CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 gennaio 2014, n. 1846
Tributi – Accertamento – Parametri – Lavanderia – Tre box auto – Mancata emissione scontrini – Patologia cronica evolutiva – Reddito dichiarato non compatibile con la capacità contributiva – Applicabilità di studi di settore – Sussiste
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria della regione Puglia, con sentenza in data 13.12.2005 n. 119 ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio di Gioia del Colle dell’Agenzia delle Entrate ed in riforma della impugnata decisione di primo grado ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento con il quale era stata rideterminato, mediante ricorso ai parametri di congruità di cui alla legge n. 549/1995 ed al DPCM 29.1.1996 (come modificato dal DPCM 23.7.1997), il reddito imponibile ai fini IRPEF ed il volume di affari ai fini IVA relativi all’anno d’imposta 1995, dichiarati dalla ditta individuale M.V. che esercitava una impresa di lavanderia.
I Giudici territoriali ritenevano non probanti i documenti medici prodotti dal contribuente a giustificazione dello scostamento dai parametri, in quanto relativi all’anno 1997 successivo a quello di verifica, emergendo altresì ulteriori elementi indiziari che concorrevano a ritenere inattendibile l’imponibile dichiarato, essendo stato il contribuente nel 1998 oggetto di ulteriore indagine fiscale che aveva accertato la mancata emissione di scontrini, ed avendo ad acquistato nel periodo 1994-1997 la proprietà di cinque immobili, in tal modo evidenziando una capacità contributiva non compatibile con il reddito dichiarato, tenuto conto altresì che il coniuge non disponeva di redditi propri.
Avverso la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione il M., deducendo sei motivi, con atti notificati in data 11 gennaio e 19 gennaio 2007, rispettivamente al Ministero della Economia e delle Finanze ed alla Agenzia delle Entrate che non hanno resistito.
Motivi della decisione
Deve preliminarmente essere dichiarata “ex officio” l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva della parte resistente, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio svoltosi avanti la Commissione tributaria della regione Puglia introdotto con atto di appello dall’Ufficio di Gioia del Colle della Agenzia delle Entrate successivamente alla data 1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale, parte nel giudizio di primo grado ex art. 111 co 3 c.p.c. (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).
Non avendo resistito in giudizio il Ministero della Economia e delle Finanze, non deve essere disposta regolamentazione sulle spese di lite.
Il ricorrente, con il primo motivo, censura la sentenza di appello per “errores in procedendo” avendo la CTR: a) omesso di pronunciare, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sulla eccezione – proposta dal contribuente – di inammissibilità dei motivi di gravame dell’Ufficio appellante in quanto “nuovi e fondati su eccezioni, elementi e documenti neppure tempestivamente allegati dall’appellante Amministrazione” (ricorso pag. 8); b) pronunciato in violazione del divieto di “jus novorum” prescritto dall’art. 57 co 1 Dlgs n. 546/1992.
Il motivo è inammissibile in relazione ad entrambe le censure per difetto del requisito di specificità di cui all’art. 366 co 1 n. 4 c.p.c., avendo omesso del tutto la parte ricorrente:
1) di riferire quando ed in che atto processuale era stata proposta la detta eccezione; 2) di riportare il contenuto delle difese svolte dalla Amministrazione in primo grado e di trascrivere i motivi di gravame onde consentire a questa Corte di verificare in limine l’ammissibilità della censura, in quanto per giurisprudenza costante di legittimità il potere di accesso agli atti del giudizio di merito, riservato a questa Corte nel caso in cui vengano dedotti vizi di nullità processuale ai sensi dell’art. 360 co 1 n. 4 c.p.c., rimane pur sempre subordinato alla preliminare verifica di ammissibilità del mezzo di impugnazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., essendo, pertanto, onerata la parte ricorrente a specificare in modo chiaro ed esaustivo (con riferimento agli atti delle parti e del Giudice di merito che hanno dato luogo al vizio di legittimità denunciato) il “fatto processuale” che intende sottoporre al sindacato della Corte, in difetto incorrendo nella pronuncia pregiudiziale ostativa all’esame della censura (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 9108 del 06/06/2012).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione del DPCM 29.1.1996 (recte dell’art. 17 della legge n. 400/1988), in relazione all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., non avendo tenuto conto la CTR che il decreto con il quale erano stati fissati i parametri doveva ritenersi viziato da illegittimità non essendo stato preceduto, nell’iter procedimentale di emanazione, dal parere del Consiglio di Stato, con conseguente vizio di invalidità derivata dell’avviso di accertamento.
