CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 settembre 2013, n. 20818
Lavoro – Retribuzione – Cassa integrazione guadagni – Società a capitale misto per la gestione e la fornitura di servizi agli enti locali – Contributi – Esonero dal pagamento
Svolgimento del processo
1. – Con ricorso al Giudice del lavoro di Torino I.S. s.p.a. proponeva opposizione avverso cartella esattoriale ad essa notificata da E.N. s.p.a., con la quale era stato ingiunto il pagamento della somma di € 316.896,56 per omesso versamento all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), nel periodo novembre 2006 – agosto 2007, dei contributi per cassa integrazione straordinaria e ordinaria, mobilità e disoccupazione dovuti per i propri dipendenti, oltre le relative somme aggiuntive e gli interessi di mora. Sosteneva l’opponente che la sua ragione societaria privata era trasposizione solo formale delle originarie aziende municipali di erogazione di pubblici servizi e che essa conservava la sua originaria natura di azienda pubblica e rimaneva soggetta alla normativa pubblicistica. Intervenuta ad adiuvandum I. s.p.a., proprietaria del pacchetto di maggioranza di I.S., con sentenza del 29.09.09 il Tribunale di Torino accoglieva l’opposizione proposta da I.S. s.p.a. ed annullava la cartella.
2. – Proposto appello dall’INPS, la Corte d’appello di Torino con sentenza 15.07.10 accoglieva l’impugnazione e rigettava l’opposizione. Ritiene la Corte d’appello che I.S. non gode dell’esenzione contributiva riservata dalla legge alle imprese pubbliche, essendo assoggettata alla comune disciplina delle società per azioni. Pertanto, essa non rientra fra le imprese esonerate dall’applicazione della cassa integrazione guadagni (art. 3 del d.l.C.P.S. 12.08.47 n. 869 ed artt. 2 della l. 5.11.68 n. 1115 e 16 della l. 23.07.91 n. 223) ed è tenuta al pagamento della contribuzione relativa, nonché della contribuzione conseguente per la mobilità dei lavoratori rientranti nel campo di applicazione della cassa integrazione. I.S. per la Corte torinese non rientra neppure nella categoria delle aziende di pubblici servizi, che, al pari delle aziende pubbliche, non sono soggette all’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria (art. 40, n. 2, r.d.l. 4.10.35 n. 1827 ed art. 36 d.P.R. 24.04.57 n. 818), né gode del regime derogatorio previsto dall’art. 20 del d.l. 25.06.08 n. 112 (conv. dalla l. 5.08.8 n. 133), che ha stabilito che l’obbligo assicurativo in questione sia applicato alle dette aziende solo a decorrere dall’1.01.09.
3. – Avverso questa sentenza con unico atto propongono ricorso per cassazione I.S. s.p.a. ed I. s.p.a. Risponde l’INPS con controricorso, in proprio e quale mandatario della SCCI s.p.a. Non svolge attività difensiva E.N. sp.a. Le ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
4. – I motivi di impugnazione delle due società ricorrenti sono i seguenti.
4.1. – Primo motivo: violazione dell’art. 132 c.p.c. e nullità della sentenza di appello per erroneità delle indicazioni riportate nella sua intestazione.
4.2. – Secondo motivo: quanto alla contribuzione CIGO-CIGS, violazione di legge e carenza di motivazione, in quanto alla presente controversia (relativa alla contribuzione dovuta negli anni 2006 e 2007) trova applicazione l’art. 35 del d.lgs. n. 448 del 2001 e, pertanto, a differenza che sotto il vigore della legge n. 142 del 1990 (art. 22), gli enti locali per la gestione di servizi, reti, impianti e beni non hanno più la facoltà, ma l’obbligo di valersi di “soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati” (art. 113 della l. 142 (ndr art. 113 della l. 267), come modificato dall’art. 35 del d.lgs. n. 448), di modo la società di capitali partecipata assume la funzione di ente strumentale dell’ente locale per l’esercizio dei servizi pubblici. I.S., dunque, rientrerebbe tra le imprese escluse dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria, ai sensi dell’art. 3, c. 1, nel testo vigente, risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1 della l. 8.08.72 n. 464 e dall’art. 4, c. 1, della l. 12.07.88 n. 270. Del resto, l’art. 3 del d.lgs. 12.04.06 n. 163 considera impresa pubblica il soggetto economico su cui un soggetto pubblico può esercitare un’influenza dominante, quale, nella forma del controllo, consegue alla proprietà della maggioranza della società e il diritto di nominare più della metà dei componenti del consiglio di amministrazione.
