CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 agosto 2013, n. 19321
Società – Società irregolare e di fatto – Recesso del socio – Liquidazione della quota – Incidenza, ai fini del calcolo del patrimonio sociale, del godimento di immobili dati in comodato alla società senza determinazione di durata – Esclusione – Fondamento
Rilevato che
1. G.L. ha chiesto al Tribunale di Palermo di accertare l’esistenza di una società di fatto con il fratello N.. Ha dedotto che, a partire dal 1962, aveva esercitato attività commerciale in comune con il fratello e da essa erano derivati i mezzi finanziari per acquistare immobili intestati fiduciariamente al solo N. dopo il 1977. Ha chiesto di liquidare la sua quota e di disporre la divisione dei beni immobili e di tutti gli altri beni comuni.
2. La domanda è stata contestata da N.L. che ha rivendicato l’esclusiva titolarità dell’impresa, sia pure svolta in regime di impresa familiare, e l’esclusiva proprietà degli immobili acquistati a suo nome.
3. Il Tribunale di Palermo ha accolto la domanda dichiarando l’esistenza della società di fatto, accertando la giusta causa del recesso da parte dell’attore e dichiarando il diritto alla liquidazione della quota e allo scioglimento della comunione sugli immobili ritenuti appartenenti a entrambi i fratelli L..
4. N.L. ha appellato la sentenza e proposto, contemporaneamente, regolamento di competenza avverso la sentenza non definitiva del 4 luglio 1992, rilevando che il fratello aveva svolto attività di lavoro dipendente presso l’impresa familiare e quindi avrebbe dovuto proporre la sua domanda al giudice del lavoro. Entrambi i mezzi di impugnazione sono stati respinti con decisioni confermate in sede di legittimità.
5. Con sentenza del 24 novembre 1997 il Tribunale di Palermo ha approvato il progetto di divisione degli immobili cointestati e con ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. del 7 settembre 1999 ha condannato N.L. al pagamento della somma di 3.375.000.000 di lire, oltre interessi a decorrere dal 15 maggio 1990, riconoscendo in tale misura il valore della quota societaria da liquidare in favore di G. L. a seguito del suo recesso, avvenuto nella predetta data del 15 maggio 1990, dalla società di fatto con il fratello N..
6. La Corte di appello di Palermo, con sentenza depositata il 31 gennaio 2006, ha accolto parzialmente l’appello di N.L. riducendo la sua condanna a 615.522,60 euro e condannandolo al pagamento della metà delle spese del giudizio di appello.
7. Ricorre per cassazione N.L. affidandosi a quattro motivi di ricorso: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 2289 c.c. nonché degli artt. 2221, 2281, 1350 n. 9 e 1810 c.c.; b) omessa e in ogni caso insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo; c) violazione e falsa applicazione (sotto altro aspetto) dell’art. 2289 c.c. nonché dell’art. 2697 c.c.; d) omessa e in ogni caso insufficiente motivazione su un fatto decisivo.
8. Non svolge difese G.L..
Ritenuto che
9. Con il primo motivo di ricorso N.L. afferma che la Corte di appello ha errato nel computare nell’attivo sociale il valore del godimento degli immobili di sua proprietà in uso alla società. In assenza di altri titoli negoziali o reali la Corte di appello avrebbe dovuto, secondo il ricorrente, attribuire il godimento di tali immobili a un rapporto di comodato revocabile ad nutum dal concedente. Di conseguenza niente del trascorso godimento degli immobili poteva residuare all’attivo della società al momento della liquidazione della quota dato che tale utilità si era consumata e non vi era, per altro verso, alcuna garanzia della sua disponibilità in futuro sicché l’iscrizione all’attivo, ai fini del calcolo del valore della quota del socio receduto, era il frutto di una erronea valutazione della Corte di appello in contrasto con le stesse conclusioni del C.T.U.
10. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia fornito, a sostegno della decisione già criticata con il precedente motivo di ricorso, una motivazione illogica in quanto, pur non avendo avuto dubbio alcuno nel riconoscere la proprietà esclusiva degli immobili in questione da parte di N.L. e pur avendo riscontrato che la società non aveva pagato alcun canone o compenso per l’utilizzo degli immobili, ha ritenuto che il socio non proprietario avesse diritto a percepire il valore del godimento degli immobili.
11. I due motivi che possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione logico-giuridica sono fondati. La rilevazione di un valore derivante dalla detenzione gratuita degli immobili appartenenti a N.L. presupponeva un titolo idoneo a proiettare nel tempo futuro tale utilità al fine di quantificarne, al netto dei costi, l’incidenza sull’attivo della società. Ciò evidentemente non è se si ritiene, come sembra emergere dalla motivazione, che il titolo della detenzione era il comodato gratuito e senza determinazione di durata perché tale godimento è revocabile ad nutum dal proprietario concedente e non consente quindi una proiezione nel tempo futuro necessaria a una quantificazione del suo valore. Né appare logico attribuire un valore al comodato con riferimento al godimento dei locali avvenuto nel passato perché tale utilità si è consumata e non può concorrere quindi a determinare l’attivo della società all’attualità come occorre invece fare per liquidare la quota del socio che intende recedere dalla partecipazione alla società.
