Corte di Cassazione sentenza n. 2 del 02 gennaio 2013
LAVORO (RAPPORTO DI) – CONTRATTO A TERMINE – COLLEGATO LAVORO – APPOSIZIONE ILLEGITTIMA DI TERMINE – PAGAMENTO DI UN’INDENNITA’
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la domanda di cui al ricorso di primo grado F.F., premesso di avere stipulato, ai sensi dell’art. 8 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 26 novembre 1994, come integrato dall’Accordo del 25 settembre 1997, con la convenuta Poste Italiane S.p.A. un contratto a tempo determinato, con decorrenza dal 1° dicembre 1999 al 28 febbraio 2000, che l’apposizione del termine era stata giustificata con il ricorrere di “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa della attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, ha chiesto, accertata la nullità del termine, dichiararsi la esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e per l’effetto condannarsi la società convenuta al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate.
Il Tribunale ha accolto la domanda. La statuizione di accoglimento è stata confermata dalla Corte di appello di Roma.
La Corte territoriale, respinta la eccezione di inammissibilità dell’impugnazione di Poste, ha motivato la conferma della decisione sul rilievo dell’essere venuta meno alla data del 30 aprile 1998, la contrattazione autorizzatoria fondata sulla straordinarietà del processo di trasformazione che aveva investito Poste Italiane S.p.A.; in questa prospettiva ha negato che all’Accordo del 18 gennaio 2001 tra la società e le Organizzazioni sindacali potesse conseguire un’efficacia sanante “dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento della interpretazione autentica di intervenire su diritti indisponibili del lavoratore in quanto già perfezionati e, quindi di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi” (v. sentenza, pag. 3). Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso, affidato a tre motivi la società Poste Italiane.
L’intimato ha resistito con controricorso; ha proposto ricorso incidentale condizionato con il quale ha denunziato la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 56 del 1987, art. 23, sul rilievo della sussistenza, anche nelle ipotesi di assunzioni a termine fondate su previsione collettive, dell’onere per il datore di lavoro di dimostrare il concreto ricorrere delle condizioni giustificative del termine, non potendo la “delega in bianco” conferita alle parti sindacali esonerare parte datoriale dal relativo onere probatorio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale di Poste Italiane S.p.A. con il ricorso incidentale condizionato proposto dal lavoratore.
Con il primo motivo di ricorso la società Poste Italiane ha dedotto la violazione e falsa applicazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell’art. 8 c.c.n.l. del 26 novembre 1994, degli accordi sindacali 25 settembre 1997, 16 gennaio 1998, 27 aprile 1998, 2 luglio 1998, 24 maggio 1999 e 18 gennaio 2001 in connessione agli artt. 1362 c.c. contestandosi l’interpretazione della contrattazione collettiva cui è pervenuto il giudice di merito (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in ordine alla individuazione della volontà delle parti collettive di fissare al 30.4.98 il termine finale di efficacia dell’accordo integrativo 25.9.97.
Con il secondo motivo ha dedotto la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatti decisivi della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in punto di individuazione della volontà delle parti collettive di fissare al 30.4.98 il termine finale di efficacia dell’accordo integrativo 25.9.97.
Con il terzo motivo ha dedotto la violazione e falsa applicazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094, 2099 e 2697 c.c., per avere in violazione dei principi e delle norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni riconosciuto il diritto del lavoratore, a titolo risarcitorio, all’importo corrispondente alla retribuzioni dalla data di asserita messa in mora anziché dalla effettiva ripresa dal servizio.
Ha invocato l’applicazione dello ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 in tema di determinazione del risarcimento del danno connesso alla conversione del contratto a termine illegittimo.
I primi due motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi.
Essi sono infondati.
Il contratto di cui si controverte, cessato il 28.2.2000, è stato stipulato con decorrenza dal 1° dicembre 1999 ex art. 8 del c.c.n.l.
26.11.94, come integrato dall’accordo 26.9.97, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, detti motivi debbono essere esaminati congiuntamente.
La consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. n. 2866 del 2004 e n. 6913 del 2009, ord. n. 23120 del 2010), formatasi in ordine all’esame di fattispecie analoghe alla presente, coinvolgenti l’interpretazione delle norme contrattuali collettive richiamate da Poste Italiane nel formulare i primi due motivi di ricorso, ha ripetutamente confermato le decisioni dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti di lavoro stipulati, in base alla previsione delle “esigenze eccezionali” di cui all’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sul rilievo che i contraenti collettivi, esercitando i poteri loro attribuiti dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 avevano convenuto di limitare il riconoscimento della sussistenza fino al 31 gennaio e poi fino al 30 aprile 1998 della situazione indicata per far fronte alla quale l’impresa poteva procedere ad assunzioni di personale con contratto a tempo determinato.