4.3. – Terzo motivo, quanto alla contribuzione per la mobilità violazione dell’art. 16, c. 1 e 2, della legge n. 223 del 1991, atteso che l’accoglimento del secondo motivo comporterebbe l’automatico esonero da tale contribuzione, che è dovuta solo per le aziende tenute alla contribuzione CIGS-CIGO.
4.4. – Quarto motivo, quanto alla contribuzione per l’indennità di disoccupazione, violazione di legge e carenza di motivazione, dato che, per quanto appena detto, alla società I.S. dovrebbe essere riconosciuta la natura di azienda pubblica o di derivazione di ente pubblico o di ente strumentale dell’ente locale per l’esercizio dei servizi pubblici e, quindi, dovrebbe riconoscersi natura tale da escluderla dalla soggezione all’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria, ai sensi dell’art. 40, c. 2, del r.d.l. n. 1827 del 1936, (ndr art. 40, c. 2, del r.d.l. n. 1827 del 1935) che esonera dall’assicurazione le aziende pubbliche e, specificamente, le aziende pubbliche e quelle private che esercitano pubblici servizi. Per queste aziende l’obbligo della contribuzione per la disoccupazione è vigente solo dal 2.01.09, a seguito del d.l. 112 del 2008 (conv. dalla legge n. 133 del 2008), che ha abrogato l’art. 40 suddetto ed ha esteso alle “imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate ed a capitale misto …” detto obbligo contributivo (art. 20).
Per il periodo antecedente al 2.01.09, parte ricorrente pone in rilievo che per A.T. spa (dante causa di I.S.) con d.m. 25338 del 1998 era stata riconosciuta la stabilità di impiego ai sensi dell’art 40, n. 2, del r.d.l. n. 1827 del 1935, che è da ritenere trasmessa ex art. 2112 c.c. alla società avente causa.
4.5. – Quinto motivo, violazione di legge in quanto la sentenza impugnata afferma l’obbligo di I.S. di versare i contributi CIGO-CIGS nonostante l’A.T. spa, sua dante causa, ne fosse stata esonerata dall’INPS.
5. – Deve premettersi che l’opposizione è presentata ai sensi del d.lgs. 26.02.99 n. 46 recante riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, che all’art. 24 prevede che “contro l’iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di gg. 40 dalla notifica della cartella” e che “il ricorso va notificato all’ente impositore ed al concessionario” (c. 5). Risultando dall’esame della sentenza che la Corte di merito ha avuto ben presente la natura giuridica specifica dell’opposizione, la circostanza che nell’intestazione della sentenza sia stata indicata una legge regolatrice di diversa tipologia di opposizione deve essere considerata frutto di una mera improprietà che in nulla altera la sostanza della pronunzia.
Analogamente è irrilevante che nella stessa intestazione per la parte appellata siano state indicate solo le conclusioni di rigetto dell’impugnazione formulate da I. s.p.a. e non anche quelle di I.S. s.p.a., essendo le due società accomunate dalla stessa posizione processuale ed avendo entrambe interesse al rigetto dell’appello.
Per queste ragioni è infondato il primo motivo.
