Corte di Cassazione sentenza n. 172 del 07 gennaio 2013
LAVORO (RAPPORTO DI) – RETRIBUZIONE – RUOLI DEL PERSONALE ATA – IMPIEGATI DEGLI ENTI LOCALI – PERSONALE
massima
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In tema di personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale ATA (amministrativo, tecnico, ausiliario), dello Stato, l’art. 1, comma 218, della L. 266/2005, che ha interpretato autenticamente l’art. 8, comma 2, della L. 124/1999 nel senso che il predetto personale è inquadrato nei ruoli statali “sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento”, con attribuzione della posizione stipendiale di importo pari od immediatamente inferiore a quella in atto al 31 dicembre 1999, opera retroattivamente, senza che vi sia contrasto – come riconosciuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 311 del 2009 – con l’art. 117, comma 1, Cost., per violazione dell’obbligo di attuare il giusto processo ex art. 6 CEDU, dovendosi escludere che la modifica dell’art. 6 del Trattato dell’Unione, sostituito dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato con L. 130/2008) determini la necessità di un riesame della questione. Detta norma, infatti, nel prevedere che l’Unione “riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000″ e che aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, precisa che ciò “non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati” e “non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze” proprie, “né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione”. Ne consegue che al trasferimento del personale ATA resta non applicabile la disciplina del trasferimento di attività, di cui all’art. 31 del D.Lgs. 165/2001, attesa l’assenza di ogni richiamo all’istituto del trasferimento d’azienda ivi citato e l’estraneità della controversia a materia regolata in ambito comunitario.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La parte ricorrente chiede l’annullamento della sentenza di appello che ha negato il suo diritto al riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR).
2. La medesima questione è stata già decisa da Cass. 12 ottobre 2011, n. 20980 e Cass. 14 ottobre 2011, n. 21282, cui si rinvia per una motivazione piu’analitica. In estrema sintesi, deve rilevarsi quanto segue.
3. La controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola trasferito dagli enti locali al Ministero in base alla Legge 3 maggio 1999, n. 124, articolo 8.
4. Tale norma fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che della stessa venne data dal decreto del Ministro della pubblica istruzione 5 aprile 2001, che “recepì” l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000. Le controversie giudiziarie riguardarono in particolare la possibilità di incidere, su di una norma di rango legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito in decreto ministeriale. La giurisprudenza si orientò in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi (ex plurimis, Cfr. Cass., 17 febbraio 2005, n. 3224; marzo 2005, n. 4722, nonché 27 settembre 2005, n. 18829; Da ultimo, sul punto, cfr. Cass., 14 marzo 2012, n. 4045).
5. Intervenne il legislatore, dettando il comma 218, della Legge n. 266 del 2005, articolo 1 (finanziaria del 2006), che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e del decreto ministeriale. Il legislatore elevò, quindi, a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva.
6. Si sostenne, da un lato, che tale norma non avesse efficacia retroattiva e, dall’altro, che se dotata di efficacia retroattiva, fosse incostituzionale sotto molteplici profili. Entrambe le posizioni sono state giudicate non fondate. L’efficacia retroattiva è stata affermata da questa Corte (per tutte, S.U., 8 agosto 2011, n. 17076) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 234 del 2007). L’incostituzionalità è stata esclusa in quattro interventi del giudice delle leggi (Corte cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009). Per tali motivi, ricorsi di contenuto analogo a quello qui considerato, sono stati respinti (cfr. per tutte, Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).
7. È poi intervenuta la Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande sezione) con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10, Scattolon), emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE.
8. La Corte ha risposto a quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia. La prima consisteva nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dalla Legge 124 del 1999, articolo 8, costituisca un “trasferimento d’impresa” ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori. La soluzione è affermativa (“La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro”).
9. Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: -se la continuità del rapporto di cui all’articolo 3, n. 1 della 77/187 deve essere interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente (seconda questione); -se tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al cessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico (terza questione).
10. Il dispositivo della decisione è: “quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’articolo 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. È compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo”.
11. Il giudice nazionale è quindi chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a causa del mancato riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un “peggioramento retributivo”.
12. In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nei concetto di trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’articolo 3 della direttiva, ma anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo “scopo della direttiva”, consistente “nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento” (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la direttiva “ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente”).
13. Quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice del rinvio deve osservare i seguenti criteri.
a. Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa “posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento”. Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).
b. Quanto alle modalità, si deve trattare di “peggioramento retributivo sostanziale” (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere “globale” (n. 76: “condizioni globalmente meno favorevoli”; n. 82: “posizione globalmente sfavorevole”), quindi non limitato allo specifico istituto.
c. Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto “all’atto del trasferimento” (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: “all’atto della determinazione della loro posizione retribuiva di partenza”).
14. La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla conformità della disciplina italiana e specificamente del comma 218, articolo 1 della finanziaria 2006, all’articolo 6, n. 2 TUE in combinato disposto con l’articolo 6 della CEDU e articoli 46, 47 e 52 n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona.
15. La Corte, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza Agrati), ha statuito che “vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi” di cui alle norme su indicate.
16. In sintesi, pertanto, la Corte di giustizia ha ritenuto che: si verte nell’ambito del diritto dell’Unione europea; di conseguenza, la normativa nazionale in esame deve essere interpretata alla luce del diritto dell’Unione europea; l’interpretazione orientata alla luce de diritto europeo comporta che il passaggio alle dipendenze dello Stato non può determinare per il lavoratore condizioni meno favorevoli; la relativa verifica spetta al giudice nazionale; ulteriore conseguenza di questa impostazione è l’assorbimento del problema della conformità della norma in questione all’articolo 6 del TUE in combinato disposto con le norme della CEDU e della Carta di Nizza, come recepite nel Trattato di Lisbona, problema esaminato dalla sentenza Agretti della CEDU, precedente alla sentenza della Corte di giustizia e da quest’ultima considerata.
17. La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea incide sul presente giudizio. In base all’articolo 11 Cost. e articolo 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr., per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonché, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonché, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).
18. Tutto ciò implica che la decisione della presente controversia deve avvenire sulla base della suindicata interpretazione della normativa nazionale orientata dal diritto europeo, come si è messo in evidenza nelle già cit. Cass. nn. 20980 e 21282 del 2011, nonché n. 12051 del 2012.
19. Deve pertanto essere accolto il ricorso del lavoratore. La violazione del complesso normativo, costituito dalla Legge n. 124 del 1999, articolo 8 e Legge n. 266 del 2005, articolo 1, comma 218, denunziata, deve essere verificata in concreto sulla base dei principi enunciati dalla Corte di giustizia europea. La decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello indicata in dispositivo, la quale, applicando i criteri di comparazione su specificati, dovrà decidere la controversia nel merito, verificando la sussistenza, o meno, di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto dei trasferimento e dovrà accogliere o respingere la domanda del lavoratore in relazione al risultato di tale accertamento. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Milano, anche per le spese.
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