Corte di Cassazione sentenza n. 18651 del 30 ottobre 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – PATOLOGIA E CAUSA DI SERVIZIO – INDIVIDUAZIONE DEL “DIES A QUO” – DECORRENZA DEL TERMINE – DIPENDENZA DELL’INFERMITA’ DA CAUSA DI SERVIZIO
massima
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Il termine di sei mesi, stabilito per la presentazione della domanda di riconoscimento della dipendenza di una infermità da causa di servizio, decorre dal momento in cui il lavoratore percepisce in modo concreto la gravità dell’affezione.
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FATTO
1. La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza n. 1675/06 del 2 ottobre 2006, accoglieva l’impugnazione proposta da (Omissis) spa, nei confronti di (Omissis), in ordine alla sentenza n. 2506 del 23 gennaio – 21 marzo 2003 emessa dal Tribunale di Bari e rigettava la domanda proposta dalla (Omissis).
2. Quest’ultima aveva adito il Tribunale perché, accertata la dipendenza da causa di servizio delle malattie denunciate, condannasse la società convenuta a corrisponderle l’equo indennizzo come quantificato con CTU. Ed infatti, (Omissis), in esito all’istanza della dipendente del 12 agosto 1985, con Delib. notificata il 19 novembre 1991, aveva rilevato la dipendenza da concausa di servizio efficiente e determinante delle patologie denunciate, ma contestualmente, poiché erano trascorsi più di sei mesi tra il momento della diagnosi di tali malattie e l’istanza, dichiarava che era intervenuta la decadenza.
2.1. Il Tribunale aveva accolto la domanda della (Omissis).
3. Il giudice di secondo grado, nell’accogliere l’appello della società, riteneva verificatasi, a carico della (Omissis), la decadenza semestrale, ai sensi del Decreto Ministeriale 19 dicembre 1958, n. 2716, art. 38, in quanto dal momento della diagnosi delle patologie denunciate (artrosi deformante della sincondrosi iliaca, osteoporosi degli arti inferiori, lombo sciatalgia, nevrosi ansioso-depressiva), all’esito di radiografie e altri accertamenti diagnostici espletati fra il 19 aprile e il 1 dicembre 1983, e la proposizione dell’istanza, in data 12 agosto 1985, erano trascorsi più di sei mesi.
4. Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Bari ricorre (Omissis) prospettando tre motivi di ricorso.
5. Resiste con controricorso la società (Omissis) spa.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e la falsa applicazione della Legge n. 564 del 1981, art. 11, nonché delle successive norme di attuazione, del Decreto Ministeriale 2 luglio 1983, n. 1622, in particolare art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Afferma la ricorrente che l’equo indennizzo, in ambito ferroviario, sarebbe stato introdotto dalla Legge n. 564 del 1981, art. 11, e che, dunque, non potevano trovare applicazione la Legge n. 425 del 1958, ed il Decreto Ministeriale n. 2716 del 1958, come ritenuto dalla Corte d’Appello.
Il termine di decadenza andava computato dalla notificazione, in data 19 novembre 1991, della delibera con la quale si riconosceva come dipendente da causa di servizio la patologia di essa ricorrente. A seguito di tale delibera, la (Omissis) aveva provveduto ad inoltrare, in data 15 maggio 1992, tempestiva istanza di liquidazione.
Il quesito di diritto è stato articolato come segue: se la norma applicabile al caso di specie sia quella contenuta nel Decreto Ministeriale n. 1622 del 1983, in specie quella dell’art. 4.
1. Il motivo di ricorso è inammissibile in ragione dell’inammissibilità del quesito di diritto.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato i seguenti principi: è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso “sub indice” (Cass., n. 28536 del 2008).
Il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass., n. 7197 del 2009).
Il quesito, quindi, deve comprendere l’indicazione sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass., n. 24339 del 2008).
Nella fattispecie in esame, poiché, per come formulato, il suddetto quesito di diritto non risponde ai requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c., secondo l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, lo stesso è inammissibile.
2. Con il secondo motivo di ricorso, assistito dal prescritto quesito di diritto, è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Ad avviso della (Omissis), comunque, la sentenza della Corte d’Appello sarebbe viziata, in quanto violerebbe i principi in materia di onere della prova, poichè la società non avrebbe provato la conoscenza da parte della ricorrente della natura e gravità delle patologie dalla stessa denunciate in epoca antecedente il semestre precedente la presentazione dell’istanza per il riconoscimento della causa di servizio.
3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
La sentenza sarebbe viziata in quanto la Corte d’Appello non avrebbe specificato quali documenti gli erano stati sottoposti e se gli stessi contenevano elementi sufficienti a far comprendere alla ricorrente la natura e la gravità di tali patologie e, dunque, la sussistenza della conoscenza della natura e gravità delle stesse, ritenuta indispensabile per stabilire il dies a quo da cui far decorrere il termine di decadenza.
4. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono fondati e devono essere accolti.
Il termine di sei mesi stabilito, per la presentazione della domanda di riconoscimento della dipendenza di una infermità da causa di servizio decorre dal momento in cui il lavoratore percepisce in modo concreto la gravità dell’affezione (cfr., Cass., n. 5126 del 2007, n. 8667 del 2003).
Il giudice di secondo grado, quindi, aveva l’obbligo di valutare, nell’ambito dell’indagine riguardante il decorso o meno del termine per la richiesta di equo indennizzo, se vi fosse o meno la conoscenza e la consapevolezza da parte dell’interessato della gravità della infermità stessa.
La motivazione della sentenza sul punto è insufficiente in quanto la Corte d’Appello si limita a rilevare che erano trascorsi più di sei mesi dal momento della diagnosi delle malattie all’esito di radiografie e altri accertamenti sanitari, senza esaminare, ai fini della decorrenza del termine di decadenza, la questione della conoscenza da parte della (Omissis) della natura e della gravità della malattia.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto con riguardo al secondo ed al terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso. Dichiara inammissibile il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
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