CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2013, n. 17232
Tributi – IVA – Regime del margine – Art. 36, D.L. n. 41/1995 – Natura – Oneri del contribuente – Oggetto – Inadempimento – Conseguenze
Svolgimento del processo
La CTP di Caserta rigettava il ricorso proposto da M.S., esercente commercio di autovetture usate, avverso l’avviso, con il quale l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Caserta, a seguito di p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza in data 29-5-2002, aveva accertato a suo carico, per l’anno di imposta 2000, maggiori ricavi ai fini IRPEF, addizionale regionale e comunale, IVA ed IRAP.
Con sentenza depositata il 25-11-2008 la CTR di Napoli rigettava l’appello proposto dal contribuente.
In particolare la CTR, per quanto ancora interessa, rilevava, preliminarmente, che l’assunto dell’appellante, secondo cui l’attività di vendita di automobili usate era stata svolta in società di fatto con tale P.G., era stato travolto dalla sua stessa dichiarazione, riportata a verbale nel p.v.c, ove si leggeva che dal 1996 al 1998 (l’anno in questione era il 1999) per tutte le autovetture acquistate all’estero era stata utilizzata la partita IVA del P.; soggiungeva, nel merito, per ciò che concerneva l’IVA, che il cd. regime del margine non poteva applicarsi nella fattispecie in esame, in quanto il contribuente: non aveva istituito né i registri IVA (acquisti e cessioni di beni usati) previsti dall’art. 38, comma 2, d.l. 41/95, né le scritture contabili; non aveva presentato le prescritte dichiarazioni annuali; non aveva conservato le fatture di acquisto delle autovetture, dalle quali rilevare se il cedente avesse o meno applicato il regime del margine.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione il contribuente affidato a tre motivi; l’Agenzia delle Entrate non svolgeva attività difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduceva – ex art. 360 n. 5 cpc- omessa, insufficiente o contradditoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; al riguardo rilevava che, in ordine alla sollevata questione della carenza del presupposto soggettivo della pretesa tributaria, la CTR era giunta alla conclusione dell’insussistenza (per l’anno in questione) della società di fatto esistente illo tempore tra M.S. e P.G. solo tenendo presente le dichiarazioni del P., senza invece considerare quanto in senso contrario risultava documentalmente.
Con il terzo motivo il ricorrente deduceva omessa, insufficiente o contradditoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente all’IRAP ed all’IRPEF; al riguardo rilevava che la CTR aveva omesso di motivare in ordine all’erronea determinazione del calcolo di detti tributi, determinati sulla base imponibile data dalla differenza tra ricavi di vendita e costi di acquisto, senza procedere allo scorporo dell’IVA, inclusa nelle vendite lorde.
Siffatta motivi sono inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile perché la sentenza impugnata è stata depositata in data 25-11-2008, quindi nel vigore del detto articolo, introdotto con il D. Lg.vo n. 40 del 2006 a decorrere dal 2-3-2006, ed abrogato, ma solo dal 4 luglio 2009, con l’art. 47, primo comma, lett. d) della legge n. 69 del 2009).
Le complessive doglianze sono, infatti, materialmente prive del “momento di sintesi”, richiesto in tutte di vizio sussumibile nel n. 5 dell’art. 360 c.p.c.; ed invero, per costante e condiviso principio di questa caso previsto dall’articolo 360, primo comma, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo del ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, sia la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, sia le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, sia un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), e cioè un’ indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’ illustrazione del motivo e che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; ciò anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito.
Con il secondo motivo il ricorrente deduceva -ex art. 360 n. 3 cpc- violazione e falsa applicazione degli artt 36 e 38 D.L. 41/95; al riguardo rilevava che erroneamente la CTR aveva affermato che le su riportate omissioni nella contabilità comportavano il venir meno dell’applicazione del regime del margine; ed invero, come poteva desumersi dalle su citate disposizioni di legge, siffatto regime (teso ad evitare che sul consumatore finale gravasse l’imposta sull’intero valore del bene già uscito dal circuito commerciale e sul quale era stata già assolta l’IVA, e, quindi, per nulla agevolativo per il soggetto d’imposta, che non traeva da detta applicabilità alcun beneficio) era obbligatorio, e poteva comportare, in caso di omissioni nella contabilità, solo le sanzioni pecuniarie specificatamente previste dall’art. 38 D.L. cit.
