CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2013, n. 17250
Operazioni bancarie – Prelievi effettuati dal contribuente – Ricavi – Prova contraria a carico del contribuente – Presunzioni semplici per dimostrare l’errata imputazione delle somme effettuata dal Fisco
Fatto
Con due separati avvisi di accertamento, rispettivamente relativi agli anni d’imposta 1998 e 1999, l’ufficio, quanto al 1998 recuperò a tassazione:
– il corrispettivo di lire 30 milioni, corrispondente ad un canone di locazione non contabilizzato relativo ad un’unità immobiliare ad uso commerciale occupata dalla (…);
– ricavi non contabilizzati per lire 79.236.338, considerati corrispettivi non registrati, per lire 48.000.000, ritenuti inerenti a provvigioni non fatturate e per lire 348.171.800, utilizzati per pagamenti in favore di società facenti capo all’amministratore unico (…), senza documentazione di costi.
Quanto al 1999, l’ufficio riprese a tassazione la somma di lire 30milioni a titolo di canone di locazione di un immobile commerciale, condotto in locazione dall’imprenditore individuale
A seguito d’impugnazione dei due avvisi, la Commissione tributaria provinciale accolse il ricorso limitatamente alla ripresa a tassazione della somma di lire 48milioni, relativa a dodici versamenti di 4milioni cadauno, ritenendo che fossero riconducibili ad una fattura complessiva, regolarmente contabilizzata, di pari importo.
Dal canto suo, la Commissione tributaria regionale, oltre a confermare l’annullamento della pretesa impositiva concernente la somma di lire 48milÌoni, ha altresì annullato le pretese impositive di lire 79.263.338 e di lire 120milioni, considerando giustificata, quanto alla prima, la ricostruzione della società, che ha fatto al riguardo riferimento ad un mero giro contabile, con passaggio, nei conti correnti della società, di denaro ad essa non riferibile e considerando, quanto alla seconda, provati sia il destinatario dei prelievi, sia la causale dei versamenti.
La Commissione ha, invece, respinto nel resto il ricorso, affermando la carenza della prova che si tratti di somme riferibili ad altre gestioni e ritenendo che l’utilizzo dei locali in relazione al quale era stato pattuito il corrispettivo di lire 30 milioni fosse da qualificare come locazione e non già come comodato.
Ricorre la società per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso a due motivi, che illustra con memoria depositata a norma dell’articolo 378 del codice di procedura civile.
Replica l’Agenzia delle entrate, sede centrale, con controricorso.
Diritto
1.- Col primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 3, c.p.c., la società censura la violazione e falsa applicazione dell’articolo 32, 1° comma, numero 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, numero 600, ritenendo che la presunzione di ricavi da esso stabilita con riferimento ai prelievi sia suscettibile di prova contraria mediante l’indicazione dei rispettivi beneficiari; beneficiari che, nel caso in esame, sono stati indicati dalla società contribuente e addirittura dall’avviso di accertamento. Formula dunque il seguente principio di diritto: «si chiede che codesta Suprema Corte stabilisca se il disposto normativo di cui all’art. 32, comma 1, n. 2 in fine, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 costituisca (secondo le parole della Corte Costituzionale) una presunzione ai ricavi iuris tantum, suscettibile di prova contraria attraverso l’indicazione del beneficiario dei prelievi».
Prospetta, in subordine, questione d’illegittimità costituzionale della norma, per contrasto con l’articolo 53 della Costituzione.
In definitiva, secondo la società, per evitare l’operatività della presunzione stabilita dall’articolo 32, 1° comma, numero 2, sarebbe sufficiente la mera indicazione dei destinatari dei prelievi.
1.1. II motivo è infondato e va in conseguenza respinto.
E’ consolidato l’orientamento della Corte secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica numero 600/1973 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili.
In particolare, precisa la Corte, posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) non può essere contrapposta una mera affermazione dì carattere generale, pur potendo il contribuente fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cass., 30 novembre 2011, n. 25502; per la tesi più rigorosa, secondo cui il contribuente nel fornire la prova contraria, non può ricorrere a presunzioni, vedi Cass., ord. 24 luglio 2012, n. 13035; Cass. 6 ottobre 2010, n. 20735; Cass. 5 dicembre 2007, n. 25365; discorre di onere della prova del contribuente anche Cass. 26 febbraio 2009, n. 4589).
1.2. -Né argomenti contrari si possono trarre dalla sentenza della Consulta dell’8 giugno 2005, numero 225, la quale ha comunque correlato all’indicazione dei beneficiari dei prelievi l’onere della prova contraria gravante sul contribuente: l’indicazione dei beneficiari va dunque a circoscrivere il perimetro della prova, in caso di specifica contestazione dell’ufficio, giacché, se l’onere si risolvesse nella mera indicazione, non di prova si tratterebbe, sibbene di mera allegazione.
1.3. -Ha ulteriormente precisato al riguardo questa Corte che, soltanto dopo che il contribuente abbia esaurientemente ottemperato alla richiesta di chiarimenti, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di contestarne in modo specifico la completezza, la veridicità, l’idoneità probatoria, la qualificazione giuridica del fatto rappresentato e, più in generale, la correttezza in termini, di effettiva deducibilità dei costi documentati. E dopo l’adempimento di tale onere di contestazione, può sorgere, in capo al contribuente, l’onere di provare le circostanze di fatto rilevanti per smentire le contestazioni dell’ufficio (Cass. 5 maggio 2011, n. 9892).
1.4.-Ne risulta, quindi, la manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale della norma, già di recente affermata da questa Corte (con ordinanza del 24 luglio 2012, n. 16036).
2.- Col secondo motivo dì ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 4, c.p.c., la società si duole dell’omessa pronuncia su motivo proposto in appello, riguardante segnatamente la rilevanza probatoria della mancata deduzione del costo da parte del presunto affittuario, essendosi limitata la sentenza impugnata ad affermare genericamente l’esistenza di un rapporto di locazione.
2.1.- Il motivo è infondato e va in conseguenza respinto.
Questa Corte ha già avuto occasione di rimarcare che, ad integrare gli estremi di questo vizio, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. civ., 4 ottobre 2011, n. 20311). In particolare, si è precisato (Cass. civ., 14 marzo 2006, n. 5444), la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia dì cui al n. 5, art. 360 c.p.c. si coglie nei senso che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della «domanda» di appello), là dove, nel caso dell’omessa motivazione, l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi su uno dei fatti principali della controversia.
2.2.- Nel caso in esame, la sentenza, là dove ha qualificato il rapporto avente ad oggetto l’utilizzo dei locali indicato in narrativa come locazione e non già come comodato, in ragione della pattuizione del corrispettivo di lire 30miìioni, ha implicitamente, ma inequivocabilmente ritenuta infondata o comunque irrilevante la deduzione oggetto del vizio di omessa pronuncia.
3. – Il ricorso va in definitiva respinto.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della parte costituita.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
– condanna la società alla rifusione delle spese concernenti questa fase, liquidate in Euro 7000,00, oltre spese prenotate a debito.
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