CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 19 luglio 2013, n. 17673
Compenso amministratore – Delibera assembleare – Necessità
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte che, nel giudizio introdotto dalla srl F.-F. M. T., con l’impugnazione dell’avviso di accertamento con il quale, per quanto ancora rileva, venivano ripresi a tassazione per l’anno 2000 i compensi corrisposti agli amministratori, considerati indeducibili in quanto non validamente documentati, nonché spese per viaggi e ristoranti, ne ha rigettato l’appello quanto alla prima ripresa, mentre lo ha accolto con riguardo alla seconda.
La Commissione regionale, infatti, pur osservando che tutte le registrazioni contabili richiedono un supporto documentale da cui rilevare la liquidazione del debito o credito e successivamente il pagamento; che nel caso degli amministratori il rapporto fiduciario che si instaura con l’assemblea dei soci, “e che comprende anche la determinazione di un eventuale compenso, non emerge da alcun documento, dando quindi adito a pretese non prestabilite, e nell’economia dell’azienda a costi non budgettabili”; che “la tesi di ripartizione dell’importo liquidato all’amministratore quale corrispettivo dell’impegno di modellista non è corretta”, dovendosi considerare il percipiente “lavoratore autonomo con tutte le relative iscrizioni obbligatorie, che in verità per la parte contributiva e fiscale erano state assolte”; tuttavia, “constatato che il contribuente, seppure manifestando un comportamento non completamente conforme, non ha arrecato danni all’erario avendo pagato quanto dovuto, mentre ne deriverebbero al contribuente in caso di accoglienza dell’appello, dovendo pagare nuovamente quanto già corrisposte senza poterne richiedere il rimborso per decadenza dei termini”, ha ritenuto la detta spesa deducibile.
Per quanto attiene ai costi relativi a spese di viaggio e ristoranti, ha invece ritenuto che, essendo supportati da ricevute fiscali e non da fatture, e quindi da documenti non nominativi, non era possibile rilevarne l’inerenza, come è diritto del fisco di verificare; ed ha osservato che sarebbe stato sufficiente che “il documento di viaggio e le spese, essendo relativi ad un affare affidato ad un dipendente, riportasse il nome del cliente visitato e quello del dipendente incaricato, indicazioni queste non rilevate nel corso del procedimento”.
La società contribuente resiste con controricorso, articolando due motivi di ricorso incidentale, il primo dei quali condizionato.
Motivi della decisione
I ricorsi, siccome proposti nei confronti della medesima decisione, devono essere riuniti per essere definiti con unica pronuncia.
Con l’unico motivo del ricorso principale l’amministrazione, denunciando “violazione o falsa applicazione degli artt. 49, comma 2, e 75 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo vigente all’epoca dei fatti, e dell’art. 2389 cod. civ.”, assume che per i redditi di lavoro autonomo derivanti, tra l’altro, dagli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, la prima delle disposizioni in rubrica richiederebbe una “retribuzione periodica prestabilita”, mentre l’art. 2389, primo comma, cod. civ., individuerebbe nell’assemblea dei
soci il soggetto al quale è affidato il compito di stabilire, con una delibera specifica, il compenso spettante ai membri del consiglio di amministrazione. Nella specie sarebbe pacificamente assente la prova della predeterminazione di tali compensi. La sentenza impugnata, pur condividendo tale impostazione, ha tuttavia accolto la domanda della contribuente sul rilievo di una presunta assenza di danno per l’erario, senza peraltro dimostrarla, all’esito di verifica dell’effettivo assoggettamento ad imposizione dei compensi percepiti dagli amministratori e del livello di tale imposizione.
La società contribuente propone un motivo di ricorso incidentale condizionato, denunciando la “violazione e falsa applicazione dell’art. 74, secondo comma, e 75, q quinto comma, del DPR n. 917 del 1986”, per avere la sentenza trascurato di considerare che i costi sostenuti dall’amministratore, e dai dipendenti e/o rappresentanti della società nel corso delle trattative commerciali, al fine di raggiungere l’accordo di vendita, con una diretta e immediata aspettativa di ritorno commerciale, sarebbero qualificabili come spese di pubblicità, e sarebbero quindi interamente deducibili.
Con un secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., la contribuente lamenta che il giudice d’appello non si sia pronunciato sul motivo di appello incidentale concernente la riforma della sentenza di primo grado che ha negato la deducibilità delle spese di pubblicità e di propaganda.
Il ricorso principale è fondato, non potendosi considerare deducibile la spesa in discorso, in difetto dei requisiti di certezza e di inerenza prescritti dall’art. 75 del TUIR del 1986. L’attività di amministratore di società è infatti compresa, in base all’art. 49, secondo
comma, lettera a), del TUIR del 1986, che individua e regola, ai fini delle imposte dirette, i redditi da lavoro autonomo, fra “i rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività … che, pur avendo contenuto intrinsecamente … professionale, sono svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilità”.
Questa Corte, con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389, primo comma, cod. civ. (nel testo vigente prima delle modifiche, non decisive sul punto, di cui al DLgs. n. 6 del 2003),
ha affermato che “qualora non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa:
la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea (art. 2630, secondo comma cod. civ., abrogato dall’art. 1 del DLgs. n. 61 del 2002);
la distinta previsione delle delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 cod. civ.);
la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, cod. civ.).
Conseguentemente, l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’art. 2389 cit., salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori” (Cass. sez. un., 29 agosto 2008, n. 21933; si veda, inoltre, Cass. n. 28243 del 2005).
Sono invece infondati i due motivi di ricorso incidentale, da esaminare congiuntamente in quanto legati, essendo la decisione del giudice di merito sul punto immune da censura e conforme agli indirizzi di questa Corte.
In materia di imposte sui redditi, rientrano infatti “tra le spese di rappresentanza di cui all’articolo 74 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917, i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre ne
restano escluse le spese sostenute per incrementare le vendite; i pranzi offerti ai clienti non costituiscono spese di rappresentanza qualora sussista una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite.
Nella specie la S.C. ha ritenuto la sentenza di merito, che aveva qualificato quelle sostenute dalla contribuente come spese di pubblicità in quanto dirette ad aumentare il volume delle vendite, priva di un’adeguata motivazione atta a suffragare quanto ritenuto, non consentendo di ricostruire l'”iter logico” che aveva indotto il giudice di seconde cure a ritenere le dette spese dirette ad aumentare il volume delle vendite, occorrendo una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese e della sua diretta imputabilità” (Cass. n. 10959 del 2007).
In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto, mentre va rigettato il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata in relazione al ricorso accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto
del ricorso introduttivo della contribuente.Le spese del giudizio, come quelle per i gradi di merito, vanno interamente compensate fra
le parti, considerato che l’orientamento giurisprudenziale di riferimento si è formato successivamente alla proposizione del ricorso introduttivo.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.
Dichiara interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito e quelle del presente giudizio.
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