CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 luglio 2013, n. 17478
Rapporto di lavoro – Modalità modalità di esecuzione delle prestazioni – Configurazione della subordinazione
Svolgimento del processo
Con sentenza del 9 agosto 2008 la Corte d’appello di Napoli, confermando la decisone del Tribunale di Napoli del 25 luglio 2003, ha ritenuto fondata la domanda spiegata da P. L., riconoscendo la natura subordinata del suo rapporto con R.F.I. s.p.a., osservando al riguardo che la P. aveva lavorato come medico aiuto provvisorio a partire dal 1995 alle dipendenze della società nonostante che fosse stata formalmente inquadrata come libera professionista. Nel pervenire a tal conclusione la Corte territoriale osservava, per quello che interessa in questa sede, che, nonostante che il d.m. 22 giugno .984 n. 1542 costituente la fonte regolatrice del rapporto, aveva definito aprioristicamente il rapporto di lavoro dei c.d. “medici aiuto” fiduciari quale incarico disciplinato dalle norme del codice civile riguardanti le prestazioni d’opera intellettuale escludendo la qualità di impiegati e ciò aveva fatto in contrasto con la definizione di lavoro subordinato contenuto nell’articolo 2094 c.c. oltre che con la definizione del contratto d’opera di cui all’art. 2222 c.c. Rimarcava inoltre il giudice d’appello che le modalità con cui si era spiegata l’attività lavorativa della P., che erano proprio quelle previste e disciplinate dalla regolamentazione di cui al suddetto decreto, inducevano a considerare esistente la subordinazione anche all’esito della svolta istruttoria. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la s.p.a. Ferrovie dello stato, che si affida a sei motivi.
Resiste con controricorso la P..
R.F.I. s.p.a. ha presentato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 1363 e 1366 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si assume che la corte territoriale avrebbe violato i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dalle norme citate omettendo l’esame di alcune norme contenute nel regolamento approvato con DM 22 giugno 1984 n. 1542 disciplinante la materia.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si assume che la corte territoriale avrebbe travisato l’applicazione dei caratteri che regolano, da un lato, il rapporto di lavoro subordinato, e dall’altro il rapporto di lavoro autonomo.
Con il terzo motivo si lamenta contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che gli elementi probatori indicati nella sentenza impugnata non sarebbero affatto idonei a suffragare la tesi contenuta nella decisione, in quanto numerose circostanze riportate nella sentenza attesterebbero la natura autonoma e non subordinata del rapporto.
Con il quarto motivo si lamenta insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si assume che, per i motivi di cui al motivo precedente, gli elementi probatori esposti nella sentenza impugnata non sarebbero sufficienti a risolvere la controversia in questione nel senso di cui alla decisione.
Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 comma 2 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si assume che, anche a voler ritenere che il regolamento disciplinante il rapporto di lavoro in questione configuri un rapporto di lavoro subordinato, ciò riguarderebbe solo l’aspetto formale del rapporto non decisivo a stabilirne la reale natura per la quale la Corte avrebbe dovuto esaminare soprattutto il concreto comportamento delle parti.
Con il sesto motivo si lamenta ancora insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si assume che, per i motivi esposti riguardo al motivo precedente, la sentenza sarebbe affetta anche da vizio di motivazione per non avere la Corte esaminato il concreto comportamento delle parti rilevante ai fini della determinazione della natura del rapporto di lavoro in questione.
Il ricorso va rigettato. Ed invero il primo ed il secondo motivo con i quali si addebita alla sentenza impugnata di non avere tenuto conto del contenuto della specifica regolamentazione del rapporto lavorativo sulla base del decreto ministeriale, e di avere valorizzato elementi di scarso rilievo per qualificare il rapporto lavorativo come subordinato, vanno rigettati perché privi di fondamento. Ed infatti la sentenza impugnata ha, con una motivazione congrua e priva di salti logici e corretta sul versante giuridico e pertanto non censurabile in questa sede di legittimità, rimarcato come dalle risultanze istruttorie e specificatamente dalla prova per testi fosse emerso che la P. era tenuta a firmare i fogli di presenza, come tutti gli impiegati, era obbligata ad osservare sempre lo stesso orario di lavoro, prendeva disposizioni sul da farsi dal direttore sanitario, era tenuta a prestare la propria opera in sostituzione del collega assente, ad assicurare la reperibilità e ad effettuare accertamenti sanitari domiciliari nell’ambito della durata massima della prestazione giornaliera non superiore a tre ore. Circostanze queste che, per le modalità di esecuzione delle sue prestazioni attestano come la P. fosse stabilmente inserita nella organizzazione aziendale. Ne può sottacersi, al fine di confortare il precedente assunto, che il giudice d’appello ha correttamente evidenziato come la P. svolgesse le sue mansioni con le stesse modalità previste dal decreto ministeriale; modalità che costituivano elementi di obiettiva caratterizzazione, o meglio di identificazione, di un rapporto di lavoro subordinato, per cui detto decreto non poteva essere vincolante nella parte in cui riconosceva al rapporto disciplinato la natura di rapporto professionale autonomo.
I motivi terzo e quarto devono ritenersi invece inammissibili perché, anche a diverso titolo, sono intesi a chiedere in questa sede di legittimità, una rivisitazione delle risultanze istruttorie al fine di pervenire ad una diversa valutazione delle stesse e, con essa, ad una riforma della impugnata sentenza.
In conclusione, le stesse argomentazione svolte con riferimento ai primi due motivi del ricorso portano ad evidenziare la inammissibilità e l’infondatezza anche del quinto e sesto motivo del ricorso, con il quale si denunzia una errata interpretazione da parte del giudice d’appello del decreto ministeriale per violazione del disposto dell’art. 1362 c.c. ed un vizio di motivazione con riferimento riguardante l’esame delle norme regolamentari e della prova per testi. In primo luogo va osservato come le censure spiegate non appaiono specifiche e conferenti avendo il giudice d’appello dato una lettura del decreto in esame corretta sul piano giuridico dal momento che è stato da detto giudice affermato come non fosse consentito alla suddetta fonte regolamentare contraddire i principi codicistici di qualificazioni del lavoro autonomo e di quello subordinato. Inoltre si tenta, con tali censure, nuovamente di rivisitare le risultanze istruttorie ed esaminare nuovamente la disciplina regolamentare sul rapporto lavorativo dei medici, con censure che non possono più avere ingresso nel giudizio di cassazione risultando pure su tali punti la decisione del giudice d’appello congruamente motivata e corretta sul piano logico-giuridico.
Il ricorso va conseguentemente rigettato e, il ricorrente soccombente va condannato al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 50,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.
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