Corte di Cassazione sentenza n. 18319 del 25 ottobre 2012
RAPPORTO DI LAVORO – PROFESSIONISTI – RAPPORTI DI LAVORO PARASUBORDINATO – INVALIDA LA CLAUSOLA COMPROMISSORIA – ARBITRATO
massima
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La clausola compromissoria deve considerarsi invalida, per aver deferito ad un giudizio arbitrale una controversia avente ad oggetto rapporti di lavoro, ed avere precluso alle parti la facoltà di adire il giudice ordinario, cui l’art. 808 c.p.c. attribuiva invece la relativa cognizione.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con lodo del 7 novembre 2001, reso esecutivo, il Collegio arbitrale previsto dalla convenzione stipulata il 9 settembre 1997 tra la ASL (…) di Locri ed il dott. A. S. dichiarò ingiustificato il recesso unilaterale dell’Azienda, nonché risolta la convenzione per la fornitura, da parte del professionista, di un servizio specialistico angiologico per inadempimento della stessa che condannò al risarcimento del danno nei confronti del S. liquidandolo nella complessiva misura di £. 172.985.000. “L’impugnazione della ASL è stata respinta dalla Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza del 3 settembre 2009, che ha osservato: a) tra le parti era intercorso un contratto di prestazione di opera professionale con i connotati della parasubordinazione, perciò devoluto alla giurisdizione ordinaria, anche perché le prestazioni dovevano essere eseguite personalmente dal professionista, e non era perciò configurabile la concessione di un pubblico servizio; b) le parti nella convenzione avevano previsto per la risoluzione di eventuali controversie un arbitrato rituale, non emergendo dagli atti alcun elemento tale da indurre il conferimento di un mandato per l’espletamento di un’attività negoziale peculiare dell’arbitrato irrituale; c) risultava palese l’inadempimento della ASL perché con delibera 20 gennaio 1998 aveva revocato l’incarico senza alcun valido motivo, essendo documentalmente smentito che avesse provveduto ad acquistare i macchinari necessari allo svolgimento diretto del servizio.
Per la cassazione della sentenza la ASL (…) ha preposto ricorso per 4 motivi; cui resiste il S. con controricorso.
Questa Corte con ordinanza 17 maggio 2012 n. 7768 ha concesso alle parti un termine per integrare le proprie difese in ordine alla ritenuta compromettibilità ad arbitri, da parte della sentenza impugnata, delle controversie aventi ad oggetto un rapporto di lavoro autonomo. Entrambe hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso l’ASL, deducendo violazione dell’art. 5 legge 1034/1971 e carenza assoluta di motivazione/censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’art. 9 della convenzione aveva conferito al S. un incarico professionale piuttosto che la concessione del servizio sanitaria di angiologia, senza considerare: all’obbligo posto a carico di quest’ultimo di avvalersi di sostituti, nonché di dotare l’ambulatorio delle strutture necessarie per l’esecuzione delle prestazioni, e quindi gli apporti organizzativi posti a suo carico in termini di uomini e mezzi/nonché il corrispettivo determinato in misura percentuale ai ricavi ottenuti; b) la stessa natura del servizio sanitario che non poteva che espletarsi in regime di concessione e richiedeva una preventiva convenzione, nonché una serie di macchinari complessi (fra cui l’ecocolor doppler), numerosi collaboratori e una vera e propria struttura imprenditoriale, peraltro interamente a spese dello stesso professionista sia per i costi, che per la gestione; c) la giurisprudenza di legittimità assolutamente consolidata in tali sensi con particolare riguardo ai laboratori di analisi, che ravvisava in tali fattispecie un rapporto concessorio devoluto alla giurisdizione amministrativa e non compromettibile in arbitri.
Il motivo è fondato, pur se per ragioni diverse da quelle prospettate dalla ricorrente.
La sentenza impugnata ha accertato, senza contestazioni delle parti al riguardo, che con la convenzione del 9 settembre 1997. La ASL (…) richiese al dott. S., in possesso del titolo di specializzazione in angiologia, una serie di prestazioni diagnostiche e strumentali mediante ecocolor doppler, nonché visite specialistiche in angiologia e relative consulenze per i degenti dell’ospedale e gli altri assistiti dalla stessa Unità sanitaria; che le suddette prestazioni fossero eseguite personalmente dal professionista, il quale soltanto per alcune di esse, e per periodi individuati, poteva avvalersi sotto la propria responsabilità di sostituti o ausiliari;e che si svolgessero in un ambulatorio posto a disposizione dalla ASL, mentre il S. era obbligato a fornire i relativi macchinari a proprie spese, nonché dopo ciascun esame a redigere e consegnare gli opportuni referti. Ha pertanto correttamente ricondotto la convenzione, sulla sola della giurisprudenza del tutto consolidata delle Sezioni Unite di questa Corte, nell’ambito di quelle già previste dall’art. 48 legge 833 del 1978 tra medici specialisti liberi professionisti e Unità sanitarie locali, per assicurare agli utenti del Servizio sanitario nazionale (e far fronte alle esigenze sanitarie della popolazione), l’assistenza e le prestazioni medico specialistiche indicate nell’art. 25 della legge ed inquadrale dalla giurisprudenza di legittimità nonché amministrativa nello schema dei rapporti di collaborazione di diritto privato, concretantesi in una prestazione d’opera continuata e coordinata prevalentemente personale, incentrata sulla figura e sull’attività professionale del S., quale specialista sanitario (cosiddetta parasubordinazione ex art. 409, n. 3, c.p.c.):con la conseguente devoluzione delle relative controversie, pur se attengano alla risoluzione della convenzione disposta dalla U.S.L., alla giurisdizione del giudice ordinario.
