Corte di Cassazione sentenza n. 2080 del 16 gennaio 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – CANTIERI E VIOLAZIONI IN MATERIA DI SICUREZZA – MODIFICHE AL PONTEGGIO – MANCANZA DI PIMUS (PIANO MONTAGGIO USO SMONTAGGIO) – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO
massima
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Vi è la responsabilità del titolare di un’impresa edile per aver montato o comunque apportato delle modifiche al ponteggio (smontando e rimontando delle parti), senza aver provveduto a redigere il relativo PIMUS (piano montaggio uso smontaggio) e non impiegando allo smontaggio personale correttamente formato od in possesso di sufficiente esperienza e per altre contravvenzioni.
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FATTO
1. Con sentenza del 27 settembre 2011, il Tribunale di Monza ha condannato (Omissis) alla pena dell’ammenda di 5.020,00 euro, dichiarandolo responsabile per le contravvenzioni di cui al D.Lgs. n. 626/1994, art. 36 quater, comma 3 (capo a) e comma 6 (capo c) in quanto, in qualità di titolare di un’impresa edile, aveva montato o comunque apportato delle modifiche al ponteggio (smontando e rimontando delle parti), senza aver provveduto a redigere il relativo PIMUS (piano montaggio uso smontaggio) e non impiegando allo smontaggio personale correttamente formato od in possesso di sufficiente esperienza e per altre contravvenzioni (D.P.R. n. 164/1956, art. 10, art. 28 comma 4 e D.P.R. n. 547/1955, art. 267 fatti accertati in (Omissis). Il giudice aveva ritenuto di stabilire la sanzione sulla base della contravvenzione di cui al capo a) (art. 36 quater, comma 3, fissando la pena a mesi 3, a seguito della riduzione di 1/3 per le generiche della pena base di mesi 4 e giorni 15 di arresto, poi convertita nella pena dell’ammenda di euro 3.420,00, fino alla sanzione come sopra indicata per effetto dell’aumento di 400,00 euro per ciascuna delle violazioni contestate.
2. L’imputato, tramite il difensore, ha presentato impugnazione innanzi alla Corte di appello di Milano, impugnazione convertita nel presente ricorso per cassazione, lamentando la determinazione della sanzione per erronea applicazione di legge. Infatti il giudice di merito, avendo riconosciuto le circostanze attenuanti generiche concesse per il comportamento successivo (per avere predisposto il PIMUS) aveva esplicitato che la pena base stabilita non si discostava molto dal minimo, ma nel determinarla aveva errato la verifica delle pene edittali previste, in quanto la disposizione contestata al ricorrente, che è sanzionata a seguito del richiamo all’art. 89 del medesimo testo legislativo, prevede alternativamente la pena dell’arresto fino a tre mesi o della ammenda fino ad euro 1.032,00. Del pari sarebbe errato, in quanto eccessivo, l’aumento stabilito per la continuazione, avendo il giudice affermato trattarsi di un’unica condotta omissiva.
DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso risulta fondato, con conseguente assorbimento dell’altra parte della censura.
In relazione alla norma applicabile, è bene innanzitutto premettere che le disposizioni la cui violazione è stata ascritta alla responsabilità penale del ricorrente ratione temporis, si trovano oggi, come affermato da questa Suprema Corte (cfr. Sez. 4 , n. 5005 del 14/12/2010, dep. 10/2/2011, Sessa e altri, Rv. 249624) in continuità normativa con il D.Lgs. n. 81/2008 (in particolare per quanto attiene al PIMUS si veda art. 136 del citato Decreto Legislativo, allegato 22 che in tale diversa compilazione mantiene in vigore gli stessi contenuti precettivi), decreto legislativo che, in attuazione della delega conferita al Governo con la L. 123/2007, art. 1 ha provveduto alla c.d. “testunificazione” delle norme in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro.
2. Le sanzioni previste dal D.Lgs. n. 626/1994, art. 89 (ora trasfuse nel Decreto Legislativo n. 81 del 2008, art. 156, comma 2, lettera b) e determinate, in riferimento alle violazioni in rilievo nel presente giudizio, in una forbice minimo-massimo in misura lievemente superiore a quelle previste dall’art. 89), le quali sono state correttamente poste a parametro della dosimetria dal giudice di merito, stabiliscono per la violazione della condotta di cui all’art. 36 quater, commi 5 e 6 del medesimo Decreto Legislativo la pena edittale indicata al comma 2, lettera a) (arresto da tre mesi a sei mesi o ammenda, rimasta indicata in Legge da tre ad otto milioni) e per la violazione di cui all’art. 36 quater, commi 1, 3 e 4, la pena edittale di cui al medesimo art. 89, comma 2, lett. b bis) (arresto fino a tre mesi o ammenda da euro 258,00 a euro 1.032,00), lettera e sanzione adeguata con decorrenza 19 luglio 2005, ad opera del D.Lgs. n. 235 del 2003, art. 1.
3. Di contro il giudice del Tribunale di Monza ha stabilito la pena base in mesi quattro e giorni quindici di arresto, in relazione alla violazione di cui all’art. 36 quater, comma 3, per cui tale determinazione sanzionatoria risulta illegale, in quanto superiore al massimo previsto in via edittale per tale fattispecie contravvenzionale.
Nè può in questa sede avere alcuna rilevanza un eventuale dubbio circa l’esattezza della valutazione quale reato più grave, operata dal giudice in riferimento alla fattispecie di cui trattasi. Fermo restando che un orientamento giurisprudenziale ritiene che l’individuazione del reato di maggiore gravità, ai fini del computo della pena, deve essere effettuata in concreto e non con riguardo alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore (cfr. Sez. 6 , n. 25120 del 6/3/2012, dep. 22/6/2012, Cicala, Rv. 252613; Sez. 3 , n. 19978 del 24/3/2009, dep. 12/5/2009, Angioni, Rv. 243723), va considerato che sul punto specifico manca qualunque impugnativa da parte del pubblico ministero, per cui la valutazione del Tribunale è ormai definitiva e non può più essere messa in discussione.
Atteso il vizio di violazione di legge come appena rilevato, la sentenza impugnata va di conseguenza annullata, limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio sul punto al Tribunale di Monza.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio e rinvia sul punto al Tribunale di Monza.
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