CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 luglio 2013, n. 17428
CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 luglio 2013, n. 17428
Iva – Fatture false – Scostamento dagli studi di settore – Rilevanza – Sussiste
Svolgimento del processo
Con la sentenza indicata in epigrafe la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado di accoglimento del ricorso proposto da G.G. avverso l’avviso di accertamento, ai fini Irpef, relativo all’anno di imposta 1996 con il quale erano state irrogate sanzioni, ai sensi dell’art.39 d.p.r. n.500/73, per infedele dichiarazione ed irregolare tenuta delle scritture contabili.
L’accertamento scaturito da una verifica della Guardia di Finanza nei confronti della M. s.r.l., venditrice dì bestiame, era stato contestato dalla ricorrente attraverso la produzione di fattura di acquisto.
I Giudici di appello motivavano la decisione rilevando che l’Ufficio aveva contestato la regolarità delle scritture contabili sulla base di presunzioni di operazioni fittizie delle quali non aveva fornito alcuna prova; né aveva precisato quali fossero le circostanze gravi, precise e concordanti dalle quali sarebbe pervenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., all’accertamento impugnato dalla ricorrente.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, Agenzia delle Entrate.
La contribuente non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo -rubricato “motivazione insufficiente circa un punto decisivo per la controversia prospettato dalle parti, ai sensi dell’art.360, comma 1, n. 5 c.p.c.”- Agenzia delle Entrate denuncia l’omessa valutazione da parte della Commissione Tributaria Regionale campana del fatto decisivo per la controversia, emergente dalle risultanze del processo verbale della Guardia di Finanza, consistente nella circostanza che era stato appurato che la M. s.r.l. era priva di locali propri, di attrezzature tecniche e di personale dipendente necessari allo svolgimento dell’attività, tutti tipici elementi sintomatici delle società cd. “cartiere”.
2. Con il secondo motivo (articolato ai sensi dell’art.360 n.ri 5 e 3 c.p.c.) Agenzia delle Entrate denuncia di omessa ed insufficiente motivazione la sentenza impugnata per avere ritenuto che l’Ufficio non avesse precisato quali fossero le presunzioni gravi, precise e concordanti dalle quali sarebbe pervenuto all’accertamento impugnato dalla contribuente laddove, al contrario, in detto atto si era proceduto alla rideterminazione del reddito applicando sui ricavi, dichiarati per lire 148.820.000, il coefficiente di redditività del 20% stabilito dagli studi di settore per attività similari, giungendo quindi, alla determinazione del reddito netto di impresa di lire 29.764.000.
Secondo la prospettazione difensiva non era chiaro se il giudice -ritenendo che l’Amministrazione avrebbe dovuto esplicare le circostanze gravi precise e concordanti alla base della determinazione del reddito- avesse ignorato il fatto che, in realtà, tali circostanze erano state indicate (nel qual caso la sentenza doveva ritenersi assolutamente errata dal punto di vista della motivazione) o se, invece, il Giudice, constatata la presenza di tale indicazione nell’avviso di accertamento, avesse ritenuto la stessa insufficiente (con violazione degli artt.39, comma 2, d.p.r. 60073 e 62 sexies del d.l.n.331/1993) essendo sufficiente, ai sensi di dette norme, l’indicazione del criterio della redditività media al fine della determinazione del reddito, incombendo sul contribuente la prova che la redditività fosse diversa da quella media.
3. I motivi sono fondati.
La Commissione Tributaria Regionale ha motivato il rigetto dell’appello unicamente sulla base dell’argomentazione che l’Ufficio non aveva negato la regolarità della fattura sulla quale si era basata la sentenza di primo grado, omettendo di valutare tutte le ulteriori circostanze, allegate in atti e risultanti dal processo verbale della Guardia di Finanza, secondo cui la M. s.r.l. (emittente le fatture in oggetto) era priva di locali propri e di attrezzature tecniche necessarie allo svolgimento dell’attività, nonché priva di personale dipendente; circostanze, queste, idonee a fondare la presunzione fissata dalla legge e decisive al fine di una diversa soluzione della controversia.
Peraltro, in continuità dell’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte in materia di fatture per operazioni inesistenti, va ribadito che qualora l’Amministrazione contesti indebite detrazione di Iva e deduzione di costi fatturati, fornendo elementi anche semplicemente presuntivi, purché oggettivi, atti ad asseverare l’emissione di fatture in assoluta assenza di corrispondente prestazione – è onere del contribuente, che rivendichi la legittimità dei costi fatturati e quella della detrazione dell’I.V.A. correlativamente indicata, fornire la prova dell’effettiva esistenza delle operazione. Ai sensi dell’art.21 d.p.r. 633/72 la fattura è, infatti, documento idoneo a rappresentate operazioni rilevanti ai fini fiscali, ma, in presenza di elementi seriamente inducenti a ritenere l’insussistenza di corrispondente prestazione commerciale, perde detta idoneità, cosi determinandosi il passaggio sul contribuente dell’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni rappresentate(così da ultimo e tra le tante Cass.n.6229/13) .
Inoltre, dalla lettura della sentenza impugnata -nella quale testualmente si afferma che l’Ufficio “contesta l’attendibilità delle scritture contabili sulla base di presunzioni di operazioni fittizie della quali non fornisce alcuna prova, né precisa quali siano le circostanze precise, gravi e concordanti dalle quali sarebbe risalito, sulla base dell’art.2729 c.c., all’accertamento impugnato dalla ricorrente”- emerge l’insufficienza della motivazione in punto di affermata insussistenza degli elementi presuntivi sulla base dei quali si era giunti all’accertamento.
Risulta, infatti, omessa ogni valutazione sul criterio di. redditività media stabilito dagli studi di settore per attività similari (macelleria) utilizzato dall’Amministrazione finanziaria per la determinazione del reddito, come indicato nello stesso avviso e riprodotto in seno al ricorso per cassazione.
In materia questa Corte ha più volte affermato il principio, cui il Collegio ritiene di attenersi, per cui in tema d’accertamento delle imposte gli accertamenti del reddito di impresa alle persone fisiche, di cui all’art.39, primo comma lett.d) del d.p.r. 26.10.1972 n.633 possono essere fondati anche sulle esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art.62 bis dello stesso d.l. n.331 del 1993 (cfr.Cass. n. 9613/2008; id. n.20857/2007; id.n.17 97/2005). La legittimità dell’utilizzo degli studi di settore sulla produttività media da parte dell’amministrazione per la ricostruzione del reddito ed il loro valore di idonea presunzione comporta l’inversione dell’onere della prova sul contribuente il quale potrà contestare specificamente il dato ed eventualmente offrire la prova contraria.
Il Giudice di appello non si è attenuto a tali principi.
Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa, anche per il regolamento delle spese del presente grado, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.
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