CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 luglio 2013, n. 17486
Previdenza e assistenza – Istituti o enti di assicurazione sociale – Incidente sul lavoro – Prestazioni assicurative agli aventi causa del lavoratore deceduto – Regresso dell’Inail nei confronti del datore
Svolgimento del processo
Il Giudice del lavoro di Barcellona con sentenza n. 656/2002 condannava F. S. e F. D. al pagamento in favore dell’INAIL della somma di euro 6.941.75, oltre accessori a titolo di rivalsa delle prestazioni assicurative erogate agli aventi causa di P. lo S. deceduto mentre lavorava alle dipendenze di F. S. titolare dell’omonima ditta a seguito di folgorazione elettrica che si era trasmessa al braccio dell’autogrù condotta da! F. D. ed attingendo il P. mentre stava posizionando un pannello metallico su detto mezzo operativo.
La Corte di appello di Messina con sentenza del 13.6.2009 rigettava l’appello proposto dal F. S. e dal F. D. ed osservava che la condanna intervenuta in sede penale del datore di lavoro determinava la responsabilità civile dello stesso indipendentemente dall’essere intervenuto l’INAIL in giudizio. Inoltre aggiungeva che la corresponsione di una somma da parte degli appellanti a tacitazione delle parti civili non aveva rilievo in quanto l’INAIL agiva in sede di regresso e quindi in base ad diversa causale. Osservava ancora che la circostanza relativa al preteso difetto di convivenza a carico non poteva essere opposta all’INAIL in sede di regresso in quanto l’INAIL faceva valere un proprio diritto nascente in relazione al rapporto con i responsabili dell’evento lesivo; sulla somma dovuta spettavano inoltre, stante la natura del rapporto, gli accessori.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso F. S. e F. D. con tre motivi; resiste l’INAIL con controricorso che ha depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si allega l’omessa ed insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisi; nonché la violazione degli artt. 132 primo comma, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. del c.p.c. Era stata corrisposta una somma a totale tacitazione delle pretese delle parti lese nel corso die giudizio penale.
Il motivo appare inammissibile non essendo stato formulato né il quesito dì diritto, né il cosiddetto quesito riassuntivo ex art. 366 bis c.p.c. In ogni caso la Corte di appello ha già correttamente replicato sul punto che l’elargizione effettuata dall’INAIL per la quale l’Istituto agisce in sede di regresso ha causale diversa dai diritti transatti tra le parti private in sede penale; sul punto non è stata svolta da parte ricorrente alcuna argomentazione volta a contestare in specifico quanto osservato dalla Corte territoriale.
Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 106 DPR n. 1124 e dell’art. 1916 e art. 2697 c.c.. Gli eredi del P. non erano viventi a carico del defunto. Uno dei ricorrenti ( F. D.) non era datore di lavoro, ma il responsabile civile e pertanto allo stesso non era precluso di poter eccepire la qualità di non vivente a carico degli eredi.
Il motivo appare infondato in quanto” l’azione, esercitata dall’I.N.A.I.L. nei confronti delle «persone civilmente responsabili», per la rivalsa delle prestazioni erogate all’infortunato, nel caso di responsabilità penale accertata nei confronti del datore di lavoro o dei suoi preposti alla direzione dell’azienda o alla sorveglianza dell’attività lavorativa configura – non già un’azione surrogatoria ex art. 1916 cod. civ., che l’Istituto può esercitare, facendo valere in sede ordinaria il diritto al risarcimento del danno spettante all’assicurato, contro il terzo responsabile dell’infortunio che sia esterno al rischio protetto dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro – bensì la speciale azione di regresso spettante (“jure proprio”) all’Istituto ai sensi degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, che è esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell’infortunio a causa della condotta da essi tenuta in attuazione dei loro compiti di preposizione o di meri addetti all’attività lavorativa, giacché essi, pur essendo estranei al rapporto assicurativo, rappresentano organi o strumenti mediante i quali il datore di lavoro ha violato l’obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro, senza che a ciò sia di ostacolo la possibile affermazione della loro responsabilità solidale atteso che l’art. 2055 cod. civ. consente la diversità dei rispettivi titoli di responsabilità (contrattuale per il datore di lavoro ed extracontrattuale per gli altri)” (cass. sez. un. N. 3288/97): la tesi sviluppata al motivo per cui sia invece applicabile l’art. 1916 c.c.. non è -quindi- fondata. La documentazione da cui risulterebbe che il P. S. non poteva considerarsi ” a carico” in ogni caso non è stata prodotta unitamente al ricorso in cassazione.
Con l’ultimo motivo si allega l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi, nonché la violazione degli artt. 132 primo comma n. 4 c.p.c e 118 disp. att. del c.p.c. e la violazione dell’art. 112 c.p.c La rivalutazione non era stata richiesta e non spettava. Non poteva valere come prova l’attestazione di credito prodotta dall’INAIL; spettavano i soli interessi dalia domanda come sollevato nell’atto di appello ma senza risposta da parte della Corte territoriale.
Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il credito relativo al rimborso delle prestazioni eseguite a favore dell’infortunato è di valore e non di valuta ( cfr. cass. n. 5444/2011, cass. n. 5935/2008) e pertanto certamente spettavano gli accessori così come ritenuto dai provvedimento impugnato. La Corte territoriale ha anche osservato che l’attestazione aggiornata di credito dell’INAIL in base alla quale è stato rideterminato il credito non è stata oggetto di contestazione per cui le doglianze oggi proposte appaiono tardive; inoltre il documento non è stato prodotto unitamente al ricorso e non viene ricostruito a motivo il calcolo presuntivamente errato accolto dai giudici di merito ed indicata !a somma eventualmente correttamente dovuta. Le contestazioni mosse ai criteri di calcolo accolti in primo come in secondo grado appaiono non confortate sul piano documentale e conseguentemente generiche.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite- liquidate come al dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 50,00 per spese, nonché in euro 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori.
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