CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 luglio 2013, n. 17098
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Sentenza dichiarativa – Dichiarazione di fallimento di società o del socio illimitatamente responsabile – Giudizio di opposizione – Contestazione da parte del socio dei presupposti del fallimento della società – Ammissibilità – Esclusione – Fondamento – Contestazione delle condizioni che attengono alla propria personale fallibilità – Ammissibilità
Svolgimento del processo
M. S. reclamava innanzi alla Corte d’appello di Bologna la sentenza del Tribunale di Modena n. 149 del 13-14.11.2009 dichiarativa del suo fallimento, pronunciata per la sua qualità di socio illimitatamente responsabile della società P. s.n.c. su istanza del curatore del fallimento della società P. s.r.l.. Contestava la sussistenza dei presupposti della sua fallibilità sull’assunto che il debito che aveva originato la dichiarazione di fallimento della società era sorto dopo la sua esclusione dall’ente, disposta in data 19.11.2008. Seppur derivasse da contratto stipulato il 12.5.2008 che prevedeva la restituzione dell’azienda da parte del fallimento della società P. s.r.l. alla fallita P. s.n.c, di cui egli all’epoca era ancora socio, il credito era sorto successivamente e dopo la sua esclusione, allorché gli altri soci V. e S., appropriatisi dei corrispettivi dei clienti, non ne avevano eseguito il previsto contestuale pagamento a favore del curatore fallimentare della società P. s.r.l.. Sosteneva inoltre che l’erroneo computo del termine annuale previsto dall’art. 147 comma 2 legge fall siccome eseguito dalla data della pubblicazione nel R.I della delibera che aveva disposto la sua esclusione dalla compagine sociale laddove avrebbe dovuto aversi riguardo a quella della sua assunzione.
Con sentenza n. 260 depositata il 3.3.2010 e comunicata al reclamante il 23.3.2010, la Corte territoriale ha disposto il rigetto del reclamo.
Avverso questa decisione M. S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi resistiti dal solo creditore istante curatore del fallimento P. s.r.l. con controricorso, illustrato altresì con memoria difensiva depositata a mente dell’art. 378 c.p.c. A seguito di regolare instaurazione del contraddittorio disposta nei loro confronti, gli altri soci falliti V. e S. non hanno spiegato difese. Le parti hanno depoitato memorie difensive a mente dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il 1° motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 147 legge fall, e/o dell’art. 1353 c.c., e riferendo che le somme riscosse dalla P. s.n.c dai clienti, sufficienti a pagare il debito contratto con la curatela del fallimento P. s.r.l., furono sottratte dagli altri soci dopo aver disposto la sua esclusione dalla compagine sociale, ascrive alla Corte del merito di non aver considerato che l’insorgenza del credito era sottoposta a condizione sospensiva, nonché l’omesso rilievo dell’imputabilità dello stato d’insolvenza alla sola condotta illecita dei detti soci, contro cui egli agì in giudizio infruttuosamente per ottenerne la revoca dalla carica di amministratori della società. Non responsabile di quell’inadempimento, egli non poteva pertanto essere dichiarato fallito. Solleva questione di costituzionalità rispetto agli artt. 2, 4, 24, 35, 36 e 41 cost. laddove si ammette l’estensione del fallimento al socio che non ha avuto responsabilità in ordine all’originarsi dello stato d’insolvenza né ha mezzi giuridici per evitarla.
Il controricorrente eccepisce l’inammissibilità del motivo in quanto la questione rappresentata sarebbe nuova e comunque ne deduce l’infondatezza atteso che il debito, laddove fosse da ritenersi condizionato, comunque è sorto alla data in cui è stato concluso il negozio, fonte dell’obbligazione rimasta inadempiuta addotta dalla creditrice istante.
Il motivo merita il rigetto. Per un verso, è inammissibile in quanto affaccia tesi difensiva, argomentata in relazione alla natura condizionata del credito assunto dal creditore istante a base del ricorso di fallimento, che non risulta prospettata in sede di merito ma per la prima volta in questa fase di legittimità. Si sostiene invero nella decisione impugnata che il debito verso la società istante P. s.r.l. era esistente alla data in cui il S. era ancora socio, anche se divenne esigibile in seguito. Ed infatti, il contratto, sottoscritto anche dal S., prevedeva che l’importo di € 150.000,00 sarebbe stato versato al fallimento P. s.r.l. contestualmente al ricevimento da parte di P. s.n.c. dei corrispettivi pagati dai committenti. Al giudice di merito non risulta dunque sottoposta la sussistenza della condizione sospensiva, che viene ora agitata tra l’altro all’evidente fine di sollecitare lo scrutinio circa l’interpretazione della pattuizione controversa, senza neppure precisare i canoni ermeneutici che la Corte del merito avrebbe violato, mirando in sostanza al riesame nel merito di quella contestata esegesi. Per altro verso il motivo è privo di fondamento dal momento che, ai sensi dell’art. 147 legge fall, il socio illimitatamente responsabile della società del tipo sociale considerato fallisce in via automatica per la veste assunta nella compagine sociale,prescindendo da ogni verifica circa l’imputabilità dell’inadempimento dedotto dal creditore istante a carico dell’ente. La questione di costituzionalità, genericamente argomentata, appare irrilevante..
Con il 2° motivo il ricorrente deduce il difetto di motivazione riscontrabile nell’affermazione dell’esistenza alla data della sua esclusione dalla società del credito dedotto dall’istante che era sorto non già con la sottoscrizione del contratto ma con l’incasso dei corrispettivi e/o l’illecita appropriazione da parte degli altri soci.