Il motivo è inammissibile, in quanto la questione prospettata non risulta sia stata dedotta ed esaminata nei precedenti gradi di giudizio e pertanto trattandosi di questione nuova rimane preclusa al sindacato della Corte.
Il motivo è comunque infondato avendo già affermato questa Corte che “In tema di accertamento tributario, il d.P.C.M. 29 gennaio 1996 (sulla “Elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta”, determinati ai sensi dell’art. 3, comma 181, della legge 28 dicembre 1995, n. 549) non viola l’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, per essere stato emanato senza il parere preventivo del Consiglio di Stato, in quanto non è un atto di natura regolamentare – né attuativo di legge, ai sensi del primo comma, né delegificante, ai sensi del comma 2-, non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella legislativa, attribuita all’amministrazione, e non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili.” (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 27656 del 21/11/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 16055 del 7/7/2010; id. Sez. 6-5, Ordinanza n. 17806 del 17/10/2012).
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 3 commi 181-189 della legge n. 549/1995, dell’art. 39 co 1 lett. d) e 42 Dpr n. 600/73, dell’art. 56 Dpr n. 633/1972, nonché il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.. Con il quarto ed il quinto motivo, il ricorrente deduce analoghi vizio ed inoltre censura la sentenza di appello anche per vizio logico della motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c. sostenendo che la sentenza è carente in ordine al ragionamento in base al quale i Giudici sono pervenuti alla prova presuntiva dei maggiori imponibili.
Sostiene il ricorrente la illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto fondato esclusivamente sulla determinazione presuntiva dei ricavi alla stregua dello scostamento rilevato rispetto al parametro del DPCM 26.1.1996, difettando del tutto la indicazione dei fatti sui quali viene fondata la prova presuntiva, con conseguente inammissibile inversione dell’onere probatorio. Viziata deve quindi ritenersi la sentenza della CTR laddove ha attribuito efficacia probatoria al mero scostamento dal parametro, prescindendo da qualsiasi ulteriore accertamento della situazione effettiva dell’attività economica in concreto svolta dalla impresa, non potendo il parametro assurgere ex se da elemento probatorio (recte a presunzione dotata dei requisiti ex art. 2729 c.c.) del maggior reddito.
I motivi, la cui trattazione unitaria si impone investendo tutti la medesima questione di diritto, sono infondati.
Occorre premettere che i parametri, istituiti con la legge finanziaria del 1996 (L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 179 – 189), si collocano in un percorso normativo che inizia con la elaborazione dei coefficienti presuntivi introdotti dall’art. 12 del d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito in legge 27 aprile 1989, n. 154, prosegue con la determinazione degli indici previsti per l’accertamento sintetico dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto redditometro, adottati ai sensi dell’art. 38, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 30 dicembre 1991, n. 413, quindi si evolve con la elaborazione degli studi di settore previsti dall’articolo 62-sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, secondo un lungo iter caratterizzato, come è stato rilevato da questa Corte, da progressivi aggiustamenti “nel processo di affinamento di metodi standardizzati di accertamento intesi a facilitare la lotta all’evasione fiscale e a ridurre il contenzioso tra contribuenti ed amministrazione, promuovendo la partecipazione del contribuente alla procedura di definizione del reddito mediante la “istituzionalizzazione” di un contraddittorio endoprocedimentale a carattere preventivo” (cfr. Corte cass. SU 18.12.2009 n. 26635).
