CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 settembre 2013, n. 20238
Tributi – IRPEF – Residenza fiscale – Convenzione Italia-Francia – Cittadino italiano iscritto all’AIRE – Lavoro prestato presso la stazione di Modane (Francia) – Stipendio corrisposto da Ferrovie dello Stato – Applicabilità della convenzione Italia-Francia – Esclusione – Applicabilità della convenzione Italia-Francia relativa alle stazioni internazionali di Modane e Ventimiglia – Applicabilità – Esonero da tassazione in Francia – Conseguenza – Tassazione nello stato di origine
Svolgimento del processo
T.R. cittadino italiano dipendente delle Ferrovie dello Stato italiane, in servizio presso la sede di Modane (Francia), propose istanza di rimborso rappresentando che, per tutti gli anni nei quali aveva prestato servizio e risieduto in Francia, erano state operate sulla retribuzione ritenute di acconto IRPEF su somme che, invece, non erano imponibili.
Avverso il silenzio rifiuto, formatosi su detta istanza, il contribuente proponeva ricorso che veniva accolto dalla Commissione Tributaria di prima istanza limitatamente agli anni 1998, 1999, 2000 e 2001, essendosi per gli altri anni il diritto estinto per decadenza.
L’ appello proposto avverso detta decisione dall’Agenzia delle Entrate veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici di appello argomentavano la decisione ritenendo che, pur ammettendo Italia-Francia, prevedesse la tassazione in Italia dei redditi, l’imposizione, in concreto, doveva poi che la Convenzione derivare dalla normativa italiana e che, nell’ordinamento, non sussisteva una specifica disposizione che consentisse l’imposizione dei redditi di fonte italiana derivanti dal lavoro prestato all’estero da soggetto non residente.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per (cassazione, affidato ad unico motivo, l’Agenzia delle Entrate.
Resiste T.R. con controricorso e propone ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1. Con unico motivo di ricorso, Agenzia delle Entrate deduce “la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 della Convenzione italo francese per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito fatta a Venezia il 5. X. 1989, dell’art. 1 della legge 7.1.1992 n. 20 e 46 e ss. D.p.r. 917/86 e 30 e 20 dpr 917/86 e 38 legge 146/98 in combinato disposto”.
In particolare, la ricorrente rileva che l’art.19 della Convenzione Italia-Francia, recepita in Italia con la legge di ratifica del 20.1.1992 n. 20, costituisce, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione Regionale, la “norma interna” che prevede che le retribuzioni corrisposte dalle Ferrovie dello Stato italiano ai propri dipendenti, cittadini italiani che lavorano in Francia e sono ivi residenti, siano imponibili ai fini dell’imposizione sul reddito alla stregua dal d.p.r. 917/86 (artt. 46 e ss.), a nulla valendo in contrario quanto disposto dagli artt. 3 e 20 d.p.r. 917/86 e 38 della legge n. 146/98 (norme generali derogate dalla suddetta normativa speciale).
2. Con il controricorso – impropriamente intitolato anche ricorso incidentale (per essersi la parte, integralmente vittoriosa, limitata a riproporre, a confutazione del ricorso principale, tutte le deduzioni già svolte in appello senza articolare specifico motivo di censura alla sentenza impugnata) – T.R. contesta l’effettiva applicabilità, nella specie, dell’art. 19 della Convenzione Italia-Francia che – a differenza di quella Italia-Svizzera – non prevede espressamente, quali soggetti eroganti le retribuzioni, le Ferrovie dello Stato – ma gli enti locali ovvero una suddivisione politica o amministrativa dello Stato.
In particolare, il controricorrente, esclusa la natura giuridica di Ente pubblico delle Ente F.S. e, quindi, l’applicabilità, nella specie, del citato art. 19, rileva che il rapporto in questione debba essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato con eventuale tassazione ai sensi dell’art. 15 della medesima convenzione il quale prevede che “salve le disposizione degli articoli 16, 18/19/20 e 21, i salari gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato riceve in corrispettivo di un’ attività dipendente sono imponibili solo in detto Stato a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato. Se l’attività è quivi svolta le remunerazioni percepite a tale titolo sono imponibili in questo altro Stato”.
