CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2013, n. 17230
Tributi – Accertamento – Presunta società di fatto – Mancanza della prova – Accertamento a carico del presunto socio – Sussiste
Svolgimento del processo
Con ricorso proposto dinanzi alla CTP di C.M.S. deduceva l’illegittimità dell’avviso di accertamento n. 601015/2002 contestato alla presunta “società di fatto dei fratelli M.S. e L.”, per mancato versamento IVA relativo all’anno di imposta 1996 (in uno alla mancata presentazione della dichiarazione di inizio attività ed all’omessa istituzione delle scritture contabili); in particolare sosteneva che la predetta società era stata creata dalla Guardia di Finanza “d’ufficio” e in mancanza di qualsiasi riscontro obiettivo; nel merito, contestava l’applicazione ordinaria dell’imponibile effettuata dall’Ufficio, ritenendo che, invece, nel caso in questione, concernente attività destinata alla vendita di auto usate, fosse obbligatoria l’adozione del “regime del margine “, di cui agli artt. 36 e 38 D.L. 41/95.
L’adita CTP riteneva insussistente la società di fatto e, condividendo l’applicabilità del regime del margine, rigettava nel resto il ricorso.
Avverso detta sentenza proponevano appello sia l’Agenzia delle Entrate, ribadendo l’esistenza della società di fatto e l’applicazione dell’lVA con regime ordinario, sia M.S., dolendosi che il Giudice di prime cure, pur in assenza della società di fatto, non avesse dichiarato illegittimo l’avviso di accertamento in quanto emesso nei confronti di soggetto (la società di fatto) inesistente.
Con sentenza 28-4/12-5-2006 la CTR di Napoli rigettava l’appello proposto da M.S. e accoglieva l’appello dell’Agenzia con riferimento alla non applicabilità del regime del margine.
In motivazione la CTR riteneva gli elementi addotti dall’Ufficio non sufficienti a provare l’esistenza della società di fatto e dichiarava integralmente valido l’accertamento a carico di M.S.; a tale riguardo evidenziava: che siffatto accertamento, emesso dall’Ufficio sulla presunzione dell’esistenza della società di fatto con il fratello L., non modificava il destinatario dell’imposizione, in quanto l’atto propedeutico (rappresentato dal pvc della Guardia di Finanza) risultava essere stato regolarmente notificato allo stesso M.S., nella qualità di responsabile; che, trattandosi nel caso In esame di una paventata forma societaria anomala, gli atti conservavano In pieno la loro efficacia con attribuzione giuridica e di fatto a carico del soggetto che li aveva prodotti; che non era applicabile il regime del margine, avendo riscontrato una palese e documentata violazione della normativa vigente in materia (omessa presentazione sia di dichiarazione d’inizio attività, sia di dichiarazione annuale sta di tenuta contabilità).
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione M.S., affidato a due motivi, cui resisteva l’Agenzia.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso M.S., deducendo -ex art. 360, comma 1 n. 3 cpc- violazione e falsa applicazione dell’art. 42 DPR 600/1973, riteneva, in primo luogo, non potesse considerarsi valido nei confronti di esso ricorrente (quale titolare di ditta individuale) un avviso di accertamento notificatogli non in proprio (e dunque quale titolare della ditta) ma nella qualità di socio dì una società di fatto creata d’ufficio dall’Agenzia delle Entrate successivamente dichiarata inesistente; al proposito sosteneva che a nulla rilevava che il p.v.c. era stato notificato a M.S. in proprio, attesa l’autonomia e la distinzione tra p.v.c ed accertamento.
Siffatto motivo è infondato.
