CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 settembre 2013, n. 20526
Tributi – Interpello – Validità sui termini per il rimborso Iva – Limiti
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 37/38/08, depositata il 23.4.08, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano 2, avverso la decisione di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla B.B.M. s.p.a. nei confronti degli avvisi di diniego di rimborso, emessi dall’Amministrazione finanziaria ai fini IVA per gli anni di imposta dal 1998 al 2004, sull’istanza avanzata dalla contribuente in data 31.3.06.
2. La CTR – nel confermare la decisione di prime cure -muoveva, invero, dal rilievo secondo cui il versamento dell’IVA, che la società B.B.M. s.p.a. non avrebbe dovuto assolvere in forza dell’art. 2, co. 3, lett. d) d.P.R. 633/72 (cessione di campioni gratuiti di modico valore), sarebbe stato effettuato dalla contribuente a causa di una risposta data dall’Amministrazione finanziaria (in data 3.8.00, poi confermata il 2.3.01) a specifico interpello della medesima contribuente, e con la quale l’Ufficio aveva ritenuto assoggettabili ad IVA dette cessioni. Per cui – a parere del giudice di appello – in base al principio di collaborazione e di buona fede sancito dall’art. 10 L. 212/00, l’affidamento della B.B., sulla assoggettabilità delle predette operazioni all’imposta in questione, sarebbe venuto meno solo a seguito della successiva, diversa, determinazione dell’Ufficio su nuovo interpello della contribuente, ossia soltanto a decorrere dall’8.11.04.
2.1. Di conseguenza il termine biennale dì decadenza ex art. 21 d.lgs. 546/92 dovrebbe computarsi, a parere del giudice di appello, soltanto da tale data, con la conseguenza che, essendo stata l’istanza di rimborso avanzata dalla contribuente il 31.3.06, il predetto termine di decadenza non potrebbe ritenersi decorso.
3. Per la cassazione della sentenza n. 37/38/08 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate articolando tre motivi, ai quali la resistente ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c.
Considerato in diritto
1. La società B.B.M. s.p.a. proponeva, in data 31.3.06, istanza di rimborso dell’IVA – a suo dire – indebitamente versata, per gli anni dal 1998 al 2004, in relazione ad operazioni di cessioni gratuite di campioni di modico valore, non considerate cessioni di beni e, di conseguenza, non assoggettate ad IVA, in forza del disposto di cui all’art. 2, co. 3, lett. d) d.P.R. 633/72. Assumeva, invero, la contribuente che l’imposta era stata assolta in conseguenza della risposta fornita dalla stessa Amministrazione finanziaria – resa in data 3.8.00 e confermata con successiva comunicazione del 2.3.01 – a specifico interpello della contribuente, con la quale l’Ufficio affermava l’assoggettabilità ad IVA delle suddette operazioni.
1.1. Con successiva risoluzione n. 83/E del 3.4.03, l’Ufficio aveva – tuttavia – mutato orientamento, stabilendo che tali cessioni erano da ritenersi non assoggettabili ad IVA, ai sensi della succitata disposizione del decreto n. 633/72. La B.B. proponeva, pertanto, nuovo interpello, in risposta al quale l’Agenzia delle Entrate – confermando la risoluzione n. 83/E – dichiarava, con parere espresso in data 8.11.04, le operazioni in questione escluse dal campo di applicazione dell’IVA, in applicazione del disposto dell’art. 2, co. 3, lett. d) del d.P.R. 633/72.
1.2 L’istanza di rimborso della B.B. veniva, nondimeno, respinta dall’Ufficio, con distinti atti di diniego per ciascuna annualità, sul presupposto che essa fosse da ritenersi proposta oltre il termine biennale di decadenza ex art. 21 d.lgs. 546/92, essendo stata avanzata, in relazione a versamenti IVA effettuati tra il 1998 ed il gennaio 2004, solo in data 31.3.06.
1.3 Avverso gli avvisi di diniego, proponeva, quindi, ricorso in sede giurisdizionale la contribuente, sostenendo che il termine biennale di decadenza suindicato dovesse decorrere dalla data dell’ultimo parere reso sul caso concreto dall’Amministrazione finanziaria, ovverosia dall’8.11.04, anche in considerazione del legittimo affidamento della società, che si era determinata ad assolvere l’IVA non dovuta esclusivamente in conseguenza dei precedenti, erronei, pareri espressi dalla stessa Agenzia delle Entrate.
Il ricorso aveva esito favorevole alla B.B.M. s.p.a., in entrambi i gradi del giudizio di merito.
1.4. Nei confronti della decisione di appello, emessa dalla CTR della Lombardia, ha, pertanto, proposto ricorso l’Amministrazione finanziaria sulla base di tre censure.