3. Il ricorso è fondato nei limiti di cui si dirà infra.
In materia di imposte sui redditi, l’obbligazione tributaria grava, in linea di principio, su tutti i possessori di reddito (art. 1 TUIR presupposto oggettivo) residenti o meno nel territorio dello Stato (art. 2 T.U.I.R. soggetti passivi). I primi vengono incisi in base al criterio soggettivo dell’utile mondiale” (nel senso che “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi ovunque posseduti” come precisa l’art.3, par. 1 TUIR) mentre per i soggetti non residenti il prelievo fiscale avviene in base al criterio oggettivo di “territorialità” della fonte del reddito (nel senso che il reddito complessivo imponibile per i non residenti è formato soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato). L’adozione del doppio criterio di prelievo (inteso ad escludere “zone franche” della imposizione), in base all’ “utile mondiale” del soggetto e alla territorialità della fonte del reddito, espressione della sovranità dello Stato sui cittadini e sul territorio, implica il rischio di doppie imposizioni rispetto a quei Paesi che utilizzano gli stessi criteri. Di qui l’esigenza di adottare appositi accordi tra gli Stati, che prevalgano sulla normativa interna, oltre che per il generale principio sancito dall’art. 10 della Costituzione (pacta sunt servanta) per espressa disposizione di legge (art. 75, d. p. r. 600/1973: nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia”) (così Cass. n. 12595/04 ed in senso conforme, Cass. n. 29455/08; id. n. 3556/09).
Ciò posto in linea generale, va, però, rilevato che la materia, oggetto del contendere, non trova disciplina nell’art. 19 della Convenzione invocata da entrambe le parti e la cui rilevanza ai fini fiscali è stata esclusa, seppur con altra motivazione, dalla Commissione tributaria piemontese.
Ed invero, tale norma pattizia, a differenza della richiamata corrispondente disposizione della Convenzione Italia-Svizzera ratificata con legge (la quale prevede espressamente che le remunerazioni pagate dalle Ferrovie dello Stato (art. 19 par. 1 e 2) a una persona fisica che ha nazionalità di detto Stato a titolo di servizi resi … sono imponibili soltanto nello Stato contraente da dove provengono – dette remunerazioni) stabilisce che le remunerazioni, diverse dalle pensioni, pagate da uno Stato o da una sua suddivisione politica o amministrativa o da un suo ente locale (per quanto riguarda l’Italia) o da un suo ente territoriale (per quanto riguarda la Francia) a una persona fisica, in corrispettivo di servizi resi a detto Stato o a detta suddivisione o ente, sono imponibili sol tanto in questo Stato”.
Appare evidente dal testo della disposizione l’inapplicabilità della stessa alle Ferrovie dello Stato, soggetto (nella sua qualità di ente autonomo economico di diritto pubblico prima e persona giuridica di diritto privato oggi) che non può essere ricompreso nell’ambito della definizione del citato art. 19 n. 1 il quale, evidentemente, ricomprende le funzioni strettamente pubbliche svolte dallo Stato; ciò, però, non comporta, come sostenuto dal controricorrente, l’applicabilità dell’art. 15 stessa convenzione dettato in materia di lavoro subordinato.
Ed invero, per la specifica materia oggetto di controversia, vige, con carattere di specialità, la Convenzione tra Italia e Francia relativa alle stazioni internazionali di Modane e Ventimiglia conclusa a Roma il 29 gennaio 1951, ratificata in Italia con legge 31 ottobre 1952 n. 1907,certamente applicabile alla fattispecie, avendo il controricorrente prestato, per come è pacifico, la propria attività lavorativa in favore delle Ferrovie dello Stato italiane proprio presso la stazione di Modane.
