Fatto e diritto
Propone ricorso per cassazione S.S. avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria in data 2 luglio 2012 con la quale è stato confermato il decreto di sequestro preventivo, emesso dal locale Gip in data 1 giugno 2012, ed avente ad oggetto quote sociali nonché il patrimonio aziendale di quattro società a responsabilità limitata.
In particolare, la ricorrente è indagata per il reato di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, in concorso con altri soggetti, essendo stata la S. amministratrice e socia di X S.r.l., una società a sua volta partecipante della Y S.r.l. ed essendo altresì le condotte poste in essere dall’indagata in tale veste, ritenute di natura distrattiva e comunque rilevante ai sensi dell’articolo 223 legge fallimentare con riferimento alla procedura di concordato preventivo·cui è stata sottoposta la Z S.r.l.
Il sequestro in discussione, per quanto qui d’interesse, riguarda le quote sociali e il patrimonio della Y S.r.l. e cioè la società intestataria del contratto d’affitto di un ramo di azienda della Z, stipulato per un canone sottostimato, in modo da sottrarre il detto ramo d’azienda al patrimonio della società sottoposta a procedura di esecuzione, essendo la indagata la “intestataria”, peraltro solo fittizia e nominale, della società Y.
Deduce la ricorrente
1) la violazione dell’articolo 125 comma tre c.p.p.
Sostiene la difesa che il Tribunale avrebbe totalmente omesso di valutare le ragioni illustrate nella memoria difensiva depositata e volte a dimostrare l’insussistenza del fumus del reato.
Si era infatti segnalato come la condotta contestata nell’imputazione provvisoria – e cioè l’affitto dell’azienda o di un ramo di azienda della Z alla società riferibile all’indagata – non fosse rilevante come attività di natura distrattiva in quanto il contratto di affitto è per sua natura temporaneo e non comporta la perdita del bene da parte della società proprietaria;
2) con atto depositato il 6 febbraio 2013 la difesa ha illustrato un motivo nuovo.
Ha dedotto la assoluta inadeguatezza di una motivazione limitata a sostenere che il fumus del reato si ricaverebbe dalla lettura del capo d’imputazione senza invece che provvedere ad estenderla alle ragioni rappresentate dalla parte nelle memorie depositate.
La difesa censura, altresì, l’argomento utilizzato dal Tribunale per sostenere che l’indagata fosse intestataria fittizia della società Y.
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato, alla luce della costante ed univoca giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che ha più volte ribadito come sia configurabile il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione anche attraverso la conclusione di contratti, come quello di affitto di azienda, quando questi siano privi di effettiva ed adeguata contropartita e, pertanto, risultino preordinati ad avvantaggiare i soci a scapito dei creditori (in tal senso, vedi Sez. 5, sentenza n. 10742 del 15/02/2008 Ud. (dep. 10/03/2008); conformi rv 248425; rv 241830 relativa ad affitto di singoli beni aziendali).
Si è condivisibilmente osservato, in aggiunta, in Sez. 5, sent. n. 11207 del 29/10/1993 rv 196456, che un contratto di locazione stipulato per finalità estranee all’azienda può integrare gli estremi della bancarotta per distrazione, quando venga stipulato in previsione del fallimento ed allo scopo di trasferire la disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico. Un tale contratto, infatti, lascia l’impresa dissestata nell’impossibilità di esercitare qualsiasi attività economica e poiché produce effetti anche dopo il fallimento del locatore (art. 80 legge fallimentare), ostacola gli organi del fallimento nella liquidazione dell’attivo (rendendo difficile la collocazione sul mercato di beni non immediatamente disponibili) e danneggia i creditori concorsuali (determinando una drastica diminuzione del valore di mercato dei beni locati). (Conforme rv 209947).
È del tutto irrilevante, pertanto, la osservazione dell’impugnante a proposito del carattere solo temporaneo ed a carattere obbligatorio dell’ablazione del bene dal patrimonio della società.
Il secondo motivo di ricorso risulta inammissibile, invece, sotto il diverso profilo della genericità della sua formulazione poiché pur evocando, la ricorrente, principi di diritto in tutto condivisibili, quale è quello della necessaria valutazione del fumus anche alla stregua delle contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta (così Sez. U., sentenza n. 23 del 20/11/1996 (dep. 29/01/1997) rv 206657), tuttavia non indica elementi diversi da quello citato sub 1) e tali da comportare, anche solo in ipotesi, una conclusione diversa da quella qui censurata.
La questione del carattere fittizio della intestazione della società, poi, è ugualmente dedotta in termini generici e risulta comunque “nuova” rispetto al perimetro tracciato col ricorso originario, con la conseguenza che deve essere giudicata, anche per questo, inammissibile.
Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna della ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000.
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