CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2013, n. 17268
Procedure concorsuali – Fallimento – Revocatoria – Banca – Operazioni bilanciate – Onere della prova
Svolgimento del processo
1. Il Fallimento C. citò in giudizio davanti al Tribunale di Roma la s.p.a. Banca di Roma, divenuta in corso di causa s.p.a. Capitalia, chiedendo che fossero revocate le rimesse per £ 12.082.585.462 eseguite dalla società, nell’anno anteriore al fallimento dichiarato il 21 ottobre 1999, sul conto corrente aperto presso la banca, che era a conoscenza dello stato d’insolvenza. La banca resistette alla domanda.
Il tribunale di Roma, con sentenza 23 gennaio 2006, accolse la domanda attrice.
2. La Corte d’appello di Roma, con sentenza 21 marzo 2011, ha respinto il gravame della banca.
3. Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 1 ottobre 2011, ricorre la banca, per quattro motivi.
Il fallimento resiste con controricorso notificato e con memoria.
Ragioni della decisione
4. Si eccepisce dal fallimento il difetto di procura speciale in capo alla difesa della ricorrente, perché quella in calce al ricorso è stata rilasciata da funzionari della banca in forza dì poteri conferiti con procura speciale anteriore alla sentenza.
5. L’eccezione è infondata. I poteri dei procuratori sostanziali sono analiticamente indicati nella procura speciale notarile prodotta nel giudizio, e comprendono anche quello dì impugnare le sentenze. Alla procura sostanziale in questione, regolata in base alle norme del codice civile, non si applica la speciale disposizione dell’art. 365 c.p.c., che regola esclusivamente il mandato conferito all’avvocato iscritto nell’albo speciale degli avvocati dì cassazione, e che nella specie è stato rilasciato dopo la pubblicazione della sentenza impugnata e specificamente per la sua impugnazione.
6. Si eccepisce anche il difetto di autosufficienza del ricorso, perché il ricorrente non avrebbe riprodotto integralmente nel ricorso tutti i documenti citati, ma l’eccezione non coglie nel segno, non essendo l’adempimento in questione, nei termini indicati, richiesto nella giurisprudenza di questa corte.
7. Con il primo motivo si censura per falsa applicazione dell’art. 67 legge fall., l’affermazione della corte d’appello circa la revocabilità delle rimesse eseguite dal debitore ceduto, sebbene nel caso presente non sia stata revocata la cessione dì credito. La parte riferisce di aver sostenuto nel giudizio di merito che “le rimesse a fronte di anticipazioni assistite da contestuali cessioni di credito” non possono essere revocate ex art. 67 comma secondo ma solo, se ritenute pagamenti anomali, ex art. 67 comma primo; e che il mutamento di domanda (nella specie, dal secondo al primo comma) non è consentito in corso di causa.
8. Il motivo è infondato. E’ innanzi tutto da rilevare che oggetto della revocatoria non sono stati i pagamenti eseguiti dai terzi debitori ceduti alla banca, in relazione ai quali – soltanto – sarebbe fondata la difesa della banca ricorrente, che quei pagamenti, trovando il loro titolo nel rapporto obbligatorio diretto tra la partì, in conseguenza dell’avvenuta cessione pattuita tra la banca e la società successivamente fallita, non potrebbero essere imputati alla società, né conseguentemente essere revocati. Ma il fallimento resistente ha insistito soprattutto sulla circostanza, mai contraddetta dall’odierna resistente, che oggetto della revoca non erano state neppure le somme accreditate sui conti correnti della società in conseguenza dei pagamenti ricevuti dalla banca, bensì le eccedenze dì tali pagamenti rispetto alle anticipazioni a fronte delle quali le cessioni erano state stipulate. La circostanza è decisiva, non potendosi dubitare che in tal modo la banca abbia utilizzato le somme eccedenti le anticipazioni concesse per ridurre l’esposizione debitoria della banca: nel che deve ravvisarsi l’effetto solutorio che giustifica la revocatoria esperita dal fallimento.
9. Con il secondo motivo si censura per vizio di motivazione il punto della sentenza impugnata che respinge l’appello in relazione alla revoca degli storni.
Si afferma dì aver specificamente individuato nell’atto di appello le scritture relative agli storni, con analitica descrizione delle singole rimesse per importo, data contabile e causale appunto di storno, risultanze documentali mai contestate dal fallimento.
10. Si rileva, a questo riguardo, che la motivazione con la quale la corte territoriale ha respinto il relativo motivo dì appello non verte sulla genericità della tesi della banca, né sull’incertezza sulle ragioni per le quali è contestata la revocabilità delle poste in questione; vale a dire che non tocca i punti oggetto di specifica contestazione nel motivo di ricorso in esame. Il giudice d’appello ha invece osservato che la banca non aveva fornito alcuna ulteriore argomentazione atta a dimostrare il mero enunciato. In altre parole, l’argomento decisivo per respingere la tesi difensiva della banca appellante è stata la mancanza di prova che gli storni nascessero dall’esigenza di correggere dei meri errori contabili. Il motivo è pertanto inammissibile, non cogliendo la ratio decidendi della decisione impugnata,
11. Con il terzo motivo si denuncia un vizio di motivazione sul punto della natura bilanciata e non revocabile delle operazioni indicate dalla ricorrente. Si deduce che erano state fornite indicazioni sulla specifica finalità e natura dell’operazione, non esaminati dalla corte, e che non servirebbero prove aliunde perché l’atto dì disposizione del cliente emerge di per sé dal contesto delle operazioni annotate in conto.
12. Il motivo è infondato, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di questa corte. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di revocatorìa fallimentare, infatti, la banca che eccepisca la natura non solutoria della rimessa sul conto corrente bancario dell’ imprenditore poi fallito, perché giustificata dall’esistenza di operazioni bilanciate, ha l’onere di dimostrare l’esistenza di accordi con il cliente, opponibili alla curatela, i quali assegnino alla rimessa la funzione non dì rientro nell’esposizione debitoria, ma di creazione dì apposita provvista per un’operazione speculare a debito, di pagamento a favore di terzi ovvero di prelievo da parte del cliente (Cass. 9 novembre 2001 n. 23393). In difetto di tale prova, il predetto versamento conserva in linea generale la natura solutoria, ed è revocabile ai sensi dell’art.61 legge fall., avendo valore estintivo del credito della banca.
Vero è che altra volta questa corte ha ammesso la possibilità di provare l’accordo per facta concludentia. In riferimento a questa giurisprudenza, tuttavia, deve qualificarsi generica e del tutto insufficiente l’invocazione in sede di legittimità di un’evidenza implicita nell’atto stesso dì disposizione del cliente, che di per sé dimostra soltanto la disponibilità della banca a concedere ulteriore credito.
13. Con il quarto motivo si denuncia il vizio di motivazione nell’accertamento della conoscenza dello stato d’insolvenza. Si discutono nel merito tutti gli elementi acquisiti al giudizio.
14. Il motivo sì traduce in una sollecitazione, rivolta alla corte, a riesaminare a fondo il complesso degli elementi utilizzati dal giudice di merito nel quadro di una valutazione unitaria, per giungere alla conclusione contestata; operazione non consentita nel presente giudizio di legittimità.
15. In conclusione il ricorso è respinto. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi €. 12.200,00 di cui €. 12.000,00 per compenso, oltre agli oneri di legge.
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