Corte di Cassazione sentenza n. 20576 del 24 maggio 2011
SICUREZZA SUL LAVORO – RESPONSABILITA’ DATORE LAVORO – NOMINA DEL RSPP – CULPA IN ELIGENDO – RESPONSABILITA’ PENALE
massima
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La responsabilità penale diretta del datore di lavoro e dei dirigenti assimilati non è esclusa per la sola designazione di un responsabile per la sicurezza in quanto gli stessi rispondono anche della eventuale manchevolezza del piano stesso sotto forma di una colpa in eligendo.
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FATTO
Con sentenza del 10 giugno 2010 la Corte d’Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 27 novembre 2008 che ha condannato B. G., B. G. D., E. I., V. M. e M. L. alla pena di anni uno di reclusione ciascuno per il reato di cui agli artt. 41, 113 e 589 I e Il comma cod. pen. perché, con condotte autonome ma concorrenti al verificarsi dell’evento, nelle qualità, il G. di Direttore Generale, il B. di Amministratore Delegato, l’E. di Responsabile della Produzione, il V. di Capo Macchina Linea Filatura, il M. di Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione, tutti appartenenti alla s.p.a. Ma. F., per colpa, imprudenza ed imperizia, consentendo e comunque non impedendo che all’interno dello stabilimento della Ma. F. S.p.a. sito in Sessa Aurunca via (…), fosse installato ed utilizzato un impianto di produzione identificato come 1266/DAR-AB2 – Struttura 371 – anno di costruzione 1999, composto da più macchine per la produzione di film trasparente (propilene ad uso alimentare), prodotto che viene raccolto da un “gruppo avvolgitore” quale ultimo macchinario della linea, su grosse anime in acciaio aventi il diametro di circa m. 0,50 e lunghe circa m. 8,40 gruppo avvolgitore privo dei dispositivi di sicurezza imposti dalla legge al fine di evitare contatti accidentali tra parti del corpo dei lavoratori addetti al macchinario e gli organi in movimento, utilizzando normalmente l’impianto descritto senza aver seguito le procedure standard di sicurezza ed in particolare senza essersi accertati preventivamente della presenza o meno di operai (come nell’infortunio di specie) nei pressi dell’avvolgitore e senza attendere il posizionamento del secondo rullo omettendo di presidiare le aree a rischio nei pressi del macchinario al fine di evitare contatti accidentali tra i lavoratori e gli organi in movimento, procedendo ad un’erronea valutazione dei rischi effettuata nello specifico documento di valutazione dei rischi” redatto ai sensi del decreto legislativo 626/1994 che non riteneva catastrofico (causa di morte e/o invalidità permanente) l’occasionale contatto con il gruppo avvolgitore, all’erronea valutazione contenuta nel “Documento di valutazione dei rischi” redatto ai sensi del D.Lgs. 626 del 1994 relativa alla supposta presenza di dispositivi di protezione che impediscono il funzionamento degli elementi mobili mentre l’operatore può entrare in contatto con essi, consentendo l’assenza di idonei sistemi di protezione, che arrestassero la rotazione del rullo avvolgitore interno quando, per l’assenza del rullo era possibile l’accesso accidentale allo stesso, cagionavano al lavoratore C. E., che si trovava nei pressi del rullo avvolgitore per rimuovere residui di film, e che rimaneva impigliato con il braccio destro e poi schiacciato in parte del torace tra l’anima in rotazione posta nel gruppo avvolgitore lato interno ed il rullo di contatto posteriore, lesioni che ne procuravano il decesso, in violazione degli artt. 132 e 133 del D.P.R. 549 del 1955, e degli artt. 4, co. 1 lett. a) e b) del D.Lgs. 626 del 1994 e successive modifiche; fatto avvenuto in Sessa Aurunca il 30 marzo 1999.
