Corte di Cassazione sentenza n. 19609 del 24 maggio 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – MONTAGGIO DI UN MONTACARICHI INDUSTRIALE – SCHIACCIAMENTO DELLA MANO DI UN LAVORATORE – ATTREZZATURE INADEGUATE – DATORE DI LAVORO E RESPONSABILITA’
massima
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Vi è la responsabilità del titolare della ditta individuale per infortunio ad un proprio dipendente: quest’ultimo subiva infatti la subamputazione 4° dito mano destra e lesione profonda 5° dito mano destro, mentre si trovava intento nel montaggio di un montacarichi industriale dopo esser rimasto schiacciato tra il manufatto stesso ed il muro, subendo le lesioni summenzionate. Il manufatto metallico di grandi dimensioni, del peso di alcune centinaia di chili, doveva essere inserito in un vano ascensore in muratura, precedentemente predisposto ma era risultato di dimensioni maggiori all’apertura del vano ascensore in cui doveva essere introdotto. Così il lavoratore infortunato interveniva cercando di forzare l’ingresso del manufatto senza fare uso di idonee leve, ma bensì utilizzando le mani. Ad un certo punto, il manufatto si muoveva, schiacciando la mano del lavoratore provocandogli le lesioni da cesoiamento.
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Fatto
Con sentenza in data 13.5.2011 la Corte di Appello di Trento confermava quella emessa in data 27.10.2009 dal Tribunale di Trento che aveva condannato C.N. alla pena di € 700,00 di multa per il reato di cui all’art. 590 c.p. -2087 c.c. perché quale titolare della ditta individuale “P. ascensori di C.N. con sede in Pesaro via (…) con negligenza, imprudenza ed imperizia, colposamente cagionava al proprio dipendente C.A. una lesione personale consistente in “subamputazione 4° dito mano dx e lesione profonda 5° dito mano dx” dalla quale derivava una malattia e l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 gg. (gg. 180), commettendo il fatto anche con violazione delle norme di sicurezza di cui all’art. 35 co. 1 D.Lgs. 19.09.1994 nr. 626, in quanto, mentre il lavoratore si trovava intento nel montaggio, presso il capannone in via di costruzione della T. S.p.a. di Rovere della Luna (TN), di un montacarichi industriale, rimaneva schiacciato tra il manufatto stesso ed il muro, subendo le lesioni summenzionate. Il manufatto metallico di grandi dimensioni, del peso di alcune centinaia di chili, doveva essere inserito in un vano ascensore in muratura, precedentemente predisposto. Essendo il manufatto metallico risultato di dimensioni maggiori all’apertura del vano ascensore in cui doveva essere introdotto, i lavoratori, congiuntamente all’indagato cercavano di inserirlo diagonalmente. Durante tali operazioni il manufatto si incastrava tra i muri dell’apertura. Per disincastralo, veniva fatta leva con l’ausilio di un pezzo di legno recuperato in cantiere. Nel contempo, il lavoratore infortunato interveniva sul lato opposto cercando di forzare l’ingresso del manufatto senza fare uso di idonee leve ma bensì utilizzando le mani. Ad un certo punto, il manufatto si muoveva, schiacciando la mano del lavoratore provocandogli le lesioni da cesoiamento.
Colposamente l’imputato ometteva di mettere a disposizione attrezzature adeguate durante le operazioni di inserimento del manufatto metallico nel vano ascensore. In particolare non metteva a disposizione dei lavoratori incaricati del lavoro summenzionato, adeguate leve o altri strumenti atti ad impedire il contatto con le mani con il manufatto in questione. Ciò al fine di eliminare il pericolo di cesoiamento delle mani durante tali operazioni, cosa di fatto accaduta al momento dell’infortunio (fatti commessi il 2.2.2005).
Avverso la sentenza della Corte trentina ricorre per cassazione il difensore di fiducia di C.N., articolando i motivi di seguito sinteticamente riportati.
1. La violazione della legge processuale penale ed il vizio motivazionale in ordine all’avvenuta acquisizione ed utilizzazione dei verbali di s.i.t. di C. e C. ai sensi dell’art. 512 c.p.p., contestando la ricorrenza del presupposto fondamentale dell’impossibilità assoluta di ripetizione dell’atto, non essendo stata nemmeno formalizzata la dichiarazione di irreperibilità (dato che la persona offesa aveva nominato un legale di fiducia e l’INAIL aveva provveduto ad un risarcimento del danno in suo favore, sicché avrebbero dovuto essere espletati ulteriori accertamenti sulla reperibilità di tale teste-persona offesa).
2. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all’affermazione di responsabilità del ricorrente, riprendendo gli assunti della Corte, le emergenze dibattimentali richiamate nei motivi d’appello e pretermesse nella motivazione della sentenza impugnata nonché la ritenuta prevedibilità, secondo una tesi del tutto apodittica della Corte di appello, dell’evenienza verificatasi sul cantiere. Evidenzia, inoltre, la rilevanza dell’ordine di sospensione impartito dal capo squadra (di star fermi ed attendere il suo ritorno) e disatteso dall’infortunato, alla cui improvvida iniziativa doveva ricondursi l’evento.
Diritto
Il ricorso è infondato e va respinto.
La prima censura, di ordine processuale, è palesemente aspecifica: invero, ha riproposto in questa sede sostanzialmente la medesima doglianza rappresentata dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione compiuta e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile. Infatti “…la mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità” (Cass. Pen.- Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109). Invero, correttamente la Corte ha disposto l’acquisizione ed utilizzazione dei verbali delle dichiarazioni rese dai testi in sede di indagini preliminari ai sensi dell’art. 512 c.p.p., avendo rilevato come non potesse prevedersi in alcun modo l’irreperibilità dei due testi che, benché stranieri, si erano perfettamente integrati e regolarizzati nello Stato italiano; del resto, è stato perfino ritenuto che “sono utilizzabili le dichiarazioni rese, nella fase delle indagini preliminari, da persona divenuta irreperibile, quando l’irreperibilità, pur se volontaria, sia imprevedibile e non risulti indotta dalla scelta di sottrarsi al dibattimento” (Cass. pen. Sez. III, 17.11.2009, n. 6636, Rv 246181). Né nel caso di specie vi era necessità di ulteriori ed approfonditi accertamenti circa l’irreperibilità (non essendo le circostanze indicate in ricorso in alcun modo richiamate in sentenza e, dunque, nemmeno verificate esser in atti): addirittura si è ritenuto al riguardo che “non può dirsi prevedibile l’irreperibilità in dibattimento del soggetto dichiarante per il solo fatto che questi sia un cittadino extracomunitario privo di permesso di soggiorno, sicché, nei casi di impossibilità sopravvenuta di ripetizione, può darsi lettura in dibattimento delle dichiarazioni da lui rese nel corso delle indagini preliminari” (Cass. pen. Sez. II, 4.3.2009, n. 14850, Rv 244055).
Né, peraltro, l’ordine di sospensione dei lavori impartito dal capo squadra C.G. appare sufficiente ad escludere la responsabilità ai fini antinfortunistici, poiché occorreva che fossero comunque disposte anche adeguate misure tese a garantire che l’ordine venisse rispettato: diversamente, si rimetterebbe, come puntualmente osservato dai giudici di merito, agli stessi lavoratori la salvaguardia della loro incolumità, così integrando ipotesi di colpa. E tanto, tenuto doverosamente conto (sulla scorta delle dichiarazioni di C.) della compresenza del ricorrente, che nel contesto manovrava il carrello sollevatore, sicché aveva anche omesso di esercitare la dovuta vigilanza sul lavoratore impedendogli di toccare la trave. Correttamente, pertanto, non è stato ritenuto ravvisabile, in tale contesto, alcun comportamento eccezionalmente abnorme del lavoratore tale da escludere il nesso di causalità.
Infatti, nel caso di specie non si rinviene certo un contegno eccezionale od abnorme del lavoratore, esorbitante, cioè, rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute e come tale, dunque, del tutto imprevedibile (tra le altre, Sez. IV, 17.2.2009 n. 15009, Rv. 243208): si è trattato di un prevedibile atto di disobbedienza dell’ordine inibitorio impartito dal capo squadra, compiuto in cospetto dello stesso datore che avrebbe potuto e dovuto tempestivamente intervenire bloccando l’iniziativa del lavoratore.
Per altro verso, quanto alle emergenze dibattimentali evidenziate nell’atto d’appello e pretermesse dal Giudice a quo, va rammentato che “nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette” (Cass. pen. Sez. IV, 24.10.2005, n. 1149, Rv. 233187).
E nel caso di specie si deve ritenere ampiamente adempiuto l’obbligo motivazionale, laddove è stata meticolosamente ricostruita la dinamica del sinistro individuando gli oneri ai quali era venuto meno il datore di lavoro in occasione dell’operazione che si doveva compiere, in particolare l’aver mancato di mettere a disposizione degli operai gli attrezzi giusti fin dall’inizio, circostanza che costituì la causa remota di verificazione dell’incidente, laddove fu lasciato aperto lo spazio per la insinuazione aggiuntiva dell’imprudenza dello stesso operaio che agì manualmente, mentre C.G. caposquadra e padre dell’imputato, cercava il pezzo di legno da usare come leva.
Il ricorso va, pertanto, rigettato e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., a tale pronuncia deve seguire la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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