’intera retribuzione; in realtà l’intera retribuzione sarebbe/comunque, spettata al G. per aver lavorato 38 ore settimanali, pari al numero di ore minimo secondo il contratto collettivo, a prescindere dal rispetto di un orario continuato o spezzato per l’assenza durante la pausa pranzo; ne conseguiva l’assenza del danno, avendo fra l’altro, il G. compensato l’assenza in pausa pranzo con la presenza pomeridiana, come risultava dagli atti processuali;

2) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 640 c.p. in relazione al requisito degli artifici e raggiri e del danno della persona offesa;

La Corte territoriale era incorsa in errore di diritto, avendo qualificato come artificio o raggiro “una condotta neutra” da cui non era derivata alcun danno per la persona offesa in quanto il G. aveva titolo per ottenere l’intera retribuzione per aver espletato il minimo di ore previste dal contratto collettivo, senza che rilevasse l’aver osservato l’ordine di servizio relativo all’orario continuato;

3) contraddittorietà della motivazione in relazione alla sussistenza della interruzione di pubblico servizio ex art. 340 c.p.,avendo la Corte d’Appello fatto riferimento ad elementi che non trovavano conferma negli atti processuali da cui non emergeva un apprezzabile turbamento del servizio; incorrendo in errore di diritto, i giudici di appello avevano qualificato come interruzione di pubblico servizio i ritardi dell’imputato e gli allontanamenti per la pausa pranzo, nonostante che da tali condotte non fosse derivato un turbamento non irrilevante del servizio. Con memoria difensiva, in data 17.2.2011, la parte civile, Azienda Ospedaliera (…), di Udine, in persona del direttore generale, contestava i motivi di ricorso sulla base della motivazione della sentenza impugnata e chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Sotto il profilo apparente del vizio di motivazione, in realtà, il ricorrente propone censure di merito, prospettando una valutazione delle prove e dei fatti, diversa da quella effettuata dai giudici di merito e non consentita in sede di legittimità in quanto le argomentazioni della Corte territoriale, poste a fondamento della decisione, sono esenti dal vizio di manifesta illogicità e sono compatibili con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.

I giudici di appello hanno dato conto, in particolare, sulla base della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di prime cure, non contestati nella loro materialità, come affermato nella sentenza impugnata(”l’imputato non ha contestato di essersi assentato abitualmente dal lavoro, nell’orario di pranzo, senza timbrare il cartellino in uscita e al rientro”) della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di truffa continuata in danno di ente pubblico.

In particolare, i giudici di merito hanno evidenziato che il G. non ha provato di aver lavorato oltre l’orario stabilito e per un numero di ore esattamente pari a quelle in cui si è indebitamente assentato senza timbrare il cartellino; peraltro, se pure i diretti superiori ed i colleghi del ricorrente erano a conoscenza del fatto che egli usciva dall’ospedale per la pausa- pranzo, non nascondendo il fatto di non timbrare il cartellino in uscita e al rientro, non poteva escludersi la sussistenza degli artici e raggiri, oltreché dell’ingiusto profitto con altrui danno, tenuto conto che “l’ente pubblico è spersonalizzato, che la frode era diretta contro l’ente pubblico e che il pagamento delle retribuzioni avveniva in forma automatica, da parte della direzione amministrativa, con la lettura dei cartellini orari da parte di un elaboratore”. Ne consegue che, correttamente, la mancata timbratura del cartellino è stato ritenuto un espediente idoneo ad evitare che l’azienda ospedaliera, attraverso i sistemi automatizzati di calcolo delle retribuzioni, non si accorgesse delle anomalia e continuasse a pagare al G. l’intera retribuzione, come in concreto avvenuto. La configurabilità del reato di cui all’art. 340 c.p. è stata pure adeguatamente motivata, in conformità alla giurisprudenza in materia della S.C., avuto riguardo alla sistematicità dei ritardi dell’imputato all’inizio delle visite mediche ed all’assenza alle riunioni del reparto. Occorre poi ribadire che l’eventuale disponibilità da parte dei colleghi del G. a supplire alle assenze e ritardi di quest’ultimo non rileva ai fini della condotta penalmente sanzionata; il turbamento non irrilevante del servizio è stato, peraltro, contestato con riferimento alla interruzione del servizio medico del reparto ospedaliero, “per completa scopertura del servizio di guardia attiva, non essendovi, in tal casi, altri medici presenti presso la struttura”. Va, comunque, rammentato che, la S.C. ha ravvisato la ratio del reato di cui all’art. 340 c.p. nella tutela non solo dell’effettivo funzionamento di un servizio pubblico, ma anche nell’ordinato svolgimento di esso, sicché, ai fini della sussistenza dell’elemento oggettivo non ha rilievo che la interruzione sia stata solo temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento del servizio stesso (Cass. n. 44845/2007; n. n. 24068/2001).

Il ricorso, alla stregua di quanto osservato, va rigettato. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile costituita, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile,Azienda Ospedaliera Universitaria, (omissis), liquidate in complessivi Euro 3.500,00 oltre spese generali, IVA e CPA.