CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 gennaio 2013, n. 1735
IVA – Aliquota agevolata per l’acquisto separato del box auto – Non sussiste
Svolgimento del processo
1. L’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia n. 85/13/10, depositata il 10 maggio 2010, con la quale essa rigettava l’appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, sicché l’opposizione della società S.V. Spa., relativa all’avviso di accertamento inerente al pagamento di maggiore importo dell’Iva per il 2005, veniva accolta. In particolare il giudice di secondo grado osservava che l’aliquota doveva essere applicata nella misura del 10%, e non in quella ordinaria del 20%, trattandosi di diversi boxes-autorimesse venduti dalla suindicata società a soggetti, i quali erano già proprietari di unità immobiliari acquistate in precedenza, e delle quali avevano di volta in volta dichiarato che i primi costituissero delle pertinenze, con la conseguenza che l’agevolazione fiscale scattava, trattandosi di case non di lusso, anche se non quelle della fascia “prima casa”. La società S. V. non si è costituita.
Motivi della decisione
2. Col motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce violazione di varie norme di legge, in quanto la CTR non considerava che l’aliquota ridotta del 10% dell’Iva non poteva essere applicata in caso di acquisto separato dei box-autorimesse rispetto alle unità principali, sol perché dichiarate come pertinenza al notaio rogante, trattandosi non di prima casa, nonché di atti non contestuali, per i quali peraltro era invece onere della cedente dimostrare che: a) la precedente cessione fosse avvenuta tra le stesse parti, nonché con il medesimo atto, ed in particolare col costruttore di tutto l’edificio, di cui i garage costituivano una porzione rispetto agli appartamenti, secondo le previsioni dell’art. 13 L. n. 408/49 (c.d. Legge Tupini); b) ovvero che quelle autorimesse rientrassero in un programma di fabbricazione per la costruzione di tale tipologia di immobili per le aree urbane maggiormente popolate, ex art. 11. L. n. 122/89, mentre tale onere probatorio non era stato assolto dalla contribuente.
La doglianza è fondata, atteso che, com’è noto, i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dall’art. 2 della legge 24 marzo 1989, n. 122 non sono soggetti a vincolo pertinenziale a favore delle unità immobiliari del fabbricato. Ne consegue che l’originario proprietario-costruttore del fabbricato stesso può legittimamente riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà di tali parcheggi, nel rispetto del vincolo di destinazione nascente da atto d’obbligo col Comune (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 1664 del 03/02/2012; Sezioni Unite: n. 12793 del 2005). Peraltro l’aliquota agevolata prevista dal punto 21 della parte seconda della tabella A, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo anteriore alla modifica apportata con l’art. 16, n. 4, del d.l. 22 maggio 1993, n. 155, convertito nella l. 19 luglio 1983, n. 243) – riguardante i fabbricati e porzioni di fabbricati di cui all’art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, ceduti da imprese costruttrici, ancorché non ultimati, purché permanga l’originaria destinazione – non si applica ad un’impresa edile che si sia limitata a rivendere un immobile da essa non costruito, atteso che detta agevolazione tributaria ha la finalità di favorire lo svolgimento dell’attività edilizia, anche se esercitata in tutto o in parte con la collaborazione di terzi, ma non può estendersi alla attività commerciale meramente speculativa di compravendita di immobili, mentre invece la S. non aveva fornito la prova di avere costruito gli immobili con le autorimesse cedute nel caso in esame (V. pure Cass. Sentenze n. 16664 del 29/07/2011, n. 3954 del 1998). Del resto in materia di IVA, le norme che prevedono aliquote agevolate costituiscono un’eccezione rispetto alle disposizioni che stabiliscono quelle ordinarie in via generale, sicché spettava alla S.V., che voleva far valere tali circostanze – le quali, pur non escludendola, riducono sul piano quantitativo la pretesa del fisco -, provare l’esistenza dei presupposti per la loro applicazione, e cioè dei fatti costituenti il fondamento della sua eccezione, come sopra accennato (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 7124 del 09/05/2003, n. 14904 del 2001).
Dunque sul punto la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
3. Ne deriva che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384, comma 2 cpc, e rigetto del ricorso in opposizione della contribuente avverso l’atto impositivo. Infatti alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ., ispirata a tali principi, una volta dichiarata la nullità – con conseguente cassazione – della sentenza impugnata, la Corte di legittimità, qualora sia posta, con altro motivo di ricorso, una questione di mero diritto, e su di essa si sia svolto il contraddittorio, ove non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, può direttamente decidere la causa nel merito, attuando il previsto rimedio impugnatorio di carattere sostitutivo, come precisamente nella specie (V. pure Cass. Sentenze n. 24914 del 25/11/2011, n. 5139 del 2011).
4. Quanto alle spese dell’intero processo sussistono giusti motivi per compensarle, tenuto conto della natura della questione giuridica trattata e delle difformi vicende di esso nei gradi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta quello introduttivo, e compensa le spese dell’intero giudizio.
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