CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2013, n. 17241
Tributi – Imposta di registro – Operazioni societarie – Delibera di aumento del capitale sociale – Omologazione – Accertamento – Decadenza – Termine triennale – Decorrenza dalla data di omologazione – Registrazione dell’atto non omologato – Ammissibilità – Decorrenza del termine di decadenza – Illegittimità
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 19-12-2002 la s.p.a. G. C. e il notaio L. M. impugnavano un avviso di liquidazione dell’imposta proporzionale di registro, loro notificato in relazione a una delibera dell’assemblea straordinaria della società (allora denominata P. s.p.a.) di aumento del capitale sociale.
Premesso che l’atto era stato presentato per la registrazione prima della (allora prevista) omologazione, nell’ordinario termine di venti giorni e previo pagamento dell’imposta in misura fissa ex art. 27, 5° co., del D.P.R. n. 131 del 1986, i ricorrenti, per quanto ancora unicamente rileva, eccepivano la decadenza dell’azione amministrativa, ai sensi dell’art. 76 D.P.R. n. 131 del 1986, e la violazione dell’art. 7, 2° co., della l. n. 212 del 2000.
L’adita commissione tributaria provinciale di Alessandria accoglieva il ricorso in relazione ad altra doglianza, concernente la asserita violazione dell’art. 10 della l. n. 488 del 1999. Ma la sentenza era riformata in appello dalla commissione tributaria regionale del Piemonte, la quale, dopo aver negato l’applicabilità della norma da ultimo evocata, perché la fattispecie societaria aveva preso effetto dalla data della sottoscrizione dell’aumento di capitale avvenuta anteriormente al 1-10-1999, respingeva le ulteriori due soprascritte eccezioni, riproposte in appello.
Al riguardo osservava che nessuna decadenza era venuta in essere ai fini della liquidazione dell’imposta, essendo stato l’avviso di liquidazione notificato il 18-10-2002 a fronte della omologazione della delibera assembleare avvenuta in data 19-10-1999; e che l’avviso, ai fini del richiamato art. 7 della l. n. 212 del 2000, era munito delle caratteristiche – formali e sostanziali – atte a consentire al contribuente di conoscerne pienamente il contenuto, così come del resto dimostrato dalla completezza di difesa infine assunta in sede giurisdizionale.
Per la cassazione della sentenza d’appello, i contribuenti hanno proposto ricorso articolato in due motivi.
L’amministrazione non si è costituita con controricorso.
Motivi della decisione
I motivi di ricorso attengono alle due questioni preliminari a suo tempo dagli appellati riproposte e disattese dalla commissione tributaria regionale.
Il primo motivo, denunziando la violazione dell’art. 76, 2° co., lett. a), del D.P.R. n. 131 del 1986, reitera la tesi in ordine all’intervenuta decadenza dell’azione amministrativa, nel rilievo che la decadenza dovesse decorrere dalla data di registrazione dell’atto, ancorché soggetto a omologazione.
Il secondo motivo denunzia la violazione dell’art. 7, 2° co., della l. n. 212 del 2000, affermando che la mancata indicazione, nell’avviso di accertamento, delle indicazioni tassativamente richieste dalla norma aveva reso nullo l’avviso.
Il primo motivo è inammissibile in relazione al quesito di diritto, che non soddisfa il fine di specificità in relazione alla fattispecie concreta.
Invero il quesito è compendiato nella proposizione “se la decorrenza del termine triennale di decadenza dell’azione della finanza per la richiesta dell’imposta principale di registro debba o meno essere fissata nella data di registrazione, sia pur a tassa fissa, dell’atto soggetto a omologazione, come disposto dal c. 2 lettera a) dell’art. 76 del D.P.R. 16 aprile 1981 n. 131”.
