CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 luglio 2013, n. 17177
Lavoro – Licenziamento collettivo – Mancanza di accordo con le organizzazioni sindacali – Operatività dei criteri di legge – Unità produttiva soppressa – Personale in esubero – Comparazione con le omologhe professionalità presenti nelle altre sedi – Necessità – Sussiste.
Svolgimento del processo
P. V. e B. S. impugnavano dinanzi al Tribunale di Torino il licenziamento loro intimato il 18.1.2007 dalla datrice di lavoro Belle E. s.r.l., società facente parte del Gruppo spagnolo C. D., in esito ad una procedura di licenziamento collettivo avviata in data 21.9.2006 e motivata dalla chiusura del centro estetico di Torino, via G. n. 7/A, dove le ricorrenti prestavano la loro attività, in qualità di estetista la P. e in qualità di receptionist la B..
La domanda, respinta in primo grado, veniva accolta dalla Corte di appello di Torino, che ravvisava la violazione dell’art. 5 legge n. 223/1991 per avere la società limitato la scelta delle dipendenti da licenziare alle sole unità produttive soppresse di Torino e di Catania senza procedere ad alcuna comparazione con i dipendenti delle restanti sedi di Bergamo, Brescia, Mestre e Bari, pur in presenza di professionalità del tutto fungibili.
La decisione si fondava sulle seguenti considerazioni.
Era mancato un accordo con le 00.SS. sui criteri di scelta dei lavoratori e dunque trovava applicazione l’art. 5, primo comma, della legge n. 223 del 1991 (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive ed organizzative, criteri operanti “in concorso tra loro”).
Nel caso in cui il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in via esclusiva ad uno o più reparti, la comparazione dei lavoratori può essere più ristretta rispetto all’ intero complesso aziendale, ma ciò può avvenire solo se gli addetti al reparto soppresso siano portatori di specifiche professionalità non omogenee a quelle dei restanti reparti, che ne rendano impraticabile in radice qualsiasi comparazione.
Nella comunicazione di apertura della procedura di mobilità, la società Belle E. aveva rappresentato l’intenzione di procedere a licenziamenti per riduzione di personale nelle proprie unità produttive site in Bari, Bergamo, Brescia, Catania, Mestre e Torino per motivi attinenti a un “grave sbilanciamento tra costi e ricavi” e alla necessità della “chiusura dei centri in perdita e senza reali prospettive di recupero di redditività nel breve periodo, ed una riduzione di costi fissi”; non era stato in alcun modo precisato che l’esigenza di riduzione dei costi riguardasse esclusivamente, o prioritariamente, le sedi di Torino e di Catania.
Dunque, la comunicazione iniziale estendeva l’individuazione del personale da collocare in mobilità a tutte le unità produttive, nessuna esclusa.
La decisione assunta di limitare la selezione ai soli dipendenti appartenenti alle due sedi soppresse costituiva una scelta arbitraria dell’imprenditore, non giustificata dalle esigenze tecnico-produttive come rappresentate nella comunicazione di avvio della procedura, né dalla infungibilità delle lavoratrici interessate, posto che la P. e la B., rispettivamente estetista e receptionist, svolgevano mansioni e possedevano un inquadramento contrattuale del tutto identici a quelli delle numerose altre dipendenti della società appellata, addette alle unità produttive di Bergamo, Brescia, Mestre e Bari.
La tesi di parte appellata – secondo cui la comparazione estesa ai dipendenti presenti sull’intero territorio nazionale avrebbe comportato conseguenze non sostenibili sia per i lavoratori, costretti a trasferirsi in città lontane dal luogo di residenza, sia per l’azienda, costretta ad una onerosa revisione della propria organizzazione – non era condivisibile, muovendosi su un piano interpretativo di sostanziale abrogazione dell’art. 5 legge n. 223/1991.
Né potrebbe il giudice escludere a priori che un lavoratore accetti il trasferimento per evitare il licenziamento.
Neppure sussiste il paventato rischio di sostanziali modifiche dell’organizzazione aziendale nell’ipotesi che, a seguito di comparazione di profili omogenei, la scelta cada su lavoratori di pari livello e professionalità addetti ad una sede diversa da quella soppressa.
La Corte torinese annullava, dunque, i licenziamenti e condannava la società al risarcimento ex art. 18 legge n. 300/70 nella misura minima di cinque mensilità della retribuzione globale di fatto, in ragione della limitazione del danno ex art. 1227 ce, essendo stata offerta alla P. la riassunzione a Brescia e alla B. la riassunzione presso la sede di Torino della I.C.A. s.r.l., società controllata dalla C. D. s.r.l..
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soc. Belle E. a r.l. in liquidazione sulla base di un solo articolato motivo.
Resistono con controricorso P. V. e B. S., che hanno altresì proposto ricorso incidentale condizionato svolgendo un unico motivo.