La Corte territoriale ha motivato tale sentenza riportandosi alla sentenza di primo grado e ritenendo pacifica la dinamica dell’incidente risultante dalle testimonianze rese dall’Ispettore della ASL e dall’ispettore Capo di Pubblica Sicurezza intervenuti sul posto nell’immediatezza dell’incidente, tanto da ritenere superflua la rinnovazione dell’ istruttoria dibattimentale richiesta dalla difesa. La Corte d’Appello ha ricostruito l’incidente sulla base delle suddette testimonianze secondo cui la vittima si trovava vicino al gruppo avvolgitore ed è rimasta impigliata con il braccio destro nel meccanismo in movimento.
In ordine alla posizione dei singoli imputati, la Corte Territoriale ha considerato che la colpa del capo macchina V. è, in particolare consistita nel non avere prestato la dovuta attenzione a che non vi fossero persone nelle vicinanze della macchina da lui guidata, prima di avviarla. La Corte d’Appello ha pure considerato il nesso causale fra il comportamento degli imputati e l’incidente, escludendo l’anomalia o l’assoluta imprevedibilità del comportamento della vittima. La posizione di B, Ba ed E è stata assimilata a quella del datore di lavoro a cui incombe l’obbligo di provvedere alla sicurezza dei lavoratori ex artt. 4 D.P.R. 547 del 1955 e 4 legge 626 del 1994.
Quanto all’imputato Ba, in particolare, la Corte territoriale ha considerato che l’avere affidato ad altri la redazione del documento sulla valutazione dei rischi non esonera dalla responsabilità derivante dalla carica rivestita; né può ritenersi sussistente una delega dei compiti per la sicurezza al M essendo questi solo il responsabile del servizio prevenzione e protezione.
Tutti gli imputati propongono ricorso per cassazione avverso questa sentenza lamentando mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., in particolare per quanto riguarda la valutazione dei rischi che era stata affidata ad un terzo e, precisamente, all’ing. V., circostanza che sarebbe stata ignorata dalla Corte territoriale. Inoltre la Corte d’Appello non avrebbe correttamente valutato la delega formalmente data all’ing. M. in materia dì sicurezza e da questi formalmente accettata, Infine i ricorrenti lamentano il difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
L’imputato Ba. propone autonomo ricorso lamentando violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all’affermazione della sua responsabilità. In particolare tale ricorrente lamenta la mancata rinnovazione del dibattimento chiesta per ascoltare i tre testimoni oculari dell’incidente ritenuti necessari per accertare la dinamica reale del fatto. Anche in tale ricorso viene ribadito che valutazione di rischi era stata regolarmente effettuata dall’ing. V. e che le incombenze relative alla sicurezza erano state tutte regolarmente assolte, come risulterebbe dalle deposizioni testimoniali.
Con secondo motivo il Ba. lamenta il mancato giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche sulla contestata aggravante. L’imputato Ve., con autonomo ricorso, lamenta violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 40 cod. pen. sostenendo l’insussistenza del nesso di causalità fra la condotta addebitatagli e l’incidente in quanto, in particolare, per il direttore di macchina che conduceva la macchina, non era possibile verificare la presenza di persone nelle vicinanze della macchina stessa, né gli era possibile destinare una terza persona per tale verifica.
Con secondo motivo si assume violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 157 comma 2 cod. pen. essendo il reato estinto per prescrizione dovendosi applicare la disciplina intervenuta con la legge 251 del 2005 più favorevole all’imputato e che prevede la prescrizione nel termine di sei anni aumentabili al massimo a sette anni e sei mesi, termine ormai trascorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi sono tutti infondati e vanno conseguentemente rigettati.