2. Con il primo e secondo motivo di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, co. 2 d.lgs. 546/92, 10 e 11 L. 212/00, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
2.1. Si duole, invero, la ricorrente del fatto che la CTR abbia erroneamente ritenuto che il parere reso dall’Amministrazione, in sede di interpello da parte del contribuente, possa costituire un autonomo presupposto, ex art. 21, co. 2 d.lgs. 546/92, per il diritto al rimborso di somme indebitamente versate, in conformità ad un precedente parere contrario espresso dalla medesima Amministrazione, in guisa da far decorrere da detto secondo parere, anziché dalla data del versamento, il termine biennale di decadenza per la proposizione dell’ istanza di rimborso, previsto dall’art. 21, co. 2 d.lgs. n. 546/92. Di contro, ad avviso della ricorrente, siffatto parere si tradurrebbe in una mera operazione ermeneutica, effettuata dall’Ufficio adito in sede consultiva, come tale, pertanto, insuscettibile di porsi come fonte di obblighi o di diritti autonomi rispetto a quelli già desumibili dalla normativa tributaria, interpretata a seguito del proposto interpello del contribuente. Per il che, detto parere non potrebbe in alcun modo costituire un presupposto autonomo del diritto al rimborso, né una condizione per il suo esercizio, con la conseguenza che il diritto al rimborso stesso verrebbe meno, per intervenuta decadenza, con il decorso del termine biennale di legge a far tempo dalla data del versamento indebito e non certo – come erroneamente ritenuto dal giudice dì appello – dalla data del parere espresso dall’Amministrazione finanziaria.
2.2. D’altro canto, neppure coglierebbe nel segno – ad avviso dell’Agenzia delle Entrate – il riferimento operato dalla CTR al legittimo affidamento della società contribuente, onde inferirne che solo dalla data (8.11.04) in cui quest’ultima era venuta a conoscenza del mutato avviso dell’Amministrazione finanziaria – che riconosceva in via definitiva la non assoggettabilità ad IVA delle cessioni in discussione – sarebbe insorto il diritto della medesima alla restituzione dell’imposta versata, avendo la B.B. acquisito solo in tale momento la consapevolezza della non debenza del tributo. Ed invero, ad avviso della ricorrente, la tutela dell’affidamento del contribuente, nella conformità al diritto delle indicazioni fornite dall’Amministrazione in sede di interpello, non potrebbe spingersi fino ad attribuire a tali indicazioni il valore di autonoma fonte di diritti ed obblighi e, quindi, di autonomo presupposto di un diritto al rimborso che trae origine direttamente dalla legge. Con la conseguenza che neppure il suindicato principio del legittimo affidamento potrebbe giustificare lo spostamento del termine per la presentazione dell’istanza di rimborso, dalla data del versamento a quella nella quale l’Ufficio avrebbe mutato il precedente orientamento, stabilendo la non assoggettabilità ad imposta delle operazioni in discussione.
3. I motivi suesposti sono fondati.
3.1. A tal fine, va anzitutto osservato che, come la Corte di Lussemburgo ha più volte affermato, il diritto di ottenere il rimborso dell’IVA non dovuta, al pari del diritto alla detrazione dell’ eccedenza, non può essere riconosciuto dagli ordinamenti degli Stati membri senza alcuna limitazione temporale, giacché tale riconoscimento si porrebbe in contrasto con il principio comunitario della certezza del diritto, in forza del quale la situazione fiscale del soggetto passivo, con riferimento ai diritti ed agli obblighi dello stesso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, non può essere rimessa in discussione senza limiti di tempo (cfr. C. Giust. 8.5.08, C- 95/07 e 96/07).
D’altro canto, la Corte europea ha, altresì, precisato che, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia di ripetizione imposte nazionali indebitamente riscosse, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro regolare le procedure per l’esercizio dei diritti suindicati, stabilendo i relativi termini di decadenza o di prescrizione, purché ragionevoli, per la presentazione delle domande di rimborso (cfr. C. Giust. 17.11.98, C-228/96, C. Giust. 11.7.02, C-62/00, C. Giust. 8.5.08, cit., secondo la quale un termine di decadenza di due anni, come quello in discussione, è da ritenersi ragionevole, C. Giust. 21.1.10, C-472/08)
3.2. Orbene, per quanto concerne il diritto nazionale, al quale – come dianzi detto – compete la regolazione della materia, va rilevato che, in forza del disposto di cui all’art. 21, co. 2 d.lgs. 546/92, la domanda di restituzione di un’imposta non dovuta “in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”. Si tratta allora di stabilire se il parere reso dall’Amministrazione, in difformità ad altro parere precedente che abbia indotto il contribuente ad assolvere l’imposta non dovuta, possa configurare, o meno, un “presupposto per la restituzione”, successivo ed autonomo rispetto al mero indebito versamento dell’imposta.
