CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2013, n. 17239
Tributi – INVIM – Contenzioso tributario – Procedimento – Atto di classamento – Richiesta di determinazione automatica del valore sulla base della rendita catastale – Attribuzione da parte dell’Ute – Richiesta di conguaglio dell’imposta versata con avviso di liquidazione – Legittimità – Impugnazione dell’atto di classamento nell’ambito del giudizio di impugnazione del successivo avviso di liquidazione
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia in data 16-7-2007. Questa sentenza – in controversia relativa a un avviso di liquidazione ai fini dell’Invim, contenente la rettifica del valore di un bene immobile compravenduto con rogito registrato in Bari il 24-7-1991, nel quale le parti avevano formulato richiesta di valutazione automatica ai sensi dell’art. 12 della l. n. 154 del 1988 ha confermato la decisione di primo grado, di annullamento dell’avviso, osservando che non era stata fornita la prova della previa notifica dell’atto di classamento, e che, nell’avviso di liquidazione, non erano stati riportati i dati di esso, in particolare la categoria catastale e la rendita.
L’intimata Angela C. ha resistito con controricorso. F. C. e A. R. D., restanti eredi di A. R., non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
I. – Nel primo motivo la ricorrente, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., deduce la violazione degli artt. 2, 10, 19 del d. lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 11 e 12 del d.l n. 70 del 1988 conv. in l. n. 154 del 1988; dell’art. 52, 4° co., del d.p.r. n. 131 del 1986, assumendo essere errata l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che era onere dell’ufficio fornire la prova dell’avvenuta notifica dell’atto di classamento. Sostiene che, non essendo stato il classamento previamente notificato, era semmai onere del contribuente impugnarlo unitamente all’avviso di liquidazione, evocando in giudizio anche l’Ute (o l’agenzia del territorio).
Nel secondo motivo, la ricorrente denunzia il vizio di insufficiente e illogica motivazione sul fatto controverso rappresentato dalla mancata indicazione, nell’avviso, dei dati del classamento, atteso che, invece, codesti dati erano stati riportati unitamente alla rendita.
II. – I motivi, tra loro connessi, sono fondati. Dalla sentenza risulta che l’amministrazione aveva appellato la decisione di primo grado affermando che la contribuente avrebbe dovuto impugnare la rendita catastale con apposito autonomo ricorso contro l’allora Ute. La commissione tributaria regionale non ha condiviso l’assunto sulla scorta della seguente affermazione: “sia perché l’ufficio avrebbe dovuto fornire la prova dell’avvenuta notifica dell’atto di classamento sia perché nell’avviso di liquidazione non risultano riportati i dati (categoria catastale, rendita ecc.) come vorrebbe sostenere l’ufficio”.
Ha quindi aggiunto che “la mancanza di questi dati, necessari per dare contezza del procedimento valutativo e per consentire al contribuente un minimo orientamento difensivo, rende l’avviso di liquidazione privo del contenuto minimo della motivazione (..)”.
III. – L’accertamento di fatto, cui è legata l’argomentazione, è viziato da una motivazione illogica. Sicché, a sua volta, la statuizione finale ne risulta inficiata nel presupposto.
Dalla trascrizione della parte saliente dell’avviso di liquidazione, effettuata dall’amministrazione nell’odierno ricorso, emerge che, in quello, erano state evidenziate, quanto all’immobile de quo, sia la categoria che la rendita.
Simile risultanza non appare considerata dall’impugnata sentenza, nella contraria affermazione generale che ivi si rinviene; né d’altronde appare valutata la circostanza – pur essa dedotta nel ricorso in termini rispettosi del principio di autosufficienza (con trascrizione della corrispondente parte dell’avversa memoria depositata per il giudice d’appello), e in ogni caso pacifica anche in base alle altrui difese (v. controricorso, pag. 8) – che la contribuente aveva ammesso che l’atto di liquidazione conteneva “i puri segni delle risultanze catastali”. Cosicché in ultima analisi la sentenza, nella parte in cui lapidariamente ha affermato che “l’ufficio avrebbe dovuto fornire la prova dell’avvenuta notifica dell’atto di classamento” perché, invece, “nell’avviso di liquidazione non risultano riportati i dati (categoria catastale, rendita ecc.)”, non soddisfa l’onere di sufficienza e coerenza motivazionale quanto alla valutazione della questione di fatto.
IV. – Per tale ragione la sentenza va cassata con rinvio alla commissione tributaria regionale della Puglia, diversa sezione, affinché provveda a nuova valutazione del materiale probatorio.
A tale riguardo, il giudice di rinvio terrà conto del seguente consolidato insegnamento, che qui si ribadisce in vista della corretta soluzione della controversia. Qualora il contribuente abbia dichiarato di volersi avvalere della determinazione automatica del valore di un immobile sulla base della rendita catastale ai sensi dell’art. 12 del d.l. 14 marzo 1988 n. 70 (conv., con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988 n. 154), l’attribuzione della rendita da parte dell’Ute innesca un procedimento di valutazione automatica, per cui legittimamente l’ufficio richiede il conguaglio dell’imposta versata con avviso di liquidazione anziché con avviso di accertamento.
Ne consegue che, se il contribuente contesta l’atto di attribuzione della rendita catastale, egli ha l’onere di proporre impugnativa giudiziale anche nei confronti dell’Ute (o dell’agenzia del territorio) che tale atto ha emesso; e in caso di carente instaurazione del contraddittorio nei confronti di questi ultimi non può rimediarsi mediante ordine di integrazione ex art. 102 c.p.c., in quanto l’ufficio che richiede il conguaglio e l’Ute (o l’agenzia del territorio) non sono litisconsorti necessari, e fra le due questioni esiste solo un vincolo di pregiudizialità logica (per tutte Cass. n. 15449-08).
Egualmente il principio rileva ( v. tra le tante Cass. n. 6386-06; n. 7107-08) laddove venga in questione – come nella specie – la facoltà, riconosciuta al contribuente dall’art. 19, 3° co., del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, d’impugnare l’atto di attribuzione della rendita catastale, precedentemente non notificato, unitamente all’avviso di liquidazione della maggiore imposta che in funzione di esso veda definita la sua base imponibile. Invero anche in tal caso la detta facoltà è condizionata alla proposizione dell’impugnativa non solo nei confronti dell’ufficio che ha emanato l’avviso di liquidazione, rispetto al quale l’atto di classamento si configura come atto presupposto, ma anche nei confronti dell’Ute (o dell’agenzia del territorio), che tale atto hanno emesso. Il carattere impugnatorio del processo tributario, avente un oggetto circoscritto agli atti che scandiscono le varie fasi del rapporto d’imposta, implica infatti che legittimati a contraddire in merito all’impugnativa dell’atto presupposto siano unicamente gli organi che l’hanno adottato. I quali, peraltro, non assumono la posizione di litisconsorti necessari nel giudizio d’impugnazione dell’avviso di liquidazione, la cui autonomia rispetto all’impugnazione dell’atto di classamento comporta che alla carente instaurazione del contraddittorio non possa rimediarsi attraverso l’ordine di integrazione ai sensi dell’art. 102 c.p.c.; in quanto che tra le due cause sussiste soltanto un vincolo di pregiudizialità logica che potrebbe dar luogo al simultaneus processus in via di mera riunione successiva, ovvero di iniziale litisconsorzio facoltativo.
Per cui, in difetto, l’attribuzione di rendita devesi considerare come non (validamente) contestata.
V. – Il giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Puglia.
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