A differenza di quanto accade allorché la ASL attribuisce, lo svolgimento e la gestione dell’intero servizio pubblico a strutture private, come centri di diagnostica strumentale, laboratori e gabinetti di analisi di cui agli art. 43 e 44 della legge (pur se a stipulare la convenzione sia un sanitario titolare della relativa struttura ed in questa impegnano), in cui non vengono in rilievo le prestazioni “prevalentemente personali” del professionista, né la connessione funzionale tra l’opera prestata dallo stesso e l’organizzazione del proponente, alla quale tale opera mette capo, integrandola sia pure dall’esterno; così come si verifica nell’appalto di servizi che presuppone nell’appaltatore un’organizzazione (e gestione) autonoma ad impresa (Cass. 15693/2009), allorché prevale in particolar modo l’elemento organizzativo e strutturale del concessionario, il quale si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora sì ha concessione (Cass. Sez. Un. 8212/2004; 256/2003). Ipotesi quest’ultima che non ricorre affatto nella fattispecie, in cui la stessa ASL ha escluso di avere trasferito al S. i propri poteri e le proprie competenze in ordine al servizio di angiologia/attribuendone l’esercizio al concessionario in nome e per conto proprio; ed ha anzi ricordato di avere espressamente mantenuto attraverso l’art. 8 della convenzione la facoltà di gestirlo direttamente – e quindi dì revocare l’incarico al professionista – non appena si fosse dotata degli, opportuni mezzi e dei necessari macchinari: come in effetti è avvenuto appena qualche mese dopo la convenzione con la deliberazione 20 gennaio 1998 di revoca della stessa per essersi l’ASL dotata delle attrezzature previste dall’art. 1 della stessa (pag. 29 ric.).
La convenzione, invece, ha richiesto al professionista, come accertato dalla sentenza impugnata e ribadito da quest’ ultimo, che ha ricordato anche la giurisprudenza di legittimità al riguardo (Cass. 3198 e 5258/1983; 360 e 5811/1984), una attività di collaborazione professionale concretantesi in una prestazione d’opera non occasionale – ossia limitata ad uno o più affari determinati – ma continuativa, che si estendeva cioè a tutti gli affari di una certa specie del preponente, in un determinato periodo di tempo, anche se non di lunga durata; e caratterizzata altresì dal requisito del coordinamento fra la prestazione d’opera continuativa e prevalentemente personale del medico e l’ASL preponente, nel senso che la medesima attività doveva svolgersi in connessione o collegamento con l’Azienda stessa, onde contribuire alle finalità sanitarie cui essa mira (Cass. 8457/2011; 8598/2004; 7785/1997). E tuttavia, proprio perché trattavasi di una prestazione coordinata, continuativa e prevalentemente personale, riconducibile alla previsione dell’art. 409, n. 3, c.p.c., nel caso trova applicazione l’art. 808, 2° comma c.p.c. nel testo vigente per effetto dell’art. 3 legge 25 del 1994 , secondo cui “Le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto contratti e accordi collettivi di lavoro purché ciò avvenga, a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria.
Per tali controversie, comprendenti sia quelle di lavoro subordinate (n. l.), sia quelle di lavoro autonomo, che alle prime sono espressamente equiparate dalla previsione del n. 3 quanto alla tutela processuale, la disposizione di cui all’art. 808, secondo comma, c.p.c. ammette la possibilità di inserire la clausola compromissoria, con determinate limitazioni, solo nei contratti e negli accordi collettivi. E siffatta limitazione è sostanzialmente mantenuta anche nell’art. 412 ter, introdotto dall’art. 19 D.Lgs. n. 387 del 1998 (successivo alla convenzione), che pur nell’ipotesi in cui il tentativo di conciliazione non riesce ha attribuito alle parti la facoltà di concordare di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia, anche tramite l’organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato, soltanto se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà”, qualificando l’arbitrato suddetto irrituale e stabilendo le ulteriori condizioni cui il relativo esperimento resta subordinato.
Nel caso, la ricorrenza di queste condizioni non è stata neppure prospettata dalle parti, e, d’altra parte, la clausola è contenuta solo nella convenzione 9 settembre 1997; per cui la stessa, deve considerarsi invalida, per aver deferito ad un giudizio arbitrale una controversia avente ad oggetto rapporti di lavoro, ed avere precluso alle parti la facoltà di adire il giudice ordinario, cui l’art. 808 c.p.c. attribuiva invece la relativa cognizione (Cass. 16620/2011; 12309/2003; 6206/1992) .
Assorbiti, i restanti motivi del ricorso, la sentenza impugnata va cassata; e non essendo necessaria l’acquisizione di ulteriori elementi, il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. dichiarando la nullità del lodo che ha esaminato e deciso la controversia in violazione della menzionata normativa. La ritenuta invalidità della clausola arbitrale per ragioni diverse da quelle prospettate dalla ASL, induce la Corte a compensare tra le parti le spese dell’intero procedimento.
P.Q.M.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., accoglie l’impugnazione della AUSL e dichiara la nullità del lodo, nonché interamente compensate tra le parti le spese dell’ intero procedimento.
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