Siffatto motivo è infondato.
Preliminarmente occorre ricordare che gli articoli da 36 a 40 bis del decreto legge 41 del 1995 disciplinanoorganicamente, ai fini IVA, il commercio di beni mobili usati, tra cui autovetture, autocaravan, eccetera; tale normativa ha introdotto, in ottemperanza a specifica direttiva comunitaria, un regime speciale di applicazione dell’IVA, detto anche “regime del margine”, allo scopo di evitare fenomeni di doppia o reiterata imposizione per i beni mobili che, dopo la prima uscita dal circuito commerciale, vengono successivamente seduti ad un soggetto passivo d’imposta che intende rivenderli; siffatto regime ha fondamentalmente lo scopo di evitare che un bene, già colpito dall’imposta (perché ad esempio giunto al consumatore finale), nel momento in cui viene venduto di nuovo, venga tassato nuovamente, con una reiterazione dell’imposta contrastante con i principi fondamentali del tributo; il margine su cui applicare l’imposta è, in tal caso, ordinariamente costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto dell’usato e quello di vendita; conseguentemente la relativa imposta non è detraibile; nell’ipotesi di cessione di autovetture, affinché il regime del margine sia operante, è necessario che il mezzo sia stato acquisito dal cedente senza applicazione dell’IVA; in questo caso, all’atto della cessione dell’autovettura, l’IVA andrà scorporata dalla differènza ffa prezae ài vendita dell’autovettura e prezzo di acquisto della stessa, la cui fattura va emessa con la seguente dicitura “operazione soggetta al regime dei margine di cui all’articolo 36 del DL 41/1995 e successive modificazioni”.
Ciò precisato, va rilevato che per condiviso principio di questa Corte, “in tema di IVA, l’applicazione del regime del margine di utile, di cui all’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85, costituisce … un regime impositivo speciale e derogatorio rispetto a quello ordinario. Ne consegue che, tutteue volte in cui la contestazione dell’Amministrazione trovi fondamento in elementi oggettivi, l’onere di provare sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’operatività di tale regime di deroga incombe al contribuente-cessionario, il quale è tenuto a verificare preventivamente la regolarità sostanziale dell’operazione, pure con riferimento alla mancata detrazione dell’IVA corrisposta a monte da parte del cedente, nei limiti imposti dal dovere di agire con la diligenza richiesta in base alle concrete circostanze, anche in relazione alla sua qualità professionale, ove trattasi di operatore commerciale del settore, ed alla stregua dei documenti negoziali in suo possesso, conformemente al principio di vicinanza al fatto oggetto di prova ed al sistema del diritto comunitario” (Cass. 15219/2012); in termini anche Cass. 2227/2011, secondo cui “in tema di IVA, il regime del margine previsto dall’art 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito nella legge 22 marzo 1995, n. 85, presuppone la mancata detrazione dell’IVA all’acquisto da parte del cedente, condizione la cui assenza (o il difetto della prova da parte del cessionario della sua sussistenza) comporta l’inapplicabilità del regime “de quo”, indipendentemente dalla consapevolezza che di essa abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio”.
Alla stregua dei predetti principi va, pertanto, ritenuto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, che,relativamente all’IVA, il regime del margine sia speciale e derogatorio rispetto a quello normale, e che presupponga una serie di adempimenti da rispettare a carico del contribuente, in mancanza dei quali risulta impossibile procedere al calcolo dell’IVA come richiesto dalle predette disposizioni di legge.
In particolare, va rilevato che l’art. 38, comma 5 (che il ricorrente intende porre a fondamento della decisione), in base al quale le omissioni o le inesattezze nelle annotazioni nei registri comportano solo l’applicazione di specifiche sanzioni ma non determinano la non applicabilità del regime del margine, si riferisce appunto solo ed esclusivamente ad omissioni o inesattezze, e non invece alla totale mancanza dei registri e delle scritture contabili; siffatta mancanza, verificatasi nel caso di specie, non può che comportare, come detto, la non applicabilità del regime del margine, non consentendo infatti detta mancanza il controllo -da parte dell’Agenzia-dei presupposti fissati per l’applicazione (in particolare la mancata detrazione dell’IVA all’acquisto da parte del cedente).
In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione nel presente giudizio da parte dell’Agenzia.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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