CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 agosto 2013, n. 19767
Tributi – Accertamento e controlli -Metodo induttivo – Studi di settore – Tipo di attività che attraversa un periodo di crisi – Inapplicabilità degli standards
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 133/28/2006 del 20/09/2006, depositata in data 13/10/2006, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sez. 28, accoglieva, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 4/04/2005, da B.A.M. e D.S.A., avverso la decisione n. 24/52/2004 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che aveva solo parzialmente accolto il ricorso dei suddetti contribuenti contro un avviso di accertamento, con il quale, a seguito di controllo automatizzato dei ricavi dichiarati in relazione all’attività di commercio al dettaglio di carni, per l’anno 1996, svolta nel Comune di Lariano, era stato rettificato il reddito d’impresa, in applicazione dei parametri di cui ai commi 181, 183 e 184 L. 549/1995 ed ai D.P.C.M. 29/01/1996 e 27/03/1997, ed erano state liquidate maggiori imposte dovute per IVA, IRPEF e contributo per l’Europa.
La C.T.P. accoglieva parzialmente le doglianze dei contribuenti, riducendo i maggiori ricavi accertati dall’Ufficio del 50% (sui quali lo stesso Ufficio doveva rideterminare le maggiori imposte dovute, gli interessi e le sanzioni), tenuto conto sia del luogo in cui era ubicato l’esercizio sia delle difficoltà momentanee attraversate dal settore a causa del fenomeno della “mucca pazza” . La Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello incidentale dell’Ufficio ed accoglieva il gravame dei contribuenti, in quanto riteneva l’atto impositivo carente di motivazione, rispetto a quanto richiesto dallo Statuto del Contribuente e dall’art.3 L.241/1990, considerato che, nell’atto, non si rinveniva “una benché minima considerazione sul fenomeno sollevato dai contribuenti (mucca -pazza)” (che avrebbe, secondo i medesimi ridotto il consumo di carne bovina e di carni alternative) ed i parametri applicati, “essendo stati emanati senza l’acquisizione del preventivo parere del Consiglio di Stato” assurgevano a mera presunzione semplice e non legale.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo tre motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art.360 n. 3 c.p.c. (Motivo 1, in relazione agli artt.3 commi 181 e 183 L.549/1995, 4 DPR 195/1999 e 42 DPR 600/1973, dovendo ritenersi legittimo l’atto impositivo motivato con riferimento alla determinazione presuntiva dei redditi attraverso l’applicazione dei parametri, sulla base dell’esiguità dei redditi dichiarati nel 1996 dai coniugi D.S.B. per l’attività d’impresa, con una perdita dichiarata di £ 2.988.000, non verosimile, essendo l’attività l’unica fonte di sostentamento della famiglia, ed avendo la ricostruzione parametrica il carattere di presunzione relativa, grave, precisa e concordante con conseguente inversione dell’onere della prova a carico dei contribuenti, i quali, invitati al contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso, avevano addotto giustificazioni indimostrate, nonché rifiutato una riduzione del 25% sui maggiori ricavi accertabili in base ai parametri ; Motivo 2, in relazione agli artt.7 L.212/2000, 3 L. 241/1990 e 42 DPR 600/1973, dovendo ritenersi l’avviso congruamente motivato, malgrado la mancata allegazione dei verbali di ispezione e verifica, richiamati nell’atto, in quanto redatti alla presenza dei contribuenti e dunque dagli stessi conosciuti), e per insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art.360 n. 5 c.p.c. (Motivo 3, avendo la C.T.R. trascurato l’esame delle controdeduzioni depositate dall’Agenzia delle Entrate in primo grado e di uno specifico motivo di appello incidentale, in risposta alla circostanza, allegata dai contribuenti a giustificazione della perdita dichiarata, relativa alla crisi del settore provocata dal fenomeno della “mucca-pazza”).
Hanno resistito i contribuenti con controricorso, anche eccependo l’improcedibilità del ricorso per tardività, dovendo il termine lungo, ex art. 327 c.p.c., decorrere dalla data di deposito della sentenza e non risultando dal plico, notificato a mezzo posta, la data di consegna dell’atto, cui ricollegare la tempestività del deposito in cancelleria del ricorso, ai sensi dell’art.369 c.p.c.
Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art.378 c.p.c.
Motivi della decisione
Vanno esaminate anzitutto le eccezioni pregiudiziali dei controricorrenti.
In ordine alla tardività del ricorso per cassazione, risulta, dagli atti, che la sentenza impugnata è stata depositata in data 13/10/2006 (venerdì), mentre il ricorso per cassazione è stato consegnato all’Ufficiale giudiziario, dall’Avvocatura Generale dello Stato, per la notifica, in data 28/11/2007 (mercoledì). Ora, il termine lungo per impugnare, in difetto di inferiore a quello che sarebbe normale e quindi presuntivamente vero in assenza di esse”. In sostanza, i parametri previsti dall’art. 3, commi da 181 a 187, L. 28 dicembre 1995 n. 549, rappresentando la risultante dell’ estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d, DPR 29 settembre 1973 n. 600, e, soltanto ove siano stati contestati, in sede di contraddittorio con il contribuente, sulla base di allegazioni specifiche, sono inidonei a supportare da soli l’accertamento medesimo, se non confortati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa.
Nella fattispecie, vertendosi in ipotesi nella quale, come si evince dal ricorso, il contribuente aveva risposto all’invito dell’Ufficio impositivo al contraddittorio, il giudice ha rilevato che di tali circostanze di fatto specifiche, al fine di “giustificare” un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale e quindi presuntivamente vero in assenza di esse, circostanze che dovevano essere vagliate dall’Ufficio come idonee ad escludere quelle condizioni di normalità necessarie per l’inserimento di un’impresa nell’area dei soggetti ai quali possono essere applicati gli standards previsti dall’ utilizzo dei parametri, non vi era alcun cenno nella motivazione dell’avviso, per tali motivi del tutto carente.
Va ribadito che, nell’accertamento mediante l’applicazione dei parametri, assume rilievo primario il contraddittorio con il contribuente, dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la “presunzione” indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri e pertanto la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo del predetto scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio: è da questo più complesso quadro che emerge la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente. Nella specie peraltro, sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso, il contenuto dell’avviso di accertamento non viene ritrascritto dalla ricorrente, ai fini del vaglio da parte di questa Corte.
Il secondo motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza, non incentrata sulla mancata allegazione dei verbali redatti in sede di contraddittorio con i contribuenti.
Il terzo motivo, involgente vizio di motivazione, è del pari infondato.
Invero, poiché la controversia verteva sui maggiori ricavi accertati dall’Ufficio, per i quali il contribuente, già previamente, in sede di contraddittorio nella fase endoprocedimentale, nonché, in giudizio, aveva addotto di non averli realmente incassati nell’anno di imposta oggetto dell’accertamento (1996), il giudice tributario ha accertato la carenza di motivazione dell’atto impositivo.
Giova ribadire che il vizio di omessa motivazione sussiste quando nella motivazione non sia chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione e non risulti comunque desumibile la ragione per la quale ogni contraria prospettazione sia stata disattesa.
Soltanto genericamente l’Agenzia contesta tale accertamento sotto il profilo motivazionale, con conseguente infondatezza del motivo.
La Corte rigetta il ricorso.
Le spese processuali del presente giudizio di legittimità, attese la natura della controversia e le peculiarità della fattispecie,vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
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