Per quello che qui interessa tale convenzione, all’art. 12 dispone, nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 287 dell’11.12.1952: “Les ressortissants italiens attaches au service de la gare de Modane sont exemptes, en France, de toute contribution percue pori le compte de l’Etat ou des colectivites locales dans la limite des revenus ou autres element imposables se rapportalit a l’exercice de leur fonctions” ovvero che: “i cittadini italiani addetti al servizio della stazione di Modane sono esonerati, in Francia, da qualsiasi contributo per conto dello Stato o delle comunità locali entro il limite dei ricavi o di altri elementi passivi relativi all’esercizio delle loro funzioni”.
In altri termini, la Convenzione prevede che i cittadini italiani, per il lavoro svolto nella stazione di Modane, beneficiano in Francia dell’esenzione totale da imposizione sia erariale che locale.
Ciò posto, ritornando al caso di specie, può, certamente, escludersi l’ipotesi della doppia imposizione, sia sul piano della disciplina interna, in forza del principio generale del divieto di doppia imposizione (art. 126 TUIR nel testo applicabile ratione temporis) sia sul piano dei rapporti internazionali, (nella, specie, con la Francia) in forza della suddetta Convenzione e dall’ulteriore Convenzione bilaterale ratificata e resa esecutiva con la legge 7.1.1992 n. 20, intesa appunto ad evitare doppie imposizioni come si legge nel suo titolo.
Va, però, escluso anche che, nella specie, si tratti di reddito sottratto ad imposizione in entrambi gli Stati perché tale ipotesi si risolverebbe in una esenzione non prevista dalia legge, in contrasto con il principio costituzionale, secondo il quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., comma 1, che sancisce il principio di completezza dell’ordinamento giuridico tributario (Cass. n. 2921/10).
Come noto, infatti, le esenzioni, in quanto derogano al regime generale del prelievo fiscale, devono essere espressamente previste dal legislatore (né sono suscettibili di applicazione analogica), e sono legittime in quanto siano giustificate da ragioni di equità o di politica fiscale, che non le ponga in rotta di collisione con i principi di uguaglianza (art. 3 Cost.), di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e di riserva di legge (art. 23 Cost.). E, proprio per impedire che, nell’intento di evitare le doppie imposizioni/le convenzioni relative possano essere utilizzate invece per eludere gli obblighi fiscali, è previsto (anche con riferimento ai rapporti tra Italia e Francia) che quando uno degli Stati contraenti abbia riscosso mediante ritenuta una imposta in ipotesi non dovuta, l’istanza di rimborso presentata allo Stato contraente deve essere accompagnata da un “attestato ufficiale”, rilasciato dall’altro Stato contraente, che certifichi che sussistono le condizioni richieste per avere diritto al rimborso (art. 14, lett. b, i del protocollo allegato alla convenzione Italia-Francia). Nella specie, innanzi tutto, non risulta che il contribuente (sul quale gravava il relativo onere di allegazione e di prova, trattandosi circostanza di fatto costitutiva del fondamento del diritto fatto valere in giudizio) abbia corredato la istanza di restituzione con la richiesta documentazione. Ma, ancor prima, posto che il R. non ha mai sostenuto di aver subito alcun prelievo fiscale in Francia, basta questo per concludere, sulla base delle osservazioni già svolte e dei principi sopra illustrati, che legittimamente il prelievo è stato effettuato in Italia e che nessun rimborso è dovuto al contribuente.
La correttezza della soluzione adottata trova, peraltro, conforto anche alla luce della ricognizione normativa in materia potendosi escludere che, nella specie, esistano “sacche” normative legittimanti una qualsiasi forma di esenzione dei redditi in esame.
