Corte di Cassazione sentenza n. 17118 del 15 aprile 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – MACCHINARIO – DPI – MOTOCOLTIVATORE OBSOLETO – INFORTUNIO DURANTE IL TAGLIO DELLA AIUOLE – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO
massima
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Vi è la responsabilità del legale rappresentante dell’azienda per l’infortunio occorso al lavoratore mentre utilizzava un motocoltivatore obsoleto, in non soddisfacenti condizioni di manutenzione, privo di idonei strumenti di protezione per l’operatore e non adeguato alla specifica normativa antinfortunistica. Il macchinario si sollevò nella parte anteriore a causa di un ostacolo incontrato nel terreno. L’infortunio si è verificato, in quanto il datore di lavoro ha violato le disposizioni antinfortunistiche, nonché per avere omesso di dotare il lavoratore di idonei mezzi di protezione individuale e per le condizioni di inadeguatezza antinfortunistica del macchinario.
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 20 ottobre 2019, la Corte d’appello di Roma parzialmente riformava – in punto al trattamento sanzionatorio – la sentenza emessa il 7 dicembre 2007 dal Tribunale di Roma nei confronti di P.M.A., dichiarata responsabile del delitto di cui all’art. 590 c.p., commi 1 e 3 per aver cagionato, in qualità di legale rappresentante della ditta Vivai M. s.a.s., lesioni personali – cui faceva seguito uno stato di malattia per un periodo superiore a giorni quaranta – al dipendente G.A. che, facendo uso del motocoltivatore Goldoni Super Special 140 consegnatogli dall’imputata – obsoleto, in non soddisfacenti condizioni di manutenzione, privo di idonei strumenti di protezione per l’operatore e non adeguato alla specifica normativa antinfortunistica – fu attinto alle gambe dagli organi in movimento dello stesso macchinario, sollevatosi nella parte anteriore a causa di un ostacolo incontrato nel terreno. L’infortunio, verificatosi mentre l’operaio fresava le aiuole site all’interno della sede dell’Università (Omissis), il (Omissis), trovò causa nella in colpa generica e specifica, in cui versava l’imputata, per aver violato le disposizioni antinfortunistiche (d.p.r. 547/1955, artt. 41 e 55, art. 240, commi 1 e 2 alla stessa già contestate e dichiarate estinte per prescrizione dal Giudice di prime cure) nonché per avere costei omesso di dotare il lavoratore di idonei mezzi di protezione individuale e per le condizioni di inadeguatezza antinfortunistica del macchinario.
Ricorre per cassazione l’imputata per tramite del difensore, articolando due distinti motivi, così sintetizzati.
Con la prima doglianza, denunzia la violazione della disciplina normativa in tema di nesso di causalità, attesoché l’evento lesivo subito dal dipendente doveva farsi risalire,in misura preponderante, alla condotta abnorme dello stesso lavoratore che, al di fuori delle mansioni demandategli e violando le disposizioni antinfortunistiche a tutela della propria incolumità, ebbe a provocare il capovolgimento della motozappa.
Con il secondo motivo, eccepisce la ricorrente la sopravvenuta estinzione del reato per maturata prescrizione, prima della conclusione del giudizio d’appello; conclusione, a suo dire, da collocarsi temporalmente solamente alla data di avvenuta notifica alla stessa dell’estratto contumaciale, eseguita il 1 marzo 2012, pur risultando emessa la sentenza impugnata, in data 20 ottobre 2009.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, come sostenuto dal Procuratore Generale.
Il primo motivo è privo del requisito di specificità di cui all’art. 581 c.p.p., lett. c) in quanto proposto in termini generici ed assertivi, consistendo nella trascrizione di numerose massime di sentenze pronunziate da questa Corte senza alcun contenuto di effettiva critica alla decisione impugnata, risolvendosi invero nell’apodittico ed inconferente richiamo a consolidati principi di diritto costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all’obbligo del lavoratore di “indossare tutti i dispositivi di sicurezza al fine di eliminare o ridurre i rischi connessi all’esecuzione di ogni attività lavorativa”. Nel caso di specie, si era infatti acclarato che l’operaio infortunato non indossava mezzi di protezione. Né, come ineccepibilmente argomentato dalla Corte d’appello a conferma della motivazione della sentenza di primo grado, potevano sussistere dubbi in ordine alla ricostruzione della dinamica dell’incidente. Era infatti accaduto, in conformità a quanto riportato nel capo di incolpazione, che il motocoltivatore (che la parte offesa seguiva a piedi impugnandone il manubrio di guida), a causa di un ostacolo incontrato sul terreno, si impuntò in avanti, contemporaneamente sollevandosi nella parte posteriore.
Poiché il dispositivo c.d. motor stop ad azione mantenuta, preordinato a bloccare in funzionamento del motore nel momento in cui l’operatore rilascia la relativa leva (comando ad azione mantenuta) – di cui il macchinario era dotato – era stato sostanzialmente posto in condizione di non funzionare con un intervento di tipo artigianale in violazione della normativa antinfortunistica ed a detrimento della incolumità dell’operatore; i pantaloni della tuta del lavoratore, in difetto dell’arresto di emergenza, entrarono in contatto con le taglienti zappe in acciaio in movimento, attingendolo ad entrambe le gambe. Indiscutibile quindi la responsabilità della imputata, in veste di datrice di lavoro, come tale titolare di un ben precisa posizione di garanzia normativamente prevista a tutela della incolumità del dipendenti alla quale era risultata colposamente inadempiente avendo dotato l’operaio di un macchinario obsoleto, con congegni di sicurezza modificati e comunque sprovvisto dei presidi e degli accorgimenti tecnici a tale scopo preordinati. Del pari manifestamente infondata va ritenuta la seconda censura dedotta. In primo luogo deve rilevarsi che il termine massimo di prescrizione (da computarsi, nel caso di specie, atteso il titolo del reato contestato, in anni sette e mesi sei, tenuto conto delle interruzioni, secondo la previgente come secondo l’attuale disciplina dell’istituto) decorrendo dalla data del fatto: (Omissis) si era definitivamente compiuto il 25 gennaio 2010 e quindi successivamente alla pronunzia della sentenza d’appello impugnata, emessa il 20 ottobre 2009, a nulla rilevando, a tali effetti, la posteriore notifica dell’estratto contumaciale all’imputata.
Irrilevante e comunque del tutto improduttiva di effetti deve in ogni caso giudicarsi l’eccezione di estinzione del reato in ragione della prescrizione, maturata posteriormente alla pronunzia della sentenza d’appello (cfr. Sez. 4 n.18641 del 2004; S.U. n. 1021 del 2001; S.U. n. 33542 del 2001). Nella concreta fattispecie alla medesima conclusione deve in ogni caso giungersi in ossequio a quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 32 del 2000, così massimata: “L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso)”.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, di costei: cfr. Corte Costituzionale sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.
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