Corte di Cassazione sentenza n. 1864 del 15 gennaio 2013
REATI FISCALI – FATTURE FALSE – DETRAZIONE DI COSTI FITTIZI – USO DI FATTURE CON TIMBRI FALSI – OPERAZIONE SOGGETTIVAMENTE INESISTENTE – REATO – SUSSISTE
massima
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La carenza strutturale del fornitore rende indeducibile l’IVA in capo all’acquirente. L’imprenditore, che pur possa dimostrare il pagamento dei documenti stessi, va condannato per false fatture ed il conseguente sequestro dei beni.
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RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 20 febbraio 2012, il Tribunale di Palermo, in sede di riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip dello stesso Tribunale il 19 gennaio 2012, avente ad oggetto l’intero complesso aziendale di una società, con le disponibilità finanziarie, gli impianti, i macchinari, i beni immobili e mobili registrati, in relazione ai reati di cui: 1) all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, contestato all’indagato per avere, nella sua qualità di legale rappresentante di una società, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse nei confronti della sua società utilizzando timbri falsi di una serie di ditte, indicava elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni dei redditi e IVA relative agli anni 2006, 2007, 2008, 2009 (capi da A a D); 2) all’art. 279, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006, perché quale legale rappresentante della società, esercitava un impianto di triturazione di pneumatici con emissioni in atmosfera non convogliate, in assenza della prescritta autorizzazione (capo E); 3) agli artt. 81, secondo comma, e 6, comma 1, lettere b) e f), della legge n. 210 del 2008, perché esercitava un’attività di raccolta e commercio di rifiuti speciali non pericolosi del tipo rottami ferrosi in violazione dell’autorizzazione di cui la società era in possesso (capo F); 4) all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 218 del 2008, perché, quale legale rappresentante della stessa società, depositava in modo incontrollato, senza autorizzazione, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (capo G).
2. – Avverso l’ordinanza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di impugnazione, si rileva la violazione di legge consistente nel fatto che il Tribunale avrebbe confermato il provvedimento di sequestro per fatti diversi da quelli provvisoriamente contestati e per i quali era stata disposta la misura cautelare reale. Nella prospettazione difensiva, mentre, secondo il pubblico ministero, l’indagato e i coindagati si sono limitati ad avvalersi di fatture emesse da soggetti diversi dai reali cedenti, il Tribunale ha ritenuto che gli stessi abbiano indicato nelle dichiarazioni a fini fiscali costi assolutamente falsi.
2.2. – Con un secondo motivo di impugnazione, si rileva la violazione di legge, sotto il profilo della totale mancanza di motivazione, perché il Tribunale si sarebbe limitato a riprendere testualmente il decreto di sequestro, ignorando completamente le argomentazioni svolte dalla difesa nelle memorie depositate. In particolare, la stessa difesa ricorda di aver indicato una serie di concreti elementi che avrebbero consentito di affermare che i costì cui si riferivano le fatture in contestazione erano tutt’altro che fittizi, evidenziando che: la coincidenza tra i fornitori della società e i timbri sequestrati al soggetto emittente confermerebbe che l’emissione delle fatture è imputabile a tale ultimo soggetto; la quantità del materiale venduto dalla società era stata considerata effettiva dei verbalizzanti, e ciò dimostrerebbe che il materiale stesso era stato prima effettivamente acquistato.
Vi sarebbe un’ulteriore violazione di legge consistente nel fatto che si tratterebbe di operazioni che, ai sensi dell’art. 74, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972 consisterebbero nell’emissione, da parte del cedente, della fattura senza addebito dell’imposta, mentre il cessionario procederebbe, integrando la fattura ricevuta con l’indicazione delle aliquote della relativa imposta, ad annotare la stessa sia nel registro delle fatture sia nel registro degli acquisti per la relativa detrazione: il sistema, in altri termini, annullerebbe l’IVA indicata sulla fattura, emessa con l’IVA emergente dalla fattura acquisti, producendo un saldo pari a zero ed evitando qualsivoglia frode fiscale.
Vi sarebbe, poi, la violazione di legge consistente nel fatto che l’ordinanza impugnata avrebbe riprodotto le argomentazioni contenute nel decreto di sequestro quanto ai reati ambientali, senza che vi fosse stato un adeguato esame delle argomentazioni difensive.
2.3. – Sì rileva, in terzo luogo, la violazione di legge consistente nel difetto assoluto di motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora, con riferimento ai reati ambientali contestati ai capi da E a G della rubrica. La difesa sostiene che il Tribunale non avrebbe assolto all’onere motivazionale, limitandosi a riproporre la stereotipata formulazione dell’art. 321 c.p.p. e omettendo di valutare le deduzioni difensive relative al profilo dell’assenza di proporzionalità, adeguatezza e gradualità nell’applicazione della misura adottata e relative al difetto di motivazione in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è infondato.
3.1. – Il primo motivo di impugnazione – con cui si sostiene che il Tribunale avrebbe confermato il provvedimento di sequestro per fatti diversi da quelli provvisoriamente contestati e per i quali era stata disposta la misura cautelare reale – è infondato.
