Corte di Cassazione sentenza n. 18528 del 09 settembre 2011
LAVORO SUBORDINATO – RETRIBUZIONE – CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI – SOSPENSIONE DEL RAPPORTO – PER CARCERAZIONE PREVENTIVA O CUSTODIA CAUTELARE DEL LAVORATORE – TRATTAMENTO DI INTEGRAZIONE SALARIALE – CESSAZIONE – FONDAMENTO
massima
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Lo stato di carcerazione preventiva (o di custodia cautelare) del lavoratore subordinato – che, non rientrando tra le ipotesi, tutelate dalla legge, di impossibilità temporanea della prestazione, quale la malattia e le altre situazioni contemplate dall’art. 2110 c.c., comporta la perdita del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione medesima – analogamente determina la cessazione del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni cui sia stato ammesso il lavoratore medesimo, trattamento che, per il fatto di sostituirsi alla retribuzione altrimenti dovuta dal datore di lavoro, presuppone la spettanza di questa, senza che possa operare il principio della cosiddetta priorità della causa sospensiva della prestazione lavorativa, secondo il quale si considera prevalente ai fini del trattamento retributivo la causa verificatasi prima, atteso che esso si riferisce unicamente alle suddette cause legali di sospensione con diritto alla retribuzione.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 1999 M.F., n.q. di tutore di G.S. – premesso che questi, trasferito alla I.S. spa, era stato collocato in Cigs dal 28.3.83, indi, in data 4.4.91 era transitato alla A. Azienda di reimpiego di Palermo, rimanendo in Cigs fino al 19.10.1994, data di collocamento in mobilità – lamentava che l’I. aveva corrisposto all’interessato solo la somma di lire 3.799.353 maturata alle dipendenze della A., sicuramente inferiore a quella spettante per l’intero periodo dal 28.3.83 al 18.10.1994, comprensiva di rivalutazione e interessi. Lamentava altresì la mancata corresponsione della integrazione salariale sia per i periodi di restrizione della libertà personale, sia tra l’uno e l’altro di essi, nonché la omessa erogazione dell’indennità di mobilità dal 19.10.94, nonostante la sussistenza delle condizioni di legge; chiedeva quindi la condanna dell’I. alla erogazione della Cigs, dell’indennità di mobilità e del TFR maturato per l’intero periodo, detratto quanto già percepito.
L’I. si costituiva tardivamente ed eccepiva la improcedibilità e la decadenza dalle domande di Cigs e i indennità di mobilità, nonché la prescrizione del diritto alla integrazione salariale; contestava la debenza dell’indennità di mobilità e sottolineava che il TFR era stato liquidato sulla base solo dei periodi di integrazione pagati. Il Tribunale di Agrigento, rilevata la tardività delle eccezioni di improcedibilità e di prescrizione, ritenuto che era maturata la decadenza sia in relazione alla Cigs per gli intervalli tra i vari periodi di restrizione della libertà ( ritenendo che la medesima non spettasse durante la detenzione), sia in relazione all’indennità dì mobilità, condannava l’I. solo alle differenze di TFR tra quanto spettante comprendendo nel calcolo i suddetti periodi e la minor somma erogata.
Sull’appello della M.F., la Corte d’appello di Palermo confermava la statuizione di primo grado. I Giudici d’appello affermavano preliminarmente che la decadenza era rilevabile d’ufficio, onde era irrilevante la tardività della costituzione in giudizio dell’I.. La Corte escludeva poi il diritto alla Cigs durante i periodi di detenzione, per l’espiazione di condanne definitive. Con riferimento al diritto alla Cigs per i periodi di rimessione in libertà, riteneva maturata la decadenza, giacché dalla data del 29 maggio 1987, quando la prestazione era stata sospesa, l’interessato aveva il termine di cinque anni e 300 giorni per proporre l’azione giudiziaria, termine che scadeva dunque il 30 agosto 1993; avendolo iniziato il giudizio il primo ottobre 1999, si era verificata la decadenza per i ratei anteriori al quinquennio, ossia per quelli anteriori al primo ottobre 1994, dopo il quale non vi erano più stati periodi di libertà. La Corte confermava la decadenza anche in relazione alla indennità di mobilità, in quanto la relativa domanda non era stata presentata entro i 68 giorni dal licenziamento. Con la medesima sentenza si escludeva altresì la maturazione del TFR per i periodi corrispondenti allo stato di detenzione.
Avverso detta sentenza la M.F. propone ricorso con sei motivi.
Resiste l’I. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunziando violazione degli artt. 416 e 112 c.p.c. dell’art. 2969 c.c., nonché 3, 97 e 24 Costituzione, si censura la sentenza per avere rilevato d’ufficio la decadenza dall’azione giudiziaria.
Il motivo non merita accoglimento . La sentenza impugnata è infatti conforme alla giurisprudenza di questa Corte, essendosi più volte affermato (tra le tante Cass. n. 12508 del 21/09/2000) che: “La decadenza processuale, che sanziona – a norma del secondo e terzo comma dell’art. 47 del D.P.R. n. 639 del 1970, nel testo di cui all’art. 4, comma primo, del D.L. n. 384 del 1992, convertito dalla legge n. 438 del 1992 – la mancata proposizione, entro termini computati in riferimento a determinati svolgimenti del procedimento amministrativo, dell’azione giudiziaria diretta al riconoscimento di determinate prestazioni previdenziali, è dettata a protezione dell’interesse pubblico alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti su bilanci pubblici e, di conseguenza, è sottratta alla disponibilità della parte: pertanto tale decadenza è rilevabile d’ufficio – salvo il limite del giudicato – in ogni stato e grado del giudizio, e quindi è opponibile anche tardivamente dall’istituto previdenziale.”