Tale essendo la “ratio legis” che ha ispirato tutta la evoluzione normativa dell’istituto dell’accertamento standardizzato questa Corte (cfr. Corte cass. SU n. 26635/2009, cit.; id. V sez. 4.6.2010 n. 13594; id. V sez. 11.12.2012 n. 22599; id. V sez. 15.5.2013 n. 11633; id. VI-5 sez. 31.5.2013 ord. 13741), in relazione alla concreta applicazione delle norme sopra richiamate ha enunciato una serie di principi di diritto che possono riassumersi di seguito:
la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui all’art. 39 co 1 lett. d) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54 co 2 Dpr n. 633/1972, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, né costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.
Dalla lettura della sentenza di appello emerge che il contraddittorio endoprocedimentale tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente ha avuto svolgimento, e che le circostanze addotte da quest’ultimo a giustificazione del minor reddito prodotto nel corso dell’anno (impedimenti fisici dovuti a malattia; obsolescenza dei macchinari della impresa) non sono state ritenute decisive dall’Ufficio.
Nello svolgimento dell’attività procedimentale la PA risulta essersi, pertanto, conformata ai criteri sopra esposti con la conseguenza:
a) che rimangono indimostrati gli asseriti vizi dell’avviso di accertamento, in quanto il contribuente non ha fornito alcun supporto dimostrativo della allegazione secondo cui l’Ufficio non avrebbe motivato adeguatamente nell’avviso di accertamento il rigetto delle osservazioni presentate in sede di contraddittorio (il contenuto dell’avviso di accertamento non è stato trascritto nel ricorso; neppure vengono fomite indicazioni sufficienti per consentire alla Corte di verificare se la questione relativa al vizio di invalidità formale dell’avviso – ex art. 42 Dpr n. 600/73 ed art. 56 Dpr n. 633/72 – avesse costituito oggetto di statuizione da parte del primo Giudice ovvero fosse stata riproposta avanti il Giudice di appello);
b) che la ricerca di “ulteriori” riscontri probatori tratti dai dati analitici della contabilità d’impresa, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non integra un regola astratta applicabile in ogni caso all’accertamento standardizzato atteso che, come affermato anche dal Giudice delle Leggi, “a differenza dei “coefficienti presuntivi”, i “parametri” prevedono un sistema basato su presunzione semplice la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice di merito” (cfr. Corte cost. sentenza in data 1.4.2003 n. 105 del 2003; Corte cost. ord. 140 del 2003), e che può assumere piena consistenza probatoria all’esito del procedimento atteso che “l’astrattezza della elaborazione statistica trova un efficace correttivo nel contraddittorio preventivo con i soggetti destinatari dell’accertamento” (Corte cass. SU n. 26635/2009): ne segue che, soltanto nel caso in cui le circostanze addotte dal contribuente appaiono in concreto idonee a giustificare lo scostamento dai livelli di reddito indicati nei parametri, è richiesto alla Amministrazione finanziaria di supportare l’accertamento tributario con ulteriori elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa; diversamente, nel caso in cui il contribuente ometta del tutto di partecipare al procedimento fornendo giustificazioni, ovvero nel caso in cui le circostanze addotte dal contribuente siano ritenute inconferenti od irrilevanti, in quanto sfornite di qualsiasi rapporto di causa – effetto rispetto alla minore produzione di reddito/ricavi o, come nella specie, appaiano cronologicamente indifferenti rispetto al periodo oggetto di accertamento, la pretesa tributaria deve intendersi adeguatamente e sufficientemente motivata sul presupposto della rilevata grave discordanza dei redditi/ricavi dichiarati rispetto al parametro (cfr. Corte cass. V sez. 11.2.2009 n. 3288; id. V sez. 20.3.2013 n. 6929; id V sez. 19.4.2013 n. 9539, con riferimento agli indici del “redditometro”), avuto riguardo anche alla condizione legittimante il ricorso all’accertamento parametrico nei confronti di coloro che svolgono attività d’impresa o arti e professioni in contabilità ordinaria, individuata dalla legge in una contabilità che risulti inattendibile a seguito di un verbale di ispezione (legge n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, lett. b)), tale dovendo essere riconosciuta la contabilità che risulti confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente (cfr. Corte cass. V sez. 18.5.2012 n. 7871; id. V sez. 14.6.2013 n. 14941).
