CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 luglio 2013, n. 18094
Rapporto di lavoro – Licenziamento collettivo – Criteri di scelta – Deroga – Incompletezza delle indicazioni contenute nella comunicazione di avvio della procedura
Svolgimento del processo
A.C. ha chiesto che venisse accertata la nullità, l’inefficacia o l’illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società C.B.H. spa per riduzione di personale nel maggio 2002, con la condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni ex art. 18 legge n. 300/70.
Il Tribunale di Bari ha accolto la domanda con sentenza che, sull’appello della società C.B.H., è stata confermata dalla Corte d’appello della stessa città, che ha ritenuto, per quanto qui interessa, che, pur richiamando i criteri di scelta di cui all’art. 5 della legge n. 223/91, la società, nella comunicazione di chiusura della procedura, avesse introdotto una rilevante deroga a tali criteri, dando “priorità assoluta” al possesso di uno specifico titolo di studio (laurea in giurisprudenza, scienze politiche, economia e commercio), e adottando così un criterio non previsto dalla legge e tale da consentire di prescindere del tutto dalla posizione in graduatoria e di determinare, appunto “in via di priorità assoluta”, i dipendenti da mantenere in servizio nell’ambito di una determinata categoria – la categoria D – del personale amministrativo, alla quale apparteneva pure l’appellato. Peraltro, secondo il giudice del merito, l’illegittimità del licenziamento derivava anche dalla incompletezza e dalla inadeguatezza delle indicazioni contenute nella comunicazione di avvio della procedura, sia in ordine alla impossibilità del ricorso a rimedi alternativi al licenziamento sia in ordine alla compiuta enunciazione delle ragioni che determinavano la situazione di eccedenza.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società C.B.H. spa affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso A.C..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 4 legge n. 223/91, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che la comunicazione di avvio della procedura fosse carente sotto il profilo della indicazione dell’impossibilità del ricorso a rimedi alternativi al licenziamento e delle ragioni dell’eccedenza strutturale.
2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 5 della legge n. 223/91, nonché vizio di motivazione, relativamente alla statuizione con cui la Corte di merito ha ritenuto sussistente un intento elusivo della società nell’individuazione del criterio legale del possesso di un determinato titolo di studio, adottato dalla C.B.H. in assenza di criteri alternativi concordati con le organizzazioni sindacali, e nella parte in cui ha stabilito che del suddetto criterio dovesse essere data informazione preventiva, e non solo successiva alla chiusura della procedura, ai sindacati.
3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 416 e 210 c.p.c., 18 della legge n. 300/70, nonché vizio di motivazione, relativamente alla statuizione con cui sono state rigettate le istanze istruttorie formulate dalla società in relazione all’accertamento all’aliunde perceptum.
4.- Il ricorso non merita accoglimento, essendo il dispositivo conforme a diritto, ancorché la motivazione della sentenza impugnata abbisogni di alcune correzioni (art. 384, ult. comma, c.p.c).
4.1.- In proposito, occorre innanzi tutto evidenziare che sulla questione questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi con la sentenza n. 24646/2007 (cui hanno fatto seguito le sentenze n. 26943/2007; n. 207/2008; n. 7596/2008; n. 8452/2010; n. 8645/2010; n. 8894/2010; n. 9166/2010), dal cui contenuto questo Collegio non ha ragione di discostarsi.
Con le citate sentenze questa Corte ha evidenziato che erano fondate le critiche mosse nei confronti della sentenza impugnata circa la ritenuta violazione della normativa in materia sotto il profilo della mancata indicazione, nella lettera di avvio della procedura, dei motivi per i quali non sarebbe stato possibile praticare soluzioni alternative alla riduzione di personale. Ed ha rilevato come risultasse dalla stessa sentenza che, nella nota di avvio della procedura di licenziamento collettivo, la C.B.H. aveva spiegato di essere nella impossibilità di ricorrere al part-time, trattandosi di rimedio incompatibile con il tipo di attività svolta e con l’organizzazione del lavoro, e di essere altresì impossibilitata ad attivare i contratti di solidarietà nonché la c.i.g., non avendo diritto alla fruizione degli ammortizzatori sociali a causa dell’inquadramento previdenziale, non già nel settore industriale, ma nel settore terziario.
4.2.- Tali indicazioni, parimenti fornite nella sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione, risultano conformi a quelle prescritte dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991, laddove, al comma 3, si impone al datore di lavoro di indicare i motivi della impossibilità di adottare misure idonee ad evitare la messa in mobilità.
Non vi è dubbio, infatti, siccome già evidenziato da questa Corte nelle citate sentenze, che le misure alternative “tipiche”, cui si ricorre per evitare la dichiarazione di esubero, siano proprio il part-time e gli ammortizzatori sociali, e nella specie la società aveva analiticamente esposto i motivi per cui detti strumenti non erano praticabili. Né è ipotizzabile l’esistenza di un obbligo, in capo al datore, di indicazione della impossibilità di adottare tutti i rimedi alternativi “astrattamente” ipotizzabili, giacché questi, nella logica stessa e alla luce delle finalità di intervento e controllo da parte delle organizzazioni sindacali cui al comunicazione è preordinata, non possono che avere come riferimento la situazione della singola azienda, così che è sufficiente esporre le ragioni per cui, nel preciso contesto aziendale, non siano praticabili le misure cui più frequentemente ed efficacemente si ricorre per evitare la dichiarazione di esubero del personale.