Come già sopra esposto (ai sensi dell’art. 1 d.p.r. n. 597/1973 ed art. 1 d.p.r. n. 597/73) il possesso di un reddito comporta di per sé la nascita dell’obbligazione tributaria in Italia, salvo che non si tratti di redditi esenti in forza di specifiche disposizioni di legge. Ed, al proposito, questa Corte (in controversie aventi ad oggetto sempre redditi percetti da dipendenti delle Ferrovie italiane ma residenti all’estero e disciplinati, però, dalla Convenzione Italia-Svizzera), ha già avuto modo di statuire che “le altre disposizioni legislative, intese ad individuare il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria e le modalità di calcolo dell’imposta (base imponibile ed aliquota), non influiscono sulla sussistenza del presupposto d’imposta, sull’an debeatur, ma servono soltanto ad individuare il soggetto obbligato al pagamento del tributo e il quantum debeatur. Soggetto attivo è in ogni caso lo Stato italiano/salvo che in base a specifiche disposizioni di diritto internazionale interno o di diritto internazionale pattizio non sia diversamente stabilito. Infatti, in forza del principio della tassazione del reddito mondiale sono soggetti passivi d’imposta, in Italia, tutte “le persone fisiche residenti e non residenti nel territorio dello Stato” (D.P.R. n. 597 del 1973, art. 2, comma 1, e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 1), purché, per i non residenti, si tratti di redditi “posseduti” in Italia; rectius, “prodotti nel territorio dello Stato” (D.P.R. n. 597 del 1973, art. comma 3, e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 3, comma 1)”. Si considerano sempre prodotti nel territorio dello Stato, e quindi soggetti al prelievo territoriale, i redditi di lavoro dipendente prestato nello Stato stesso (art. 20, comma 1, lett. c), cit. T.U.I.R.). Di converso erano sempre esclusi dalla base imponibile in Italia, “i redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto” (art. 3, comma 3, lett. c), vigente fino al 31.12.2000). L ‘esclusione aveva come implicito presupposto la tassazione nello Stato di produzione del reddito di lavoro dipendente, speculare rispetto alla omologa disposizione già ricordata (art. 20, comma 1, lett. c), cit. T.U.I.R.) che prevede la tassazione in Italia, e che era intesa ad attuare il principio del divieto della doppia imposizione. Si tratta di disposizioni di diritto internazionale interno di carattere generale, rispetto alle quali, però, prevalgono le speciali disposizioni stabilite con le convenzioni bilaterali che recano appunto le norme di disciplina particolare calibrate sulle reciproche esigenze degli Stati contraenti”(Cass. n. 29455/08; id n. 3356/09).
Nella specie, pur in presenza della norma interna (valida comunque nei confronti degli altri Stati, in mancanza di convenzioni bilaterali) che limitava il potere impositivo dello Stato italiano attraverso il meccanismo della esclusione del reddito di lavoro dipendente (che abbia il carattere della continuità e della esclusività) dalla base imponibile (senza però sancirne l’esenzione assoluta), tale potere dello Stato italiano, in sede convenzionale, permane a fronte della rinuncia dell’altro Stato contraente (Francia) ad esercitare il proprio potere impositivo.
A ciò deve aggiungersi, dandosi continuità ai principi già affermati da questa Corte (nelle sentenze sopra citate), che – a fronte dell’art. 3, comma 3, lett. c), cit. T.U.I.R.(il quale prevedeva che fossero esclusi dalla base imponibile i redditi imponibili derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero a certe condizioni) – l’unica possibile ragione giustificativa della sottrazione di questa tipologia reddituale dalla base imponibile era costituita dal suo carattere di extraterritorialità, testimonianza della “volontà di autolimitazione” del potere impositivo dello Stato italiano costituente il reciproco del potere impositivo sui redditi comunque prodotti sul territorio italiano; mentre “la norma non presentava indici che facessero pensare ad una agevolazione/esenzione fiscale (peraltro di difficile compatibilità costituzionale), anche perché l’esclusione dalla base imponibile dei redditi esenti (in contrapposizione a quelli soltanto esclusi dalla base imponibile “italiana”) è espressamente prevista nel medesimo art. 3, comma 3, lett. a), citato T.U.I.R.”.
In conclusione, quindi, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, in accoglimento del ricorso principale la sentenza impugnata va cassata.
Non essendo necessari accertamenti in fatto la controversia può trovare soluzione nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
Le spese di tutti i gradi del giudizio, tenuto conto della particolare natura della controversia e di tutte le peculiarità della fattispecie, vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese di tutti i gradi del giudizio.
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