Corte di Cassazione sentenza n. 17468 del 05 maggio 2011
SICUREZZA SUL LAVORO – COORDINATORE PER LA PROGETTAZIONE E PER L’ESECUZIONE – RESPONSABILITA’ – INFORTUNIO
massima
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Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dall’art. 5 D.Lgs. n. 494 del 1996, oggi trasfuso nel D.Lgs. 81/2008 e successive modifiche, ha una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto).
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FATTO – DIRITTO
L.G. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, nel riformare in melius quella di primo grado quanto al beneficio della non menzione, lo ha comunque ritenuto (nelle qualità di coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori) responsabile per un infortunio sul lavoro (lesioni personali colpose in danno di V.C.), unitamente ad altro imputato (non ricorrente, nella qualità di responsabile di cantiere).
Trattavasi di infortunio verificatosi all’interno di un cantiere durante un’operazione di scarico da una gru di materiali edili, con avvenuto sganciamento del carico, che aveva finito con l’investire uno dei lavoratori impegnati nell’attività.
Per quanto interessa, l’addebito formalizzato e ritenuto a carico del L. era concretizzato nel fatto che questi, violando gli obblighi derivategli dalle suddette qualità, aveva omesso di verificare le modalità di svolgimento delle operazioni di scarico di materiali edili a mezzo di gru.
Era accertato che il piano di sicurezza redatto dal L. prevedeva correttamente la predisposizione di appositi accorgimenti al fine di evitare rischi di caduta del carico della gru causati da errata imbracatura.
Era altresì dato per accertato che il L. stesso aveva frequentemente verificato il lavoro svolto in cantiere.
L’addebito era allora formalizzato e ritenuto sotto il profilo che la modalità irregolare di trasferimento del carico (con carico in particolare eccessivo) era frutto di una prassi routinaria, onde il L. aveva omesso in concreto di verificare il rispetto delle prescrizioni precauzionali, giacchè diversamente, come poi fatto dopo l’infortunio, avrebbe dettato prescrizioni più rigorose e specifiche.
Con il ricorso si censura il giudizio di responsabilità.
Si sostiene la genericità dell’addebito sul rilievo che la contestazione non avrebbe riguardato proprio la poi ravvisata inosservanza nelle operazioni di scarico dei travetti.
Si sostiene la contraddittorietà e l’illogicità della decisione che aveva ravvisato la condotta omissiva pur riconoscendo che il L. aveva proceduto a verifiche in loco, quasi prefigurando un obbligo di presenza nel cantiere che non sarebbe previsto dalla norma.
Si sostiene che l’evento sarebbe stato determinato da una serie di condotte colpose, ad altri ascrivibili, che non potevano ricondursi alla proprio qualità professionale: il carico eccessivo di travetti, le modalità di parcheggio del camion ove questi erano allocati, il transito in loco del lavoratore durante le operazioni.
Si censura come eccessiva la pena, giacchè l’incensuratezza e il corretto comportamento processuale avrebbero dovuto importare la declaratoria di prevalenza delle attenuanti generiche.
Si deduce, infine, l’irritualità della notificazione dell’avviso di deposito della sentenza di appello all’imputato.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Corretto e congruamente motivato appare il giudizio sulla responsabilità.
Vale in rilievo l’apprezzamento delle qualità soggettive del prevenuto e degli obblighi conseguenti.
In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per la progettazione, ai sensi del Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 4 (all’epoca vigente), ha essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori; diversamente, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ai sensi dell’articolo 5 stesso decreto, ha i compiti: (a) di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l’applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza; (b) di verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), piano complementare di dettaglio del PSC, che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; (c) di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni. Trattasi di figure le cui posizioni di garanzia non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza sul lavoro, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell’incolumità dei lavoratori (cfr., tra le altre, Sezione 4, 4 marzo 2008, Bongiascia, rv. 240393).
Nella specie, è stato accertato ed è incontroverso che il L. avesse entrambe le qualità.
In questa prospettiva, non irragionevole è la contestazione relativa alla mancata verifica della rischiosità e pericolosità delle operazioni di scarico del tipo di che trattasi (ritenute “comuni”), senza che alla Corte di merito possa addebitarsi di avere ipotizzato un obbligo (che non è nella legge) di presenza costante nel cantiere da parte del coordinatore.
L’obbligo di verifica (questo sì da attuare costantemente) è invece proprio del ruolo di coordinatore per l’esecuzione e risulta (secondo apprezzamento di fatto incensurabile perchè non irragionevole) essere rimasto insoddisfatto a fronte della prassi operativa “irregolare” che, in quanto comunemente osservata, avrebbe potuto e dovuto essere stata attenzionata e adeguatamente contrastata (come poi dopo l’incidente).
L’addebito, va detto, non sconta alcuna genericità giacchè, come del resto esattamente statuito dalla Corte di appello, il L. è stato in grado di difendersi puntualmente, su un addebito sicuramente compreso nella formulazione originaria della contestazione, senza che cio’ abbia rappresentato alcun vulnus defensionale.
Del resto, va ricordato, secondo principio pacifico, che, nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’articolo 516 c.p.p. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’articolo 521 dello stesso codice. Ciò perchè, nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d’imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l’aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione: ciò dovendosi ritenere in quanto il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicchè questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (Sezione 4, 17 gennaio 2008, Romano ed altro).
Adeguato l’approfondimento sulla rilevanza (anche) della condotta del L. nella verificazione dell’addebito, giacchè, anzi, proprio l’osservanza degli obblighi di controllo avrebbero potuto contrastare le condotte colpevole (affatto imprevedibili) di altri: in primo luogo, quella del responsabile del cantiere.
Quanto al giudizio di prevalenza delle generiche, se è pur vero che la Corte di merito non ha particolarmente motivato in punto di trattamento dosimetrico, la pena cui è stato condannato il L. (la sola pena pecuniaria, in misura prossima ai minimi) giustifica uno sforzo motivazionale contenuto e per implicito.
Generico e non documentato è il motivo procedurale afferente la notifica della sentenza di appello. In ogni caso, la tempestività del ricorso per cassazione esclude alcun rilievo alla dedotta questione.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuto alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’articolo 129 c.p.p. (nella specie la prescrizione del reato è maturata successivamente alla proposizione del ricorso) (v. Sezioni unite, 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, rv 217266).
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
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