12. Sono invece infondati i successivi motivi.
13. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2289 e 2697 c.c. e fa rilevare che la Corte di appello, nel confermare la decisione del Tribunale, che aveva incluso nel patrimonio netto aziendale, invece che al passivo dello stato patrimoniale, alcuni finanziamenti da lui effettuati alla società, appostati in bilancio con la dizione “titolare c/anticipazione”, ha, in primo luogo, disatteso il dato formale di bilancio emergente dalla consulenza tecnica contabile. Ha, inoltre, invertito l’onere della prova ponendo erroneamente a suo carico la dimostrazione dell’effettiva provenienza dei versamenti confluiti nel conto mentre sarebbe dovuto gravare su G.L. l’onere di dimostrare la non veridicità dell’appostazione in bilancio che attestava come quei versamenti costituissero anticipazioni del socio in conto di futuro aumento del capitale e non denaro della società.
14. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia il vizio di motivazione perché ritiene che la Corte di appello abbia disatteso o interpretato contraddittoriamente gli elementi acquisiti nell’istruttoria dai quali risultava che il conto “titolare c. anticipazioni” era stato costituito, secondo la documentazione fornita dallo stesso consulente di parte avversa, “con una serie di versamenti effettuati dal sig. N.L. ammontanti a complessivi 550.000.000 di lire”. Secondo il ricorrente appare inoltre fuorviante la considerazione che la Corte di appello compie circa la pretesa incertezza della causale dei versamenti (se effettuati come finanziamento o a titolo di capitale) perché essa si basa, almeno in parte, sulla circostanza per cui tali somme furono destinate a capitale dopo il recesso di G.L. e per volontà del fratello N.. Il che sta proprio a dimostrare, secondo l’odierno ricorrente, che prima del recesso del fratello tali somme non erano detenute dalla società a titolo di capitale ma a titolo di deposito e con il riconoscimento della loro spettanza a colui che le aveva versate.
15. La Corte ritiene che entrambi i motivi siano intesi a ottenere, almeno in parte, una rivalutazione del merito della controversia, e come tali debbano, per un verso, considerarsi inammissibili. Sul punto della ascrivibilità o meno al patrimonio sociale delle somme appostate in bilancio con la dizione “titolare c./anticipazioni” la Corte di appello ha optato per la prima ipotesi, quella della appartenenza al patrimonio sociale, partendo dal rilievo, del tutto condivisibile, secondo cui nelle società di fatto i soci possono si effettuare finanziamenti in favore della società ma per ottenere il riconoscimento del debito della società che ne deriva devono fornire una prova rigorosa della destinazione dei versamenti alla finalità di finanziamento della società. Nella specie, ha rilevato la Corte territoriale, al di là della generica e equivoca denominazione del conto (titolare c./anticipazioni), di per sé certamente non indicativa di finanziamenti alla società, l’istruttoria ha consentito di accertare che il conto ha accolto sette versamenti effettuati da Nicolò Licata ma nessun elemento è emerso circa la provenienza delle somme e la loro destinazione. Quella dedotta dall’odierno ricorrente, di finanziamento della società da parte di uno dei soci, è smentita, secondo la Corte di appello, sia dalla presenza nelle casse della società di disponibilità elevate che non giustificavano il ricorso al finanziamento da parte dei soci sia dalla destinazione finale delle somme, dopo il recesso di G.L., al patrimonio netto. Si tratta di valutazioni che non appaiono affatto contraddittorie o illogiche e che non sovvertono affatto i principi generali in materia di onere della prova. In un regime di conduzione dell’impresa del tutto informale e che celava l’esistenza di una società di fatto non può che ritenersi presumibilmente che i versamenti di somme di denaro da parte del titolare dell’impresa altro non fossero che la destinazione al patrimonio sociale dei proventi dell’attività svolta salva ovviamente la possibilità di una prova contraria che non poteva che essere vagliata secondo un filtro di valutazione particolarmente rigoroso. Lo stesso ricorrente del resto sembra smentire nelle sue deduzioni la destinazione dei versamenti al finanziamento della società laddove parla di versamenti depositati presso la società in vista di un possibile aumento del capitale.
16. Vanno pertanto accolti i primi due motivi di ricorso e rigettati i successivi motivi con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Palermo che rivaluterà la questione della ascrivibilità o meno al patrimonio sociale del valore d’uso degli immobili di proprietà di N.L., destinati allo svolgimento dell’attività aziendale, alla luce delle considerazioni sopra svolte.
P.Q.M.
Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso rigetta il terzo e quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Palermo che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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