CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 luglio 2013, n. 17676
Tributi – Imposte indirette – IVA – Elusione fiscale contestabile alla società di comodo – Limiti
Ritenuto fatto
1. Con sentenza n. 136/10/06, depositata il 28.2.07, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Morbegno avverso la decisione di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla Asta società semplice nei confronti del silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione finanziaria sull’istanza di rimborso dell’ IVA, a suo dire, indebitamente versata per l’anno di imposta 2002.
2. La CTR, confermando la decisione di primo grado, riteneva, invero, non comprovata agli atti la circostanza -che aveva determinato la formazione del silenzio rifiuto sull’istanza della contribuente – che quest’ultima costituisse una società di comodo, come tale soggetta al divieto di rimborso dell’eccedenza dell’IVA, ai sensi degli artt. 30, co 1 L. 724/94 e 3, co. 37 L. 662/96.
3. Per la cassazione della sentenza n. 136/10/06 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a tre motivi, ai quali la società Asta ha replicato con controricorso.
Considerato in diritto
1. La A. s.s. proponeva, a seguito della cessazione dell’attività, istanza di rimborso dell’IVA, a suo dire, versata in eccedenza nell’anno 2002. La richiesta veniva, peraltro, respinta dall’Ufficio, sul presupposto che la società non svolgeva attività commerciale, bensì esclusivamente attività di mero godimento di immobili, e che, quindi, la stessa doveva ritenersi “società di comodo”, come tale esclusa dal diritto al rimborso, ai sensi degli artt. 30, L. n. 724/94 e 3, co. 37 L. n. 662/96.
1.1. Avverso il silenzio rifiuto proponeva ricorso in sede giurisdizionale la contribuente, deducendo che il mancato conseguimento di ricavi e l’impossibilità di conseguirli costituivano l’effetto di eventi straordinari ed imprevedibili, che giustificavano, pertanto, la non applicabilità delle disposizioni derogatorie speciali succitate.
1.2. Il ricorso veniva ritenuto fondato nei due gradi del giudizio dì merito. Avverso la pronuncia n. 136/10/06, emessa dalla CTR della Lombardia, ha, quindi, proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di tre censure.
2. Con il primo e secondo motivo dì ricorso, l’Amministrazione finanziaria denuncia l’omessa e contraddittoria motivazione su fatti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
2.1. Osserva la ricorrente che la CTR, nell’impugnata sentenza, non avrebbe tenuto conto di una serie di elementi esposti dall’Agenzia delle Entrate nell’atto di appello, a sostegno della natura dì “società di comodo” che la A. s.s. rivestirebbe. Di più, la motivazione della decisione – a parere dell’Amministrazione – si presenterebbe contraddittoria, laddove avrebbe ascritto il carattere della straordinarietà a fatti qualificati, dalla stessa CTR, come prevedibili e, dunque, del tutto ordinari, e laddove avrebbe considerato praesumptum de praesumpto, la mera conseguenza della sussistenza di una “società di comodo”, tratta dall’Ufficio dalla non operatività dell’ ente.
2.2. Le censure sono inammissibili.
2.2.1. L’amministrazione ricorrente ha, invero, del tutto omesso di formulare un’indicazione riassuntiva e sintetica, contenente la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume contraddittoria, insufficiente, o addirittura omessa, ai sensi dell’ art. 366 bis, co. 2, c.p.c. (applicabile alla fattispecie ratione termporis), a tenore del quale la formulazione della censura ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. deve contenere un “momento di sintesi” omologo del quesito dì diritto, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo operata dalla parte ricorrente (Cass. 8897/08, Cass.S.U. 11652/08, Cass. S.U. 16528/08, Cass. 24255/11).
Nel caso di specie, per contro, l’Agenzia delle Entrate si è limitata ad effettuare una lunga esposizione dei motivi per i quali la motivazione dell’ impugnata sentenza sarebbe affetta dal vizio motivazionale dedotto, senza proporre il ed. quesito di fatto, riassuntivo della censura, imposto dal previgente art. 366 bis, co. 2 c.p.c, applicabile temporalmente alla fattispecie concreta.
2.2.2. Per cui i motivi di ricorso in questione – per le ragioni suesposte – non possono trovare accoglimento.
3. Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 45 della L. n. 662/96 e dell’art. 4, co. 5 del d.P.R. 633/72, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
3.1. Il diniego di rimborso dell’IVA – a parere dell’ Amministrazione – sarebbe stato pienamente legittimo, ricorrendo nella specie i presupposti di cui alla succitata normativa speciale, pur in assenza – contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR – di previa contestazione della simulazione di oggetto sociale.
3.2. La censura è infondata.
3.2.1. Se – per vero – la motivazione dell’impugnata sentenza si palesa erronea (e va corretta ex art. 384, u.c., c.p.c.), nella parte in cui ha ancorato l’illegittimità del diniego di rimborso alla mancata, previa, contestazione della simulazione dell’oggetto sociale, la conseguenza cui la CTR è pervenuta, circa l’insussistenza dei presupposti per l’applicabilità delle disposizioni suindicate, appare, per contro, pienamente condivisibile.
3.2.2. Va osservato, invero, al riguardo, che, in tema di IVA ed in ipotesi di istanza di rimborso della imposta versata in eccedenza, le disposizioni antielusive che fanno divieto di effettuare rimborsi a società non operative non si applicano, secondo quanto previsto dall’art. 30, co. 1, della L. n. 724/94 (sostituito dall’art. 3, co. 37, della L. n. 662/96), “ai soggetti che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività”. Tali soggetti, peraltro, non sono soltanto le società poste in liquidazione, poiché il legislatore, usando la anzidetta ampia espressione, non ha evidentemente inteso restringere l’eccezione ivi prevista al solo caso della liquidazione dell’ente (cfr. Cass. 10100/05, 11368/12).
3.2.3. Orbene, con riferimento al caso concreto, va rilevato che, dall’ esame del controricorso, si evince che -nelle controdeduzioni proposte dinanzi alla CTR, trascritte nell’atto suindicato – la A. s.s. aveva esposto una serie di fatti e di circostanze (controversie giudiziarie con i venditori di alcuni immobili acquistati nel corso dell’attività sociale, dichiarazione di fallimento di taluni venditori e conseguenti azioni revocatorie delle relative procedure, liquidazione volontaria della A. s.s. e successiva revoca della stessa), certamente idonee ad evidenziare la sussistenza di un periodo di attività fortemente limitata e ridotta, per fatti straordinari ed imprevedibili. Ne consegue, pertanto, che le succitate disposizioni antielusive – per le ragioni suesposte – non possono considerarsi applicabili nel caso di specie.
4. Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate deve, pertanto, essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 2.500,00, oltre ad e 200,00 per esborsi ed accessori di legge.
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