Questa Corte ha anche osservato che tale interpretazione non viola alcun canone ermeneutico, atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di una più diffusa argomentazione ai fini della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr, ex plurimis, Cass. n. 12245 del 2003, Cass. 12453 del 2003. Inoltre, è stato rilevato che tale interpretazione si palesa rispettosa del canone ermeneutico dell’art. 1367 c.c., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi (in considerazione della loro idoneità ad introdurre termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano previsti ex ante), laddove, diversamente opinando, gli stessi risulterebbero “senza senso” (così testualmente Cass. n. 2866 del 2004).
Né a diversa conclusione è possibile pervenire con riferimento all’accordo sindacale 2.7.98 (cd. addendum all’art. 7 del c.c.n.l.), secondo il quale “le assunzioni di cui trattasi avvengono in applicazione dell’accordo sottoscritto in data 25.9.97, come successivamente integrato, che si intende prorogato a tutto il 31.12.98″, atteso che il contratto in esame è stato stipulato in epoca successiva a quella in ipotesi ” coperta” dall’addendum.
In merito poi al successivo Accordo collettivo 18.1.01, la giurisprudenza di questa Corte (v., ex plurimis, Cass. n. 18378 del 2006) ha confermato le decisioni di merito che hanno negato a tale accordo efficacia sanante in relazione ai contratti, come quello in controversia, stipulati in assenza di autorizzazione delle parti collettive nell’esercizio della facoltà attribuita ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23. Ed infatti, anche ad ammettere che le parti fossero mosse dall’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni effettuate senza la copertura dell’accordo del 25 settembre 1997 (scaduto in forza delle convenzioni attuative), si dovrebbe, comunque, richiamare la regola dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già acquisiti, con la conseguente esclusione per le parti stipulanti del potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (cfr., per tutte, Cass. n. 5141 del 2004).
Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nel ricorso sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati da questa Corte nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.
Il rigetto dei primi due motivi di ricorso assorbe il ricorso incidentale condizionato proposto dal lavoratore.
Con il terzo motivo di ricorso si censura la conferma da parte della Corte territoriale della statuizione di condanna al risarcimento del danno. Orbene su tale danno è intervenuto, lo ius superveniens, rappresentato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7, i quali dispongono che: “5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra uni minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8.
6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.
7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 c.p.c”. Tale disciplina, applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in grado di legittimità (v. già Cass. Ord. 28-1-2011 n. 2112), alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 303 del 2011, è fondata sulla ratio legis diretta ad “introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione”, rispetto alle “obiettive incertezze verificatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente”. La norma, che “non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest’ultimo l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato”, in base ad una “interpretazione costituzionalmente orientata” va intesa nel senso che “il danno forfetizzato dall’indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto”, con la conseguenza che a partire da tale sentenza “è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva” (altrimenti risultando “completamente svuotata” la “tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato”). Nel contempo, sempre alla luce della citata pronuncia della Corte Costituzionale, “il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione dell’aliunde perceptum. Sicché l’indennità onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionatoria. Essa è dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per il avere il lavoratore prontamente reperito un’altra occupazione”. Peraltro, “la garanzia economica in questione non è né rigida, né uniforme” e, “anche attraverso il ricorso ai criteri indicati dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 consente di calibrare l’importo dell’indennità da liquidare in relazione alle peculiarità delle singole vicende, come la durata dei contratto a tempo determinato (evocata dal criterio dell’anzianità lavorativa), la gravità della violazione e la tempestività della reazione del lavoratore (sussumibili sotto l’indicatore del comportamento delle parti), lo sfruttamento di occasioni di lavoro (e di guadagno) altrimenti inattingibili in caso di prosecuzione del rapporto (riconducibile al parametro delle condizioni delle parti), nonché le stesse dimensioni dell’impresa (immediatamente misurabili attraverso il numero dei dipendenti”. Così interpretata, la nuova normativa – risultata “nell’insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi” – ha superato il giudizio di costituzionalità sotto i vari profili sollevati, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102 e 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1. Orbene tale normativa va applicata nel caso in esame, essendo questa Corte investita al riguardo, come sopra, da un valido e pertinente motivo di ricorso. In via di principio, infatti, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. n. 10547 del 2006, Cass. n. 4070 del 2004). In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (cfr. fra le altre Cass. n. 80 del 2011). Pertanto, sussistendo tale condizione, nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens va accolto il terzo motivo, e la impugnata sentenza va cassata, in relazione alla censura così accolta, con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, la quale provvederà nella specie anche ai sensi di quanto disposto in rito dal citato art. 32, comma 7 statuendo altresì sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsa, Accoglie il terzo motivo del ricorso principale. Rigetta gli altri due motivi del medesimo ricorso assorbito l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.
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