Motivi della decisione
La ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5 legge n. 223/91 (art. 360 cod. proc. civ., n.3) per avere la Corte di appello dato una interpretazione delle regole legali non aderente alla particolarità dì una fattispecie in cui la soppressione non ha riguardato un reparto, inteso come mera articolazione di un’azienda unitariamente considerata, ma unità locali situate in altrettante sedi oggettivamente distinte e geograficamente distanziate, non potendo in tale caso farsi applicazione dei principi sull’obbligo di repechage. La comparazione tra lavoratori addetti a reparti contigui non è praticabile in caso di soppressione di sedi che comporti una nuova dislocazione su base nazionale dei lavoratori con radicale modifica dell’organizzazione dell’azienda e inammissibile interferenza sulle valutazioni economiche che competono all’imprenditore, con introduzione di un ulteriore elemento di incertezza costituito dalla impossibilità di conoscere preventivamente l’effettiva disponibilità del lavoratore in posizione poziore a trasferirsi in altra sede, a centinaia di chilometri di distanza, in una regione diversa dalla propria, con riflessi anche sulla stessa possibilità di realizzare quella riorganizzazione necessaria per la sopravvivenza della società. Nella fattispecie, le lavoratrici, rifiutando le proposte di impiego successivamente formulate in loro favore (per la P. a Brescia, con conservazione dell’anzianità e del livello di inquadramento professionale, e per la B. a Torino, presso altra società controllata da D. s.r.l., con mantenimento dell’anzianità maturata nel precedente rapporto), avevano dimostrato di non avere interesse ad un qualsiasi trasferimento in altra sede dì lavoro.
Nel quesito di diritto si chiede a questa Corte se sia vero che, ai fini della determinazione dell’ambito di attuazione del licenziamento collettivo per riduzione del personale e ai fini dell’individuazione dei licenziandi ai sensi dell’art. 5 legge n. 223/91, è legittimo non tener conto di tutti i lavoratori dell’azienda qualora questa sia ripartita (come nel caso di specie) in singole unità produttive dislocate, tra l’altro, su tutto il territorio nazionale e non in meri reparti contigui caratterizzati dalla piena fungibilità delle attività svolte dai dipendenti agli stessi addetti.
Con ricorso incidentale condizionato le lavoratrici ripropongono l’ulteriore motivo di illegittimità del licenziamento collettivo costituito dalla violazione dell’art. 4 legge n. 223/91, commi nono e dodicesimo, che la Corte di appello aveva omesso di esaminare per avere accolto l’impugnativa in relazione alla dedotta violazione dell’art. 5 legge 223/91 sui criteri di scelta.
Il ricorso principale è infondato, restando assorbito l’esame dell’incidentale condizionato.
Innanzitutto, deve rilevarsi che la decisione assunta dalla Corte territoriale è in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte.
Secondo tale giurisprudenza, il doppio richiamo operato dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative (“l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico- produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti dai contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’art. 4, comma 2 ovvero, in mancanza dì questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative”), assume il seguente significato: al primo di essi è attribuibile la funzione di individuare l’ambito aziendale entro il quale dovranno operare i criteri di scelta veri e propri, tra i quali, ove siano applicabili quelli legali, va considerato anche il criterio delle esigenze tecnico produttive e organizzative.
Sotto il primo profilo, “la riduzione di personale deve, in linea generale, investire l’intero complesso aziendale, potendo essere limitato a specifici rami aziendali soltanto se caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità utilizzate, infungibili rispetto alle altre” (cfr. al riguardo, Cass. 14 giugno 2007 n. 13876 e, in precedenza, Cass. sentt. nn. 7752/06, 9888/06, 11034/06 e 11886/06). Con il che si può spiegare, nell’art. 5 citato, la duplicità – altrimenti scarsamente comprensibile – del richiamo alle “esigenze tecnico-produttive ed organizzative”, perché, nella prima parte, esse si riferiscono all’ambito di selezione, mentre, nella seconda parte, le medesime esigenze concorrono poi nel momento successivo, con gli altri criteri dell’età e del carico di famiglia, all’individuazione del singolo lavoratore (salvo che non operino altri criteri concordati con i sindacati).
Ne consegue, che la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, ed è onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione dì queste esigenze, e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. 23 giugno 2006, n. 14612) .
Da ciò deriva il principio enunciato, il cui limite è rappresentato dalla presenza di specifiche professionalità o comunque situazioni oggettive che rendano impraticabile qualunque comparazione (Cass. sentt. nn. 7169/03 e 2188/01; v. pure Cass. sent. 22825/09).
Pertanto, non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto lavorativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. n. 14612/06, n. 25353/09, n. 9711/11; v. pure Cass. n. 26376/08, n. 11034/06, n. 13783/06) .
