Corte di Cassazione sentenza n. 18660 del 12 settembre 2011
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SOCIETA’ COOPERATIVE – COOPERATIVA DI PRODUZIONE E LAVORO – SOCI – PRESTAZIONI RESE PER IL PERSEGUIMENTO DEI FINI SOCIALI – RICONOSCIMENTO DEL RAPPORTO DI LAVORO DIPENDENTE – ESCLUSIONE – FONDAMENTO
massima
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Nel regime anteriore a quello dettato dalla legge 3 aprile 2001, n. 142 (il cui art. 1, comma terzo, dispone che i soci lavoratori devono stipulare un distinto contratto di lavoro, autonomo o subordinato), i soci di cooperative di produzione e lavoro non possono considerarsi dipendenti delle medesime per le prestazioni volte a consentire ad esse il conseguimento dei fini istituzionali e rese secondo le prescrizioni del contratto sociale; in particolare, non rileva, ai fini della riconducibilità dell’attività dei soci ad un distinto rapporto di lavoro subordinato, la circostanza che essi siano tenuti all’osservanza di orari predeterminati, percepiscano compensi commisurati alle giornate di lavoro e debbano osservare direttive, né che nei loro confronti sia applicata, quanto all’esercizio del potere disciplinare o ad altri aspetti, una normativa collettiva restando salva la possibilità che lo statuto della società contempli, o non escluda, la possibilità di costituire, con i soci, distinti rapporti di lavoro inerenti all’oggetto sociale. I soci lavoratori, pertanto, possono prestare la loro opera nell’ambito della cooperativa, sia come lavoratori autonomi, sia come lavoratori subordinati, e, in quest’ultimo caso, non è dagli elementi caratteristici della subordinazione in senso materiale che può dedursi la costituzione di un rapporto distinto da quello societario.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Catania, riformando la statuizione di primo grado, rigettava la domanda proposta da B.P. e dalle altre attuali ricorrenti nei confronti della S.C.S.S. ari per ottenere il pagamento, come assistenti domiciliari,degli stipendi non percepiti dal 16.2.87 al 20.10.92, periodo in cui erano state sospese dal lavoro e dalla retribuzione per decisione unilaterale della S.C.S.S. , nonché il pagamento del TFR e della tredicesima; la S.C.S.S. in primo grado negava la natura subordinata del rapporto ed affermava trattarsi di rapporto societario, e che la prestazione consisteva nella assistenza domiciliare degli anziani in forza di convenzione con il Comune di Priolo Gargallo, convenzione che era poi cessata, onde la delibera dei soci sulla sospensione dell’attività; negava altresì il diritto alla tredicesima ed al TFR in forza delle delibera adottate sul punto dalla S.C.S.S.; escussi testi, il Tribunale aveva accolto la domanda, riconoscendo la natura subordinata del rapporto e condannando la S.C.S.S. al pagamento delle somme richieste. Sull’appello della S.C.S.S., la domanda veniva invece rigettata. La Corte adita affermava, accogliendo la tesi della S.C.S.S., che non avrebbero potuto essere ammesse le prove intese a dimostrare la mancata partecipazione delle ricorrenti alle attività sociali, in quanto dedotte tardivamente; era vero infatti che la deduzione di dette circostanze si era resa necessaria dopo lo spiegamento delle eccezioni della S.C.S.S. in comparsa di risposta, tuttavia, la loro formulazione doveva avvenire alla prima udienza successiva utile, mentre lo era stata quando erano già state espletate molte udienza e detta tardività era stata tempestivamente eccepita dalla S.C.S.S. . Né era stata raggiunta la prova della simulazione fraudolenta del rapporto societario, giacché l’attività svolta di assistente domiciliare non era estranea allo scopo sociale. Inoltre ciascuna delle ricorrenti era socia della S.C.S.S. ed era rimasta sfornita di prova la mancata partecipazione all’attività sociale, nonché la natura effettivamente subordinata del rapporto, anche considerando la scarsa attendibilità delle testi che erano contemporaneamente anche parti del giudizio.
Avverso detta sentenza le cinque soccombenti B.P., L.M., C.A., S.A.M. e M.A.M. ricorrono con quattro motivi, illustrati da memoria. La S.C.S.S. è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Le cinque soccombenti hanno proposto cinque ricorsi individuali, ed anche un ulteriore ricorso collettivo (n. 22128/2007), che va dichiarato inammissibile, essendosi già consumata l’impugnazione con ricorsi singoli.
Tutti i ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la medesima sentenza ex art. 335 c.p.c.
Con il primo motivo si censura la sentenza per violazione degli artt. 2094 e 2697 cod. civ., per avere disconosciuto la natura subordinata del rapporto, dimostrata invece dalla esistenza di libretti di lavoro, buste paga, mod. 101, DM 10, ed attestati di servizio alle dipendenze fino al 30.10.92 rilasciata dall’ ufficio di collocamento. Era stato poi depositato il verbale del 22 gennaio 1992, in cui il presidente aveva comunicato alle socie dipendenti che vi sarebbe stato un periodo di sospensione in alternativa alla interruzione del rapporto di lavoro e che se volevano interrompere il rapporto dovevano dare le dimissioni.
Con il secondo motivo:si denunzia la sentenza per error in procedendo (artt. 437, 416, 420, 112 e 99 c.p.c) perché la tardività delle prove testimoniali espletate era stata eccepita solo in appello.