Il secondo motivo è inammissibile per le medesime ragioni – perché cioè concluso da quesito egualmente astratto (“se la mancata indicazione in avviso di accertamento delle indicazioni tassativamente richieste dalla norma di cui all’art. 7 c. 2 della l. 27 luglio 2000 n. 212 renda o meno tale avviso nullo”) e non aderente all’accertamento di fatto in ordine alla completezza contenutistica dell’avviso di liquidazione, risultante dall’impugnata sentenza.
In sostanza, l’art. 366-bis c.p.c. imponeva ai ricorrenti di formulare i quesiti in guisa tale da non presentarli come meri interrogativi giuridici sganciati dalla vicenda oggetto di causa (v. ex multis sez. un. n. 26020-08).
Conformemente alla funzione di chiusura del corrispondente motivo, i quesiti dovevano in particolare dar conto – seppure in apposita sintesi – della critica mossa alla decisione impugnata, onde consentirne l’apprezzamento di conclusività.
Mancando i motivi di tale requisito, l’intero ricorso diviene inammissibile (art. 366-bis c.p.c.).
In ogni caso la tesi giuridica posta a base del primo motivo non potrebbe trovare consenso; donde il motivo sarebbe altresì infondato, come la corte intende evidenziare nell’interesse della legge (art. 363, 3° co., c.p.c., nel testo conseguente al d.Igs. n. 40 del 2006), considerata la specificità della fattispecie e la mancanza di precedenti a essa direttamente attinenti.
In base all’art. 27, 5° co., del D.P.R. n. 131 del 1986, gli atti indicati nell’art. 14 – vale a dire gli atti suscettivi di omologazione (come nella specie era, ratione temporis, la deliberazione assembleare di aumento del capitale sociale, attratta dal disposto degli artt. 2411 e 2436, vecchio testo, c.c.) – sono soggetti all’imposta stabilita nella tariffa (imposta principale) “quando intervenga {l’approvazione o) la omologazione (..)”.
Gli stessi, se egualmente presentati all’ufficio prima della scadenza del termine di cui all’art. 14, sono soggetti alla sola imposta in misura fissa, salvo, quando intervenga l’omologazione, l’applicazione dell’imposta principale determinata secondo le disposizioni vigenti in tale momento, e previa deduzione dell’imposta in misura fissa pagata in sede dì registrazione dell’atto.
Ne consegue che, ai fini della decorrenza del termine triennale di decadenza di cui all’art. 76, 2° co., lett. a), del D.P.R. n. 131 del 1976, ove si discuta – per atti soggetti a omologazione – dell’imposta proporzionale di cui alla tariffa, il dies a quo non può che essere correlato alla data della omologazione stessa.
Invero un termine di decadenza non può mai decorrere se non dal momento in cui sia acquisita certezza in ordine al fatto che ne costituisce il presupposto, dovendo tutte le previsioni indicative di una decadenza essere interpretate alla luce dei principi costituzionali di effettività dell’azione e del contraddittorio, oltre che, ovviamente, di effettività delle garanzie difensive.
La diversa esegesi propugnata dai ricorrenti è in netto contrasto con il canone generale della ragionevolezza delle norme, dal momento che, retrodatando il termine di decadenza per l’imposta proporzionale al momento di registrazione dell’atto, a prescindere, cioè, dalla omologazione, impone una asimmetria nel significato degli artt. 76 e 27 del D.P.R. n. 131 del 1986 e finisce per ridurre irragionevolmente l’arco temporale disponibile per l’esercizio della potestà impositiva che alla omologazione resta associata.
Ferma allora l’inammissibilità del ricorso, può essere affermato, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto: “in tema di imposta proporzionale di registro per atti soggetti a omologazione, il termine triennale di decadenza di cui all’art. 76, 2° co., lett. a), del D.P.R. n. 131 del 1986 decorre dalla data della omologazione, e non dalla quella, eventualmente anteriore alla scadenza del termine stabilito dall’art. 14, in cui sia stata chiesta la registrazione dell’atto”.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso.
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