Per condiviso principio di questa S.C., infatti, “allorché l’accertamento ai fini IRPEF ed ILOR nei confronti dei pretesi soci sia fondato sull’esistenza di una società di fatto, l’eventuale annullamento dell’accertamento, per l’insussistenza della società stessa, non determina l’automatico annullamento dell’accertamento in questione, dovendo il giudice accertare se le operazioni economiche ascritte alta società ritenuta inesistente siano state compiute dai soci singolarmente od anche solo da alcuno di essi. Infatti, dal coordinato disposto dell’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e degli artt. 1 e 2 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 discende che, in ipotesi di società di fatto tra due o più soggetti, l’ILOR fa carico alla società e l’IRPEF (o l’IRPEG, se uno dei soci dì fatto è una società regolare) al singolo socio proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. Pertanto, allorché sia accertata esistenza di una società di fatto, i soci sono soggetti passivi, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, unicamente dell’imposta sui redditi, in quanto è la società il soggetto passivo dell’ILOR; mentre, quando sia accertata l’inesistenza della società di fatto, il soggetto passivo di entrambe le imposte per II reddito prodotto dall’attività economica ascritta (in origine) alla società, risultata inesistente, va Individuato nella persona cui sia riconducibile quell’attività; ed invero, la mancanza, nella società di fatto, di una personalità distinta da quella dei pretesi soci impone di ritenere comunque riferito, già nella contestazione dell’Ufficio, individualmente ad ogni ipotizzato socio l’avvenuto svolgimento di quell’attività economica produttiva di reddito imponibile, con la conseguenza dell’assunzione “ex lege”, da parte del medesimo, della qualità di soggetto passivo di entrambe le imposte” (Cass, 12765/2011); di conseguenza, “in ipotesi di accertamento fondato sull’esistenza di una società di fatto, l’eventuale annullamento dell’accertamento in capo alla stessa per la sua insussistenza, non determina l’automatico annullamento dell’accertamento fiscale in capo al pretesi soci, dovendo il giudice comunque accertare se le operazioni economiche ascritte alla società ritenuta inesistente siano state comunque compiute dai soci singolarmente e/o solo da alcuni di essi” (v. cit. sentenza, in motivazione).
Detto principio è applicabile anche in caso di accertamento, quale quello di specie, concernente mancato versamento IVA (in uno alla mancata presentazione della dichiarazione di inizio attività ed all’omessa istituzione delle scritture contabili); invero, per la predetta mancanza -nella società di fatto- di una personalità giuridica distinta da quella dei soci, in Ipotesi di ritenuta Insussistenza delta società di fatto, la relativa attività economica deve ritenersi riferita Individualmente al singolo, cosi come i conseguenti obblighi; ne consegue l’irrilevanza della circostanza che la notificazione dell’accertamento sia avvenuta al contribuente, quale socio della società di fatto, anziché in proprio, quale imprenditore individuale.
Correttamente, pertanto, la CTR, sia pure per ragioni diverse da quelle su evidenziate, pur avendo annullato (in conformità alla decisione di primo grado) l’accertamento in capo alla società dì fatto per insussistenza di quest’ultima, ha poi proceduto all’esame dell’avviso dì accertamento a carico di M.S., ritenendo siffatto accertamento legittimo per ragioni di merito, che non sono state oggetto di specifica censura se non con riferimento a della non applicazione nel caso di specie del “regime di margine” ai fini IVA, doglianza oggetto del successivo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo deducendo -ex art. 360 n. 3 cpc, violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 38 DI. 41/95, sosteneva che, ai sensi delle norme di cui sopra, il “regime del margine” non è una “facoltà” ma è obbligatorio, sicché erroneamente la CTR aveva escluso l’applicabilità del detto regime sol perché il ricorrente (che svolgeva un’attività -rivendita di auto usate- per la quale era previsto il regime medesimo) non aveva presentato la dichiarazione annuale e non aveva quindi comunicato (attraverso detta dichiarazione) di volere beneficiare di siffatto regime.
Anche siffatto motivo è infondato.