3.2.1. A tal proposito, questa Corte ha già avuto modo di statuire che il dies a quo per il decorso del termine biennale ex art. 21 d.lgs. 546/92 non può essere fatto coincidere con la data di emanazione di risoluzioni o circolari dell’Amministrazione finanziaria interpretative della normativa tributaria, essendo tali atti interni certamente inidonei a determinare l’insorgenza di un diritto prima inesistente, ovvero a costituire nuovi titoli di un diritto già sussistente in forza di specifiche disposizioni di legge. Trattasi – per vero – non già di fonti del diritto, bensì di semplici presupposti chiarificatori della posizione espressa dall’Amministrazione su un dato oggetto (cfr. Cass. 813/05, Cass.S.U. 23031/07, Cass. ord. 23042/12).
3.2.2. Nella medesima prospettiva, è – pertanto – evidente che neppure la risposta resa dall’Ufficio all’istanza di interpello inoltrata dal contribuente, ex art. 11 L. 212/00, è idonea a fondare un diritto al rimborso dell’imposta indebitamente versata, trattandosi di una mera promessa amministrativa o di un preatto amministrativo (Cass. 23523/08), di per sé, dunque, non suscettibile di fondare l’insorgenza di posizioni soggettive, che possono, semmai, scaturire dall’atto successivamente emesso in conformità a tali risposte. Ed invero, la risposta a formale interpello del contribuente vincola esclusivamente l’Amministrazione finanziaria – come si desume dal co. 3 dell’art. 11 L. 212/00, a tenore del quale “qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità della risposta (…) è nullo” – ma non il contribuente, il quale, trattandosi di un mero parere emesso nell’esercizio dell’attività consultiva degli uffici finanziari, resta perfettamente libero di disattenderlo (v. C. Cost. 191/07).
Sicché è evidente che neppure tale atto vale a costituire un presupposto per la restituzione autonomo, ai sensi dell’art. 21, co. 2 d.lgs. 546/92.
3.2.3. Del tutto errato si palesa, poi, a giudizio di questa Corte, il richiamo – operato dalla CTR – al disposto dell’art. 10 L. 212/00. Ed infatti, tale norma, nel tutelare l’affidamento del contribuente che si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, limita gli effetti di tale tutela alla sola esclusione delle sanzioni e degli interessi, senza incidere in alcun modo sull’obbligazione tributaria, che resta dovuta (Cass. 19479/09, 3757/12), a meno che sia la legge stessa a prevederne la non debenza. Sicché, l’essersi – nel caso concreto – la B.B. conformata al primo parere dell’Amministrazione, successivamente mutato, non vale a precostituire a favore della contribuente, e per la sola ragione di avere la stessa fatto affidamento sulle opposte determinazioni della p.a., espresse con atti aventi, come detto, valore meramente consultivo, un titolo per la restituzione dell’IVA versata indebitamente, autonomo ed ulteriore, rispetto a quello legale, ovverosia a quello fondato sulla menzionata previsione dell’art. 2, co. 3, lett. d) del d.P.R. 633/72.
3.2.4. Ne deriva che, in assenza di un “presupposto per la restituzione” posteriore al pagamento, idoneo a spostare la decorrenza del termine biennale di decadenza, stabilito dall’art. 21, co. 2 d.lgs. 546/92, il termine in parola non può che essere fatto decorrere, nella specie, che dalla data del versamento dell’IVA. Per cui, essendo pacifico, nel giudizio, che i pagamenti indebiti di imposta siano avvenuti dal 1998 al gennaio 2004, l’istanza di rimborso proposta solo il 31.3.06 è da ritenersi senz’altro tardiva.
4. Da quanto suesposto consegue, dunque, l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, con il quale l’Agenzia delle Entrate deduce, in via subordinata, che la decorrenza del termine ex art. 21 d.lgs. 546/92 dovrebbe operare, quanto meno, dalla data della risoluzione n. 83/E del 3.4.03.
5. L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia, che provvedere a nuovo esame della controversia attendendosi al seguente principio di diritto: “la risposta all’ interpello del contribuente, da parte dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 11 L. 212/00, e l’essersi il contribuente conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 10 della stessa legge, non valgono ad integrare un titolo per la restituzione dell’IVA versata indebitamente, autonomo ed ulteriore rispetto a quello legale, ovverosia a quello fondato, nel caso di specie, sulla previsione – dell’art. 2, co. 3, lett. d) del d.P.R. 633/72”. Il giudice del rinvio provvedere, altresì, all’esame delle questioni relative al dedotto obbligo risarcitorio dell’Amministrazione per condotta illecita nei confronti della contribuente, ai sensi dell’art. 2043 cc, ovvero indennitario per indebito arricchimento ai danni della medesima, ai sensi dell’art. 2041 cc, proposte dalla B.B.M. s.p.a. nei gradi di merito, e ritenute assorbite dall’impugnata sentenza, oltre che alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo; cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che provvedere alla liquidazione anche delle spese del presente giudizio di legittimità.
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