E’ un dato acquisito al giudizio che la società E. non abbia in alcun modo esperito il confronto tra tutti i lavoratori aventi professionalità omogenea a quella posseduta dalle lavoratrici P. e B. addette al centro estetico di Torino, soppresso in esito alla procedura di licenziamento. La soluzione seguita nella sentenza impugnata è dunque coerente con i consolidati principi dì legittimità.
La tesi della società muove dal diverso rilievo che siffatto confronto non possa operare in presenza di una articolazione delle unità produttive diffusa sul territorio nazionale, poiché il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente all’ unità soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costì per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo, le cui modifiche competono esclusivamente all’ imprenditore e sono sottratte al sindacato giurisdizionale; vi è poi un elemento di incertezza, fonte dì ulteriore squilibrio negli assetti aziendali, costituito dalla impossibilità di conoscere a priori se il lavoratore avente diritto a mantenere il posto dì lavoro sarà disposto ad accettare il trasferimento in altra sede.
La tesi di parte ricorrente non può essere condivisa.
Le ragioni addotte dall’attuale ricorrente a sostegno della impraticabilità della comparazione con i dipendenti di pari professionalità addetti alle sedi operative non soppresse costituiscono argomenti non opponibili in caso dì applicazione dei criteri legali di cui all’art. 5 cit., i quali operano in via sussidiaria in mancanza dei criteri concordati con i sindacati.
Argomenti quali la sopravvenienza dì costi aggiuntivi connessi al trasferimento del personale già assegnato alle sedi soppresse, come pure la questione della dislocazione territoriale delle sedi e degli ostacoli che i lavoratori potrebbero frapporre al provvedimento di trasferimento adottato dall’ azienda costituiscono argomenti estranei alla voluntas legis, quale chiaramente desumibile dal tenore testuale dell’art. 5 nei termini sopra chiariti, applicabile nel caso in cui debbano operare i criteri legali sussidiari, ossia nel caso in cui sia mancato l’ accordo con i sindacati sui criteri di scelta. In tal caso infatti il legislatore ha ritenuto che, non essendovi un presidio alle posizioni dei singoli lavoratori attraverso le OO.SS., le esigenze tecnico-produttive debbano concorrere con gli altri criteri (anzianità e carichi di famiglia) onde assicurare che nei procedimenti di ristrutturazione delle imprese si abbia il minore impatto sociale possibile.
Giova richiamare le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 dei 1994 sulla n. 223 del 1991, art. 5, comma 1: “La disposizione impugnata non prevede alcun potere sindacale dì deroga a norme imperative di legge, bensì sostituisce alla determinazione unilaterale dei criteri di scelta, originariamente spettante all’imprenditore nell’esercizio del suo potere organizzativo, una determinazione concordata con i sindacati maggiormente rappresentativi,- essa tende a “procediraentalizzare” l’esercizio di un potere imprenditoriale. Solo in mancanza di accordo vengono in applicazione i criteri indicati nella seconda parte della disposizione, la quale, sotto questo aspetto, ha natura di norma suppletiva. La sussidiarietà della regola legale, intesa a favorire una gestione concordata della messa in mobilità dei lavoratori, risponde all’esigenza di adattamento dei criteri dì individuazione del personale in soprannumero alle condizioni concrete dei processi di ristrutturazione aziendale, tenuto conto dei notevoli oneri finanziari imposti dalla nuova disciplina dell’intervento straordinario della Cassa integrazione guadagni alle imprese che si avvalgono delle procedure di mobilità dei lavoratori”.
L’eventuale aggravio dei costi aziendali conseguenti al trasferimento del personale già addetto all’unità soppressa -a prescindere dalla genericità delle allegazioni in concreto svolte dalla società, come rilevato dal giudice di appello -rientra nell’alea connessa agli effetti dell’ operatività dei criteri legali sussidiari, in mancanza dì quelli concordati con le 00.SS.. Come osservato dal Giudice delle leggi nella sopra citata sentenza, “la sussidiarietà della regola legale è intesa a favorire una gestione concordata” della messa in mobilità dei lavoratori.
E’ coerente con i principi esposti e del tutto sostenibile dal punto dì vista logico la considerazione svolta dalla Corte di appello secondo cui non può aprioristicamente escludersi che un lavoratore destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa intersoggettiva tra dipendenti di pari professionalità (e per effetto della graduatoria di anzianità e carichi di famiglia) preferisca una diversa dislocazione lavorativa (individuata comunque nel rispetto dei principi, anche di elaborazione giurisprudenziale, di cui all’art. 2103 cod. civ.) alla perdita del posto di lavoro per effetto della definitiva chiusura dell’unità produttiva cui è addetto.
In conclusione, il ricorso va respinto, con onere delle spese del presente giudizio dì legittimità a carico della parte ricorrente, in applicazione del principio generale della soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 4.200,00 per compensi e in euro 50,00 per esborsi, oltre accessori dì legge.
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