CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 luglio 2013, n. 18328
Geometri – Cassa previdenza – Applicazione norma incerta – Responsabilità da illecito civile
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 28 luglio 1998 il geom. P. C. ha convenuto davanti al Tribunale di Roma la Cassa Italiana di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, per averlo indotto a chiedere la cancellazione dall’albo dei geometri, facendo affidamento sul diritto di percepire la pensione di anzianità a decorrere dal 1° gennaio 1998. La convenuta ha resistito alla domanda, eccependo di essersi uniformata ai mutati orientamenti legislativi e giurisprudenziali.
Con sentenza n. 6090/2003 il Tribunale ha condannato la Cassa Geometri a pagare al C. la somma di € 54.657,00, oltre interessi, in risarcimento dei danni.
Proposto appello dalla soccombente, con sentenza 19 luglio – 8 novembre 2006 n. 4840 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto l’appellante da ogni domanda.
Il C. propone quattro motivi di ricorso per cassazione.
Resiste l’intimata con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- La Corte di appello ha motivato la sua decisione sul rilievo che, nel disporre l’iscrizione del C. per gli anni 1962-1967 – la Cassa si è uniformata alla sentenza della Corte di cassazione n. 7343/1993, e nel disporre successivamente la revoca dell’iscrizione, si è uniformata alla legge n. 335/1995, nei tempi occorrenti ad accertarne la corretta interpretazione, alla luce degli orientamenti del Ministero del lavoro e della nuova giurisprudenza della Corte di cassazione, consolidatasi solo dopo il 2000.
2.- Il ricorso è inammissibile per la mancata, o inidonea, formulazione dei quesiti.
Nel primo motivo, che denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione – nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto giustificato il comportamento della Cassa Geometri, manca la formulazione di un momento di sintesi delle censure ai sensi dell’art. 366bis ult. parte cod. proc. civ. In base alla citata norma il ricorrente che denunci un vizio di motivazione della sentenza impugnata è tenuto – a conclusione del motivo – a sintetizzare le sue censure nel cd. quesito di fatto, cioè in una proposizione analoga al quesito di diritto che indichi chiaramente, in modo sintetico, evidente ed autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Tale requisito non si può ritenere rispettato quando solo la completa lettura della illustrazione del motivo – all’esito di una interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto e il significato delle censure, posto che la ratio sottesa alla disposizione dell’ art. 366-bis cod. proc. civ. è associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla Suprema Corte, la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito di fatto, quale sia l’errore commesso dal giudice del merito (cfr., fra le tante, Cass. civ. Sez. Un. 1° ottobre 2007 n. 20603 e 18 giugno 2008 n. 16258; Cass. Civ. Sez. 3, 4 febbraio 2008 n. 2652; Cass. Civ. Sez. III, 7 aprile 2008 n. 8897, n. 4646/2008 e n. 4719/2008; Cass. civ. Sez. 3, 14 marzo 2013 n. 6549).
3.- Il secondo motivo denuncia violazione “di norme di diritto in riferimento alla legge n. 335/95”, sul rilievo che la Corte di appello ha ritenuto giustificato il comportamento della Cassa deducendo pretese incertezze interpretative circa l’applicabilità dell’art. 3 n. 9 legge cit., a tutti gli enti previdenziali, ivi incluse le Casse professionali, laddove il testo normativo non lascia spazio ad alcuna incertezza.
3.1.- Il quesito formulato è inammissibile perché non congruente con le ragioni della decisione né con la natura delle censure proposte.
Esso è così formulato: “Se il divieto di versamento dei contributi prescritti di cui all’art. 3 n. 9 legge n. 335/95 vada applicato a qualsiasi forma di previdenza obbligatoria (compresa la Cassa Geometri) …. accertato che dove la legge non distingue neppure all’ interprete è dato distinguere”. La Corte di appello non ha affermato il principio contrario a quello indicato nel quesito. Non ha affermato, cioè, che la norma citata si applica solo ad alcuni enti. Ha ritenuto invece che l’ambito di applicazione della norma fosse obiettivamente incerto e che per questa ragione ebbe a verificarsi il ritardo nella sua applicazione da parte della Cassa Geometri.
Le censure avrebbero dovuto essere prospettate ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., sotto il profilo dei vizi della motivazione con cui la Corte di appello ha giustificato i suoi dubbi interpretativi. Non sotto il profilo della violazione di legge: violazione che non sussiste e che non ha ragione di essere richiamata, con riferimento alla questione proposta.
4.- Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 1227 cod. civ. e si conclude con il seguente quesito: “Se la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 1221 c.c. implichi soltanto che il danneggiato si comporti secondo l’ordinaria diligenza, ma non già che si accolli notevoli spese”.
Il quesito è inammissibile perché generico, astratto e comunque inidoneo a sintetizzare la questione giuridica sottoposta al giudizio della Corte di cassazione.
Il quesito di diritto deve essere formulato in modo da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.
Esso deve cioè contenere: a) l’esposizione degli elementi di fatto sottoposti all’ esame del giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che – ad avviso dei ricorrente – si sarebbe dovuta applicare.
Il quesito – quindi – non deve risolversi in una enunciazione di carattere generico e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente. Né è consentito desumere il quesito dal contenuto del motivo, o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione della norma dell’art. 366bis cod. proc. civ. (cfr. da ultimo Cass. civ. Sez. 3, 14 marzo 2013 n. 6549 e precedenti ivi cit.).
5.- Il quarto motivo – che denuncia violazione dell’art. 2043 cod. civ. quanto alla responsabilità per colpa degli enti previdenziali – si conclude con il seguente quesito: “Se anche per gli enti previdenziali sia con figurabile una responsabilità per illecito civile ex art. 2043 c.c. essendo necessario soltanto che il danneggiato fornisca la prova del dolo o della colpa e che sussiste il nesso causale tra fatto ed evento, come avvenuto nel caso di specie”.
Il quesito è inammissibile perché non congruente con le ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, che – pur prospettando il dubbio sull’applicabilità dell’art. 2043 cod. civ. agli enti previdenziali – non ha fondato la sua decisione su questa argomentazione, bensì sul fatto che, nel caso deciso, deve escludersi che sia addebitabile all’ente una qualunque colpa o negligenza.
6.- Il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile.
7.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in € 3.500,00, di cui £ 200,00 per spese ed € 3.500,00 per compensi; oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.
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