5.- Tuttavia, come questa Corte già stato precisato nella citata sentenza n. 24646/2007 (e nelle successive sentenze che ne hanno ribadito l’insegnamento), “l’erroneità di dette argomentazioni non determina l’annullamento della sentenza impugnata, dal momento che essa mantiene il suo fondamento in ragione della accertata carenza delle altre informazioni rese dalla società nella nota di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, carenza evidenziata in motivazione e non scalfita dal terzo motivo di ricorso che va pertanto rigettato. In relazione al terzo motivo va infatti osservato che l’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991 dispone che nella comunicazione preventiva devono essere indicati i motivi che determinano la situazione di eccedenza, nonché il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedente; solo così infatti si consente alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra i relativi termini, e cioè il nesso tra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità che, in concreto, l’azienda intende espellere, di talché la procedura potrà considerarsi regolare solo ove, nella medesima comunicazione, sia evidenziabile la connessione tra le enunciate esigenze aziendali e la individuazione del personale da licenziare … La Corte territoriale ha correttamente escluso che detta connessione fosse rinvenibile, allorché ha osservato che nella nota non si precisava in cosa consistesse realmente la eccedenza di personale, perché se questa era cagionata dal venir meno dell’attività già svolta dal cedente presso la Casa di Cura S.C., l’effetto avrebbe dovuto essere il licenziamento delle 127 unità che colà operavano, ovvero di quelle indirettamente interessate, mentre, soggiungono i giudici di merito, solo pochissimi di quei 127 lavoratori erano stati licenziati e, né dalla nota, né dall’allegato era dato capire perché, in ciascuna delle residue cinque cliniche che la C.B.H. aveva acquisito, vi fosse l’esubero indicato e perché questo si riferisse alle qualifiche individuate. Ed ancora non si spiegava perché gli esuberi dovessero essere 153, dal momento che questi avrebbero dovuto essere invece 61, come risulterebbe sommando le eccedenze, ossia le 127 unità della Clinica S.C. ed i 77 reintegrati e sottraendo le 93 unità che la stessa società si era impegnata ad assumere con l’atto di acquisto, nonché le altre 50 unità di cui all’accordo sindacale del 20 aprile 2001. Hanno inoltre osservato i giudici di merito che, quanto alle qualifiche del personale da esodare, la nota non aveva spiegato né ì motivi per cui dovessero essere licenziati tutti t collaboratori direttivi non muniti di laurea in certe discipline, né i motivi per cui dovessero essere licenziati tutti gli impiegati di concetto non muniti almeno di diploma di qualifica, né perché non potessero essere utilizzati gli infermieri generici, gli impiegati d’ordine, e neppure i coordinatori amministrativi, i capi ufficio amministrativi e i direttori amministrativi. Né nel terzo motivo di ricorso si assume l’esistenza di circostanze decisive, non considerate in sentenza, idonee a smentire le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito sulle carenze della comunicazione di avvio della procedura di mobilità. Il motivo va quindi rigettato”.
Il Collegio condivide senz’altro tali conclusioni, in quanto assolutamente aderenti alla normativa in materia e all’evolversi delle vicende che sono all’origine della presente controversia, sicché il primo motivo di gravame non può trovare accoglimento.
6.- Il rigetto del primo motivo determina l’assorbimento del secondo motivo, non essendo necessario affrontare le censure svolte con riguardo agli ulteriori motivi di illegittimità del recesso presi in esame nella sentenza impugnata, dal momento che, una volta rigettato il primo motivo, l’inefficacia del licenziamento collettivo trova ormai il suo fondamento nella accertata irregolarità della procedura.
7.- Neppure merita accoglimento il terzo e ultimo motivo.
Invero, come è stato già più volte osservato (cfr. explurimis Cass. n. 8645/2010 cit.), la deduzione dell’aliunde perceptum (ma lo stesso è a dirsi, sul piano degli oneri di allegazione e probatori, per l’aliunde percipiendum), quale fatto idoneo a limitare la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro, presuppone l’allegazione e dimostrazione da parte dello stesso, in quanto soggetto interessato ad ottenere la suddetta limitazione, dello svolgimento da parte del dipendente di una diversa attività lavorativa (o del fatto colposo del lavoratore in relazione al danno che il medesimo avrebbe potuto evitare usando la normale diligenza) e quindi dell’esistenza di ulteriori fonti di guadagno idonee a determinare una riduzione del danno.
In difetto di tale allegazione e dimostrazione, la richiesta di parte datoriale di esibizione di documenti o di acquisizione di informative non può trovare accoglimento, assumendo una funzione meramente esplorativa e risolvendosi in sostanza nell’esenzione della parte dall’onere probatorio posto a suo carico. D’altra parte, diversamente opinando, la fase istruttoria potrebbe essere protratta nel tempo senza alcuna effettiva utilità, neppure per l’istante, a danno del principio di ragionevole durata del processo (cfr. Cass. n. 13072/2003).
8.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate facendo riferimento alle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e alla tabella A ivi allegata, in vigore al momento della presente decisione (artt. 41 e 42 d.m. cit.), disponendone la distrazione a favore dell’avv. F.C., dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in € 50,00 oltre € 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, disponendone la distrazione a favore dell’avv. F.C., antistatario.
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