Il ricorrente assume che, mentre, secondo il pubblico ministero, l’indagato si sarebbe limitato ad avvalersi di fatture emesse da soggetti diversi dai reali cedenti, il tribunale avrebbe ritenuto che lo stesso abbia indicato, nelle dichiarazioni IVA e dei redditi, costi assolutamente falsi. Lo stesso ricorrente richiama, a sostegno di tale assunto, l’affermazione del Tribunale secondo cui la contestazione è stata erroneamente formulata quale ipotesi di fatturazione di operazioni commerciali soggettivamente inesistenti, anziché quale ipotesi di fatturazione di operazioni commerciali oggettivamente inesistenti.
Dalla lettura dell’imputazione emerge, però, che, indipendentemente dall’uso dell’avverbio «soggettivamente», effettivamente presente nell’imputazione stessa, le fatture oggetto di contestazione erano in realtà ritenute oggettivamente inesistenti, perché realizzate utilizzando timbri falsi e, soprattutto, perché dirette all’indicazione di elementi passivi fittizi, cioè di costi corrispondenti a spese in realtà mai sostenute. Il Tribunale ha, in altri termini, proceduto ad una mera precisazione terminologica dell’imputazione, la quale era già, nella sua formulazione originaria, sufficientemente chiara quanto alla natura delle fatture oggetto di contestazione.
Una tale precisazione terminologica deve essere ritenuta consentita, trovando applicazione a fortiori il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di riesame di misure cautelari reali, il tribunale deve avere riguardo al fatto in relazione al quale si rappresenta l’esistenza di un fumus di reato, ma ben può confermare il provvedimento cautelare anche sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto (ex plurimis, sez. 1, 18 febbraio 2010, n. 9091, Rv. 246494; sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 41948, Rv. 245069; sez. 6, 8 maggio 2008, n. 24126, Rv. 240370).
3.2. – Il secondo motivo di impugnazione è inammissibile. Inammissibile è, in particolare, la prima censura proposta, con la quale si lamenta, sotto il profilo della violazione di legge, che il Tribunale si sarebbe limitato a riprendere testualmente il decreto di sequestro, ignorando completamente le argomentazioni svolte dalla difesa nelle memorie depositate.
Tale censura è, infatti, sostanzialmente diretta a prospettare vizi della motivazione, come tali non riconducibili alla categoria della «violazione di legge» ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. E ciò, a fronte di una motivazione che risulta, in ogni caso pienamente adeguata e logicamente coerente, perché, riprendendo la motivazione del decreto del Gip, esclude in radice la rilevanza delle argomentazioni difensive, precisando che la sussistenza del fumus dei reati emerge dagli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza confrontati con le risultanze contabili delle ditte che avrebbero emesso le fatture oggetto di contestazione. Nella stessa ordinanza si precisa, poi, che le fatture sono state realizzate con l’uso di timbri falsi, esibiti spontaneamente agli investigatori dall’autore materiale dei falsi medesimi.
Analoghe considerazioni inducono a ritenere inammissibile anche la censura, prospettata col medesimo motivo, relativa alla pretesa insussistenza del fumus per i reati ambientali di cui ai capi E, F, G dell’imputazione, rispetto ai quali l’ordinanza impugnata prende correttamente le mosse: dalla riscontrata mancanza dei formulari di identificazione dei rifiuti, dall’accertamento diretto da parte della polizia municipale dell’afflusso di automezzi privi di autorizzazione che trasportavano rottami ferrosi presso la società dell’imputato, dall’esito dei sopralluoghi svolti relativamente allo stoccaggio non autorizzato e alla presenza di emissioni di polvere in atmosfera da parte di un trituratore anch’esso privo di autorizzazione.
Inammissibile per genericità è, invece, la censura con cui si sostiene che, nel caso di specie, troverebbe applicazione l’art. 74, commi 7 e 8, del D.P.R. n. 633 del 1972 con la conseguenza che l’IVA indicata sulla fattura emessa si annullerebbe con l’IVA emergente dalla fattura acquisti, producendo un saldo pari a zero ed evitando qualsivoglia frode fiscale.
Il ricorrente si limita, infatti, a fornire la sua interpretazione, in mero diritto, del particolare regime dell’IVA di cui al richiamato art. 74, commi 7 e 8, senza specificare se in concreto un tale regime possa trovare applicazione nel caso di specie, perché non riferisce quali siano le prestazioni oggetto delle fatture in contestazione. Né, del resto, contesta la ritenuta evasione dell’imposta sul reddito, o la circostanza che l’IVA sia stata comunque portata in compensazione dall’imputato.
3.3. – Il terzo motivo di ricorso, anch’esso formalmente qualificato dalla difesa come doglianza relativa a violazione di legge, è, del pari, inammissibile, perché diretto a sindacare la motivazione che il Tribunale ha fornito circa la sussistenza del periculum in mora con riferimento ai reati ambientali contestati, in violazione del limite fissato dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Tale motivazione è, peraltro, pienamente adeguata e coerente, perché sì fonda sulla riscontrata gravità dei fatti, analiticamente ricostruita sulla base degli accertamenti svolti dalla polizia municipale (su cui vedi supra 3.2.), cui è fatta correttamente conseguire la sussistenza del pericolo che la libera disponibilità dello stabilimento possa agevolare la commissione di ulteriori reati in materia ambientale, ovvero aggravare le conseguenze di quelli che per cui si procede; con l’ulteriore conseguenza che il sequestro preventivo di tutto lo stabilimento appare l’unica misura idonea a fronteggiare le esigenze cautelari nel caso di specie.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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