Con il sesto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 commi 181-189 legge n. 549/1995 nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., ed il vizio di omessa ed insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.
Il ricorrente deduce la erronea ed incompleta valutazione da parte della CTR degli elementi probatori dallo stesso forniti a giustificazione della contrazione del reddito d’impresa in quanto:
– gli immobili acquistati nell’anno 1994 consistevano in tre box auto per un valore complessivo di lire 45.600.000 , mentre nell’anno 1997 il contribuente si era limitato soltanto a richiedere l’accorpamento urbanistico di due unità immobiliari acquistate oltre dieci anni prima, avendo erroneamente ritenuto la CTR che si fosse trattato di altre due compravendite;
– la contestazione mossa dalla Guardia di Finanza per mancata emissione di scontrini fiscali, oltre ad essere cronologicamente irrilevante in quanto concernente un successivo periodo di imposta, si era risolta nell’accertamento della mancata emissione di una sola ricevuta fiscale per l’irrisorio importo lire 3.000;
– quanto alla certificazione medica (tra cui una perizia medica), i Giudici di merito avevano omesso di considerare che i documenti attestavano una patologia cronica evolutiva che aveva iniziato a manifestarsi negli anni pregressi ed aveva costretto il contribuente ad avvalersi di dipendenti retribuiti con conseguente contrazione dei guadagni.
Il motivo, che si sviluppa unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale, è infondato.
Nella specie la CTR ha fatto corretta applicazione dei principi indicati ritenendo che il rilevante scostamento del reddito e dei ricavi dichiarati dal contribuente (lire 16.625.000) dai livelli stabiliti, per il corrispondente anno d’imposta, dai parametri di cui al DPCM 29.1.1996 (lire 44.173.000), trovasse riscontro anche in ulteriori elementi indiziari, individuati nel successivo accertamento fiscale dal quale era emerso l’occultamento di ricavi (mancata emissione di scontrini fiscali) e nella disponibilità economica dimostrata con l’acquisto di cinque immobili negli anni 1994-1997 non compatibile con i redditi dichiarati, elementi tutti convergenti al raggiungimento della prova presuntiva dotata dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., avendo considerato la CTR la specifica situazione relativa all’attività della impresa, allegata dal contribuente con riferimento alla patologia clinica, disattendendo le peculiari circostanze addotte in quanto riferite ad un periodo successivo a quello oggetto di accertamento.
Rileva il Collegio che se, da un lato, le allegazioni del contribuente non vengono supportate adeguatamente dalla indicazione dei documenti e del loro contenuto probatorio tale da giustificare la critica mossa alla ricostruzione della fattispecie concreta effettuata dai Giudici di merito, dall’altro, gli errori che vengono attribuiti alla CTR non possono ritenersi, comunque, tali da inficiare in modo radicale la motivazione a sostegno del “decisum” (difettando quindi del requisito di decisività richiesto dall’art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.) tenuto conto che, anche ad escludere la rilevanza dell’esito della verifica fiscale condotta in anni successivi a quello oggetto della controversia : a) il valore dei tre box acquistati dal contribuente ammonta a lire 46.500.000 (ricorso pag. 25), e tale importo appare di per sé non compatibile con il livello di reddito annuale dichiarato; b) la circostanza che il contribuente fosse affetto da una “patologia cronica evolutiva”, che trovava genesi negli anni precedenti la verifica, non è ex se dimostrativa del calo dei ricavi nell’anno 1995, tenuto conto che la effettiva incidenza della malattia sulla capacità lavorativa specifica del soggetto deve trovare riscontro in un accertamento concreto riferito al particolare stadio evolutivo della patologia ovvero in episodi di tipo acuto (circostanza entrambe indimostrate), mentre l’assunzione di dipendenti salariati non integra ex se – trattandosi del comune impiego da parte dell’imprenditore dei fattori della produzione- un elemento oggettivo di decurtazione del reddito d’impresa.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
– dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e delle Finanze, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese di lite;
– rigetta il ricorso proposto nei confronti della Agenzia delle Entrate e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 2.500,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito.
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