Con il terzo mezzo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte pronunciato oltre i limiti delle eccezioni sollevate dalla S.C.S.S., la quale aveva dedotto resistenza del rapporto societario solo per dedurre la incompetenza per materia del giudice del lavoro. La Corte avrebbe errato anche nell’affermare la validità della rinuncia di esse ricorrenti al TFR ed alla tredicesima. Sarebbe stata altresì erroneamente operata un’inversione dell’onere probatorio in relazione alla natura societaria del rapporto, in contrasto con il verbale del 22 gennaio 1992 che qualificava il rapporto come di lavoro dipendente.
Con il quarto mezzo, censura la sentenza per difetto di motivazione, reiterando le argomentazioni di cui ai motivi precedenti e sottolineando la illogica valutazione delle prove.
I ricorsi non meritano accoglimento.
I quattro motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, non sono fondati.
1. In primo luogo si è affermato in giurisprudenza (Cass. n. 4799 del 09/03/2004 e n. 16281 del 19/08/2004) che ” Nel regime anteriore a quello dettato dalla legge 3 aprile 2001, n. 142 (il cui art. 1, comma terzo, dispone che i soci lavoratori devono stipulare un distinto contratto di lavoro, autonomo o subordinato), i soci di cooperative di produzione e lavoro non possono considerarsi dipendenti delle medesime per le prestazioni volte a consentire ad esse il conseguimento dei fini istituzionali e rese secondo le prescrizioni del contratto sociale; in particolare, non rileva, ai fini della riconducibilità dell’attività dei soci ad un distinto rapporto di lavoro subordinato, la circostanza che essi siano tenuti all’osservanza di orari predeterminati, percepiscano compensi commisurati alle giornate di lavoro e debbano osservare direttive, ne’ che nei loro confronti sia applicata, quanto all’esercizio del potere disciplinare o ad altri aspetti, una normativa collettiva restando salva la possibilità che lo statuto della società contempli, o non escluda, la possibilità di costituire, con i soci, distinti rapporti di lavoro inerenti all’oggetto sociale. I soci lavoratori, pertanto, possono prestare la loro opera nell’ambito della S.C.S.S., sia come lavoratori autonomi, sia come lavoratori subordinati, e, in quest’ultimo caso, non è dagli elementi caratteristici della subordinazione in senso materiale che può dedursi la costituzione di un rapporto distinto da quello societario.”
2. Essendo pacifico che le ricorrenti erano socie della S.C.S.S., giacché la sentenza lo afferma e sul punto non sono state svolte contestazioni, spettava alla ricorrenti dimostrare che lo statuto della S.C.S.S. prevedeva “anche” la costituzione di rapporti di lavoro subordinato e tale era la natura del vincolo che le riguardava. Non è quindi corretto quanto lamentato con il secondo motivo sulla inversione dell’onere probatorio, spettando appunto alle ricorrenti dimostrare che, oltre ad essere socie, avevano anche un rapporto di lavoro dipendente.
A tal fine non rileva il regime previdenziale, ossia i versamento della contribuzione per i lavoratori dipendenti, l’invio all’I. dei mod. DM 10 ecc. perché i compensi erogati ai soci delle cooperative di lavoro per l’attività prestata a favore della S.C.S.S. sono assoggettati, in forza dell’art. 2 del r.d.l. n. 1422 del 1924, alla contribuzione dell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti con onere a carico della S.C.S.S. medesima ( tra le tante Cass. n. 9705 del 3.4.2010).
3. Quanto poi al verbale del 22 gennaio 1992 in cui il presidente comunicava alle socie dipendenti che vi sarebbe stato un periodo di sospensione del rapporto in alternativa alla sua interruzione e che se volevano risolvere il rapporto dovevano dare dimissioni, non viene riprodotto in ricorso il documento nella sua interezza per poter verificare che destinatarie della comunicazione fossero davvero esse ricorrenti e non altri soci lavoratori dipendenti. La mancata riproduzione integrale del documento non consente quindi di accertare se la natura subordinata del loro rapporto risultasse davvero nella comunicazione indicata.
4. Quanto alla tardi vita delle prove testimoniali espletate in primo grado, non è vero che detta eccezione sia stata sollevata dalla S.C.S.S. solo in appello, giacché la sentenza impugnata afferma il suo rilievo tempestivo.
Inoltre la sentenza non si fonda solo sulla tardività delle prove concernenti la mancata partecipazione delle ricorrenti alle attività sociali, ma anche sul rilievo che l’attività svolta – assistenza domiciliare agli anziani in forza di convenzione con il Comune, che poi era stata sospesa, era intrinseca allo scopo sociale, trattandosi appunto di S.C.S.S. socio sanitaria – donde la convinzione espressa dai Giudici di merito che le prestazioni erano state rese in adempimento del vincolo societario, e non già come lavoro subordinato, stante anche la scarsa attendibilità delle testi escusse che erano contemporaneamente parti del giudizio. Si tratta allora di valutazione dei giudici di merito, in cui non sono ravvisabili incongruenze logiche, né giuridiche, né la omessa considerazione di circostanze decisive atte a condurre ad una decisione diversa.
Quanto al diritto alla tredicesima ed al TFR, la sentenza impugnata non ha ravvisato l’esistenza di una rinuncia, ma l’ha logicamente escluso avendo negato la subordinazione.
In definitiva va dichiarato inammissibile il ricorso n. 22128/ 2010, mentre vanno rigettati gli altri. Nulla per le spese, non avendo le controparti svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi dell’anno 2007 n. 22123, n. 22124, 22125, 22126, 22127, 22128. Dichiara inammissibile il ricorso n. 22128 e rigetta gli altri. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma il 14 luglio 2011.
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