Anche di questo motivo la resistente deduce l’infondatezza.
In quanto pone questione intimamente collegata a quella questione rappresentata nel precedente mezzo, che la Corte del merito ha risolto con decisione immune da errore di diritto ed adeguatamente argomentata, il motivo deve essere dichiarato inammissibile.
Con il 3° motivo il ricorrente deduce ancora violazione dell’art. 147 comma 2 legge fall, che sarebbe stata consumata dal giudice del reclamo in relazione all’individuazione del dies a quo del termine annuale previsto dal disposto normativo in rubrica, siccome erroneamente identificato nella data dell’iscrizione della delibera che decretò la sua esclusione dalla compagine della società fallita nel R.I., dovendo piuttosto aversi riguardo alla data della sua assunzione.
La resistente deduce l’infondatezza della censura richiamando giurisprudenza consolidata che colloca il parametro temporale in discorso al dato correttamente individuato dalla Corte distrettuale.
Il motivo espone censura priva di pregio.
Si assume nella decisione impugnata che la delibera di esclusione del S., assunta in data 19.10.2008, ebbe effetto dalla data del 10.2.2009 della sua iscrizione nel R.I., sicché la pronuncia di fallimento, emessa il 13.11.2009, cadde nell’arco del termine annuale previsto dal citato disposto normativo. La statuizione applica correttamente il principio enunciato con orientamento fermo, cui questo collegio presta adesione intendendo darne conferma, che colloca il dies a quo del termine annuale previsto dal disposto dell’art. 147 comma 2 legge fall, al momento in cui all’uscita dalla società del socio illimitatamente responsabile è stata data pubblicità ai sensi dell’art. 2290 comma 2 cod. civ. (cfr. Cass. nn. 2006/19304, 4865/2010). In forza del principio della certezza delle situazioni giuridiche, lacui attuazione è stata assicurata secondo i dettami del giudice delle leggi -sent. n. 319/2000- con la previsione del limite temporale al fallimento dell’ex socio già illimitatamente responsabile, ai fini del decorso del termine è necessario che l’evento sia opponibile ai terzi, in quanto portato a loro conoscenza con i mezzi di pubblicità legalmente prescritti, non producendo in assenza i suoi effetti al di fuori dell’ambito societario. E dunque la delibera che decretò l’espulsione disposta a carico del S., incontrovertibilmente pubblicizzata nell’arco temporale dell’anno precedente la declaratoria del suo fallimento in estensione, vale ai fini in esame non certo dalla data della sua assunzione ma da quella, successiva, in cui venne portata a conoscenza dei terzi coincidente con l’iscrizione nel R.I. .
Con il quarto mezzo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 5 legge fall. e censura l’impugnata sentenza:1.- per l’omesso rilievo che, ai fini della verifica dello stato di decozione della società fallita, il giudice del reclamo avrebbe dovuto attribuire all’esistenza dell’ingente credito vantato nei confronti della società Fraer Leasing s.p.a. a titolo di restituzione di canoni versati, all’atto della risoluzione del contratto di leasing con essa stipulato, per l’ammontare di euro 500.00,00, ben superiore all’importo di euro 150.000,00 del credito posto a base del ricorso di fallimento; 2.- per non aver considerato che l’attività sociale era cessata alla data del fallimento benché la società non fosse stata formalmente in liquidazione.
Il resistente deduce infondatezza della censura richiamando giurisprudenza che esclude la legittimazione del socio fallito in estensione contestare le condizioni di fallibilità dell’ente.
Il motivo è inammissibile. Lo stato d’insolvenza della società fallita, ad avviso del giudice del reclamo, risultava conclamato alla luce dei debiti riportati in bilancio, della mancanza di liquidità e di disponibilità dì beni aggredibili in sede esecutiva. La censura induce palesemente alla rivisitazione nel merito dei fatti apprezzati quali sintomi della condizione di irreversibile dissesto della società fallita, il cui vaglio critico risulta adeguatamente argomentato, sollecitando scrutinio cui questa Corte non è abilitata e, secondo la giurisprudenza citata dal resistente (Cass. n. 20166/2004, n. 12170/2005), neppure ammesso in caso di opposizione, ora reclamo, proposto dal socio illimitatamente responsabile, dichiarato fallito inestensione a mente dell’art. 147 legge fall… Ed invero questi non può discutere sul fondamento dei presupposti del fallimento della società da cui è dipeso il proprio fallimento, ma solo delle condizioni che attengono alla sussistenza del vincolo sociale, dunque alla sua personale fallibilità. La sentenza dichiarativa del fallimento della società, in assenza d’impugnazione, che deve essere da essa proposta, fa stato erga omnes, anche dunque nei confronti dei soci, attuali e precedenti se fallibili, accertandone ormai con forza di giudicato l’insolvenza e dunque i fatti e le condizioni che ne hanno conclamato la sussistenza.
Analoga sorte, per le medesime ragioni, merita l’ultimo motivo con il quale il ricorrente deduce violazione dell’art. 1 legge fall, in ordine alla ritenuta esistenza della soglia di fallibilità della società relativa ai ricavi, nel 2008 risultarono inferiori ad euro 200.000,00. Teso a nuovo apprezzamento, il mezzo in esame agita questione riferita alla società.
Il ricorso per l’effetto deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidandole in complessivi € 3.000,00 di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
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