Corte di Cassazione sentenza n. 17796 del 17 ottobre 2012
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – CONTRATTO DI LAVORO A TERMINE – SCADENZA DEL TERMINE APPOSTO ILLEGITTIMAMENTE – RISOLUZIONE DEL RAPPORTO PER MUTUO CONSENSO – CONFIGURABILITA’ – CONDIZIONI – RELATIVA VALUTAZIONE DEL GIUDICE DI MERITO – CENSURABILITA’ IN SEDE DI LEGITTIMITA’ – ESCLUSIONE – LIMITI – FATTISPECIE
massima
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Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
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Ritenuto in fatto – Considerato in diritto
Rilevato che:
1. la Corte d’appello di Catania, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro con decorrenza 4 gennaio 2000 stipulato da Poste Italiane s.p.a. con C. P.;
2. per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da memoria; il lavoratore ha resistito con controricorso;
3. il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata;
4. con il primo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione degli artt, 1372, primo comma, 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 cod. civ.) la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso;
5. la censura è infondata; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto dì lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla partì e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, stante la sua durata, e in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale conclusione in quanto priva dì vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso;
6. quanto alla statuizione concernente l’illegittimità del termine osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimità del termine, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998;
7. tale impostazione è stata censurata dalla ricorrente col secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, con i quali viene denunciata violazione degli artt. 99, 112, 414, 345 e 437, secondo comma, cod. proc. civ., dell’art. 1421 cod. civ., degli artt. 1 e 2 della legge n. 230 del 1962, dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, degli artt. 1362 e segg. cod, civ. in relazione all’interpretazione delle norme collettive applicabili al rapporto e vizio di motivazione; sostiene, in particolare, l’erronea applicazione dei principi di cui al citato art. 23 e della disciplina collettiva che a tale norma fa riferimento; deduce inoltre che la scadenza dell’efficacia temporale dell’accordo sindacale del 25 settembre 1997 non era mai stata dedotta in giudizio dal lavoratore; la Corte territoriale avrebbe pertanto illegittimamente ampliato il tbema decldendum;
8. premesso che la decisione della Corte territoriale, nella parte in cui ha affermato l’illegittimità del termine apposto al contratto de quo in quanto stipulato oltre il limite temporale fissato dalle parti collettive con gli accordi attuativi dell’accodo 25 settembre 1997, non viola t limiti del thema decidendum rimesso all’esame della Corte di merito, atteso che, secondo la tesi dell’appellante Poste Italiane s.p.a., la legittimità del termine apposto al contratto de quo è, in buona sostanza, basata sulla perdurante efficacia dell’accordo sindacale 25 settembre 1997 e dei successivi accordi collettivi, donde la necessità del relativo esame da parte della Corte territoriale, osserva il Collegio la statuizione stessa deve ritenersi conforme al costante insegnamento di questa Corte di legittimità;
9. al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavora idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale dì lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive dì lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011); ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola dì apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 2S settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le partì hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v„ fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 ti. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.);
10. devono essere pertanto respìnti il secondo, terzo, quarto e quinto motivo dì ricorso ;
11. con riferimento alle conseguenze economiche derivanti dalla declaratoria di illegittimità del termine, la Corte territoriale ha condannato Poste italiane s.p.a. al risarcimento danni pari alle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora individuata in quella di notifica dei ricorso;
12. con il sesto motivo viene denunciata violazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1219, 2094 e 2099 cod. civ. in relazione alla suddetta statuizione. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile, ratione temporis, al caso di specie: 1) per il principio della corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nei rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ.; con il settimo motivo si denuncia il vizio di motivazione con riferimento alla individuazione dell’atto di costituzione in mora;
13. il Collegio osserva che il quesito di cui al sesto motivo risulta del tutto generico e sostanzialmente non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4 gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi enunciati da questa Corte di legittimità (cfr,, in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il principio di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito generico e non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come nel caso di specie; la sanzione dell’inammissibilità colpisce anche il settimo motivo di ricorso atteso che esso, ne! denunciare la sussistenza di vizi di motivazione, omette di indicare, in applicazione del disposto di cui all’art. 366 bis cod, proc. civ., il “momento di sintesi” che la giurisprudenza di questa Corte (cfr,, in particolare, Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556) ha individuato come una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione;
14. deve infine escludersi l’applicabilità, al caso di specie, dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5° 6′ e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183; va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; in particolare, con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine e che essi siano ammissibili; quest’ultimo requisito non ricorre, per le ragioni sopra indicate, nel caso di specie, con la conseguenza che deve escludersi l’applicabilità nel presente giudizio del ricordato ius superveniens;
15. in definitiva il ricorso deve essere rigettato;
16. in applicazione del principio di soccombenza Poste Italiane viene condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna Poste Italiane s.p.a. al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 50 per esborsi, Euro 3000 (tremila) per onorari e oltre spese generali, (VA e CPA.
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