Con il secondo motivo, denunziando violazione dell’art. 47 D.P.R. 639/70 modificato dall’art. 4 D.L. 384/92 convertito in legge 438/92 e difetto di motivazione, si sostiene che era errata la pronuncia di decadenza sui ratei della Cigs; questa infatti era già stata autorizzata, era stata poi sospesa il 29.5.87 ed il 30 ottobre 1987 era stato proposto il ricorso giudiziario.
Neppure questo motivo merita accoglimento. È ben vero che la stessa sentenza impugnata fa riferimento ad un ricorso depositato il 30 ottobre 1987, ma aggiunge che con esso si facevano valere “analoghe pretese”. Non si trattava quindi, per quanto risulta in sentenza, della domanda di ripristino della Cigs, e con la presente impugnazione non si precisa quale fosse l’oggetto di quel ricorso, onde la censura non essendo sufficientemente specifica, non è idonea a dimostrare alcun errore della statuizione in oggetto.
Con il terzo mezzo, denunziando violazione dell’art. 1 legge n. 464 del 1972, dell’art. 8 legge 160/88 e dell’art. 19 legge 56/97 si sostiene che spetterebbe la Cigs anche durante i periodi di detenzione.
La censura è infondata, essendosi già ritenuto (Cass. n. 10087 del 16/10/1990) che “Lo stato di carcerazione preventiva (o di custodia cautelare) del lavoratore subordinato – che, non rientrando tra le ipotesi, tutelate dalla legge, di impossibilità temporanea della prestazione, quale la malattia e le altre situazioni contemplate dall’art. 2110 c.c., comporta la perdita del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione medesima – analogamente determina la cessazione del trattamento di integrazione salariale a carico della C.i.g. cui sia stato ammesso il lavoratore medesimo, trattamento che, per il fatto di sostituirsi alla retribuzione altrimenti dovuta dal datore di lavoro, presuppone la spettanza di questa; senza che possa operare il principio della cosiddetta priorità della causa sospensiva della prestazione lavorativa, secondo il quale si considera prevalente ai fini del trattamento retributivo la causa verificatasi prima, atteso che esso si riferisce unicamente alle suddette cause legali di sospensione con diritto alla retribuzione”. Non vi è dubbio infatti che il godimento della Cigs presuppone l’obbligo di pronta disponibilità, sia a riprendere servizio alla chiamata dell’azienda in crisi o in ristrutturazione, sia a svolgere lavori socialmente utili o a partecipare a corsi di formazione, mentre detta disponibilità è ovviamente inibita dallo stato di carcerazione.
Con il quarto motivo, denunziando violazione dell’art. 7 della legge 233/91, degli artt. 129 e 73 RDL 1827/1935 convertito in legge 1155/1936 e difetto di motivazione, si sostiene che non era necessaria la domanda per ottenere l’indennità di mobilità e quindi, contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito, la ravvisata decadenza non poteva operare.
Il motivo è infondato, dal momento che le Sezioni unite di questa Corte, componendo un contrasto di giurisprudenza, con la sentenza n. 17389 del 06/12/2002, hanno affermato che “L’indennità di mobilità, di cui all’art. 7 della legge 23 luglio 1991 n. 223, costituisce un trattamento di disoccupazione che ha la sua fonte nella legge, ma non sorge nel lavoratore in via automatica, presupponendo, come tutti i trattamenti previdenziali, la presentazione di una domanda all’I. – che non potrebbe altrimenti attivarsi non conoscendo le relative condizioni – entro i termini di decadenza stabiliti dalla normativa in materia di disoccupazione involontaria, applicabile per l’indennità di mobilità in virtù dello specifico richiamo operato nel comma dodicesimo del citato art. 7 (sì che tale normativa deve considerarsi inserita a tutti gli effetti formali e sostanziali nella nuova norma istitutiva dell’indennità di mobilità), così com’è dimostrato, d’altra parte, dalla disposizione di cui all’art. 20-ter della legge 23 maggio 1997 n. 135, che ha introdotto una sanatoria per le domande di concessione dell’indennità presentate anteriormente al 31 marzo 1992, per le quali si fosse già avverata la ‘decadenza’ dal relativo diritto.” E’ quindi corretta la statuizione della sentenza impugnata per cui la indennità di mobilità non spettava per mancanza della domanda proposta nel termine di legge.
Parimenti infondato è il quinto motivo, con cui si deduce l’ignoranza scusabile sulla necessità di proporre la domanda relativa all’indennità di mobilità, con conseguente diritto alla rimessione in termini. Si tratta infatti di questione nuova, sollevata solo in questa sede, giacché la sentenza impugnata non ne fa cenno, pur avendo confermato la statuizione di primo grado con cui era stata dichiarata detta decadenza, né in ricorso si lamenta la omessa pronunzia sul punto. Non è meritevole di accoglimento neppure il sesto motivo, con cui si lamenta che ai fini del TFR non siano stati computati i periodi di carcerazione; il TFR spetta solo per i periodi in cui la Cigs sia effettivamente dovuta, il che è da escludere per i periodi di carcerazione, come ormai accertato a seguito del rigetto del terzo motivo. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese ex art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo anteriore alle modifiche del 2003, non applicabili ratione temporis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma il 14 luglio 2011.