Il primo motivo del ricorso proposto congiuntamente da tutti gli imputati e relativo alla mancata rinnovazione del dibattimento è infondato in quanto la dedotta necessità delle deposizioni di tre testimoni oculari non è affatto comprovata. Le deduzioni in merito da parte dei ricorrenti appaiono generiche, ma comunque la Corte territoriale ha adeguatamente risposto ad analoga censura svolta in sede di appello, sottolineando che la richiesta rinnovazione dibattimentale sarebbe comunque inutile in quanto la dinamica del sinistro appare sufficientemente chiara, nel senso che non sussistono punti da chiarire sulla decisiva circostanza che l’istruttoria stessa potrebbe chiarire. In ordine alle circostanze sommariamente ripetute nel ricorso e sulle quali la Corte d’Appello, secondo i ricorrenti, si sarebbe limitata a confermare per relationem le considerazioni svolte dal giudice di primo grado, va, da un lato, osservata la genericità della censura che non considera quanto effettivamente esposto sui punti in questione nella sentenza impugnata e, dall’altro, la sintetica ma compiuta motivazione che dà la Corte territoriale su tutti i punti proposti senza limitarsi ad un mero richiamo alla sentenza di primo grado.
In particolare, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, la Corte d’Appello ha correttamente motivato in merito alla responsabilità di Ba., B. ed E., dirigenti diretti destinatari della normativa antinfortunistica, che non possono essere considerati esenti dalla responsabilità per la delega conferita all’ ing. V. per la redazione del documento aziendale sulla valutazione dei rischi, in quanto, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte opportunamente richiamata nella sentenza impugnata, la responsabilità penale diretta del datore di lavoro, e dei dirigenti ad esso assimilati, non è affatto esclusa per la sola designazione di un responsabile per la sicurezza in quanto essi rispondono anche della eventuale manchevolezza del piano stesso sotto forma di una colpa in eligendo. A tale riguardo vale considerare che diviene anche irrilevante il dedotto comportamento della vittima che avrebbe rotto il nesso di causalità fra il comportamento dell’imputato e l’evento, in quanto è motivatamente ritenuta decisiva l’inadeguatezza del piano di sicurezza, la valutazione dei rischi e la mancanza delle condizioni di sicurezza della macchina. Riguardo alla delega al M., la sentenza impugnata chiarisce abbondantemente che essa non riguarda tutti i compiti per la sicurezza, essendo questi solo il responsabile del servizio prevenzione e protezione.
In ordine al trattamento sanzionatorio, pure censurato con il ricorso in esame, la Corte territoriale ha puntualmente motivato l’entità della pena con criteri di cui all’art. 133 cod. pen. considerando, in particolare, l’estrema gravità dei fatti e la marcata negligenza che ha caratterizzato il comportamento degli imputati, Tale valutazione, riservata al giudice del merito, è congruamente e logicamente motivata, e sfugge, quindi, ad ogni censura di legittimità.
I motivi del ricorso presentato autonomamente dal Ba. sono comuni a quelli esposti nel ricorso congiunto di tutti gli imputati e di cui si è già detto. In particolare questo ricorrente sottolinea la delega al M. e la specifica responsabilità del conduttore della macchina V., ma a tale riguardo appaiono appropriate le considerazioni svolte dalla Corte territoriale con relativi richiami giurisprudenziali, secondo cui l’imputato, quale datore di lavoro, ha avuto la specifica colpa di avere messo a disposizione dei propri dipendenti una macchina sprovvista degli accorgimenti necessari per prevenire infortuni.
Riguardo al lamentato mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche si è detto a proposito del ricorso precedente.
In merito al ricorso del V. va considerato che la sentenza impugnata sottolinea la decisiva circostanza per cui egli è comunque colpevole per avere violato le procedure di sicurezza di cui era direttamente destinatario in quanto scritte nella schede di disposizioni comportamentali redatta dalla società e firmata anche dall’imputato quale rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Infondato è anche il motivo di ricorso relativo alla dedotta prescrizione del reato. Una volta riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante il reato in questione si prescrive nel termine massimo di quindici anni, sia secondo la precedente disciplina di cui all’art. 157 cod. pen., sia secondo la disciplina introdotta con la legge 5 dicembre 2005 n. 251, Essendo il fatto addebitato agli imputati avvenuto in data 30 marzo 2001, il reato non è ad oggi prescritto, né lo era all’epoca della sentenza impugnata.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione, in favore della parte civile, delle spese di questo giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché in solido tra loro, alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio che, ex actis, liquida in € 1.100,00 oltre spese generali IVA e CPA come per legge.
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