Preliminarmente occorre ricordare che gli articoli da 36 a 40 bis del decreto legge 41 del 1995 disciplinano organicamente, ai fini IVA, il commercio di beni mobili usati, tra cui autovetture, autocaravan, eccetera; tale normativa ha introdotto, in ottemperanza a specifica direttiva comunitaria, un regime speciale di applicazione dell’IVA, detto anche “regime del margine”, allo scopo di evitare fenomeni di doppia o reiterata imposizione per i beni mobili che, dopo la prima uscita dal circuito commerciale, vengono successivamente ceduti ad un soggetto passivo d’imposta che intende rivenderli; siffatto regime ha fondamentalmente lo scopo di evitare che un bene, già colpito dall’imposta (perché ad esempio giunto al consumatore finale), nel momento in cui viene venduto di nuovo, venga tassato nuovamente, con una reiterazione dell’imposta contrastante con i principi fondamentali del tributo; il margine su cui applicare l’imposta è, in tal caso, ordinariamente costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto dell’usato e quello di vendita; conseguentemente la relativa Imposta non è detraibile; nell’ipotesi di cessione dì autovetture, affinché il regime del margine sia operante, è necessario che il mezzo sia stato acquisito dal cedente senza applicazione dell’IVA; in questo caso, all’atto detta cessione dell’autovettura, l’IVA andrà scorporata dalla differenza tra prezzo di vendita dell’autovettura e prezzo di acquisto della stessa, la cui fattura va emessa con la seguente dicitura “operazione soggetta al regime del margine di cui all’articolo 36 del DL 41/1995 e successive modificazioni”,
Ciò precisato, va rilevato che per condiviso principio di questa Corte, “in tema di IVA, l’applicazione del regime del margine di utile, di cui all’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, costituisce… un regime impositivo speciale e derogatorio rispetto a quello ordinarlo. Ne consegue che, tutte le volte in cui la contestazione dell’Amministrazione trovi fondamento In elementi oggettivi, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’operatività di tale regime di deroga incombe al contribuente-cessionario, il quale è tenuto a verificare preventivamente la regolarità sostanziale dell’operazione, pure con riferimento alla mancata detrazione dell’IVA corrisposta a monte da parte del cedente, ne) limiti imposti dal dovere di agire con la diligenza richiesta in base alle concrete circostanze, anche in relazione alla sua qualità professionale, ove trattasi di operatore commerciale del settore, ed alla stregua dei documenti negoziali in suo possesso, conformemente al principio di vicinanza al fatto oggetto di prova ed al sistema del diritto comunitario (Cass. 15219/2012); in termini anche Cass. 2227/2011, secondo cui “in tema di IVA, il regime del margine previsto dall’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito nella legge 22 marzo 1995, n. 85, presuppone la mancata detrazione dell’IVA all’acquisto da parte del cedente, condizione la cui assenza (o il difetto della prova da parte del cessionario della sua sussistenza) comporta l’inapplicabilità del regime “de quo”, indipendentemente dalla consapevolezza che di essa abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio”.
Alla stregua dei predetti principi va, pertanto, ritenuto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricoprente, che, relativamente all’IVA, il regime del margine sia speciale e derogatorio rispetto a quello normale, e che presupponga una serie di adempimenti da rispettare a carico del contribuente, in mancanza dei quali risulta impossibile procedere al calcolo dell’IVA come richiesto dalle predette disposizioni di legge.
In particolare, va rilevato che l’art. 38, comma 5 (che il ricorrente intende porre a fondamento della decisione), in base al quale le omissioni o le inesattezze nelle annotazioni nei registri comportano solo l’applicazione di specifiche sanzioni ma non determinano la non applicabilità del regime del margine, si riferisce appunto solo ed esclusivamente ad omissioni o inesattezze e non invece alla totale mancanza dei registri e delle scritture contabili; siffatta mancanza, verificatasi nel caso di specie, non può che comportare, come detto, la non applicabilità del regime del margine (da ritenersi, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, agevolativo per il contribuente, in quanto, come detto, l’Imposta relativa alla rivendita è commisurata non all’intero prezzo ma alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativa all’acquisto), non consentendo infatti detta mancanza il controllo -da parte dell’Agenzia- dei presupposti fissati per l’applicazione (in particolare la mancata detrazione dell’IVA all’acquisto da parte del cedente).
In conclusione, pertanto, Il ricorso va rigettato.
In considerazione dell’affermazione, da parte della S.C., del predetto principio di diritto relativo alla società di fatto in epoca successiva alla proposizione del presente ricorso, si ritiene sussistano giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti i compensi e le spese di lite relativi al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; dichiara interamente compensate tra le parti i compensi e le spese di lite relativi al presente giudizio di legittimità.
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