6. – Sul piano legislativo deve premettersi che l’art. 22 della L. 8.06.90 n. 142, recante l’ordinamento delle autonomie locali, prevedeva che comuni e provincie, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedessero alla gestione dei servizi pubblici aventi ad oggetto la realizzazione di fini sociali e la promozione dello sviluppo economico e civile delle comunità locali (c. 1), mediante varie forme giuridiche (in economia, in concessione a terzi, a mezzo di azienda speciale, di istituzione o di società per azioni a prevalente capitale pubblico, c. 3).
Il d.lgs. 18.08.00 n. 267 (emanato in forza della delega conferita dall’art. 31 della l. 3.08.99 n. 265), recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, nella sua originaria formulazione, ribadì che questi ultimi avrebbero dovuto provvedere alla gestione dei servizi pubblici di interesse delle comunità locali nelle stesse forme già individuate dall’art. 22 della legge n. 142 (artt. 112-113). A breve distanza di tempo, tuttavia, l’impostazione del d.lgs. n. 267 del 2000 fu rivista dall’art. 35 della l. 28.12.01 n. 448 nell’ambito del patto di stabilità interno per gli enti pubblici (previsto dal capo terzo del titolo terzo della legge).
7. – Tale art. 35 modificò detto art. 113 ed introdusse l’art. 113 bis, distinguendo la gestione delle reti ed erogatone dei servizi pubblici locali di rilevanza industriale (art. 113) dalla gestione dei servici pubblici locali privi di rilevarne industriale (art. 113 bis).
Deve richiamarsi, ai fini della presente controversia, la formulazione dell’art. 113 adottata in tale occasione, la quale, sotto la rubrica Gestione delle reti ed erogatone dei servici pubblici locali di rilevanza industriale, prevedeva che la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, ove separata dall’attività di erogazione dei servizi, dovesse essere effettuata dagli enti locali, anche in forma associata, mediante a) “soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati, cui può essere affidata direttamente tale attività”, b) “imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica …” (c. 4). Lo stesso art. 113 prevedeva, inoltre, che l’erogazione del servizio, dovesse avvenire in regime di concorrenza, secondo le apposite discipline di settore “con conferimento della titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica” (c. 5). In particolare, era previsto il divieto di “ogni forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico servizio in ordine al regime tributario, nonché alla concessione da chiunque dovuta di contribuzioni o agevolazioni per la gestione del servizio” (c. 10).
8. – La Corte d’appello ha accertato che le società odierne ricorrenti sono derivate dall’A.E.M. (…) del Comune di Torino, la quale, ai sensi dell’art. 22 della l. 8.06.90 n. 142 (ordinamento delle autonomia locali), si trasformò in A.T. s.p.a., a capitale dapprima interamente pubblico e in seguito, dopo la quotazione in Borsa, parzialmente privato, pur restando di proprietà del Comune di Torino la maggioranza assoluta delle azioni. A decorrere dal 31.10.06 A.T. s.p.a. incorporò AMGA (…) Genova s.p.a. e si trasformò in I. s.p.a., partecipata al 51% da F.S.U. s.r.l., le cui quote appartengono per metà ciascuno al Comune di Torino ed al Comune di Genova. Lo stesso 31.10.06 l’attività societaria fu disarticolata in quattro società controllate al 100% da I. s.p.a., alle quali, per trasferimento di ramo di azienda, furono trasferiti gli specifici settori di attività delle due originarie aziende municipalizzate. Una di queste società è I.S. s.p.a., la quale ha per oggetto l’attività di “servizi agli enti locali in genere, servizi tecnologici e “facility management”. Alla luce di questo complesso iter societario la Corte di merito ha inquadrato I.S. tra le società che alla luce della suddetta normazione costituiscono strumento degli enti locali per la gestione deI servizi”.
8. – Con i motivi secondo, terzo e quarto le parti ricorrenti affermano che in ragione di tale inquadramento la Società I. avrebbe natura di impresa pubblica, dato che la formula della società partecipata imposta dall’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 (nel testo introdotto dall’art. 35 della l. 28.12.01 n. 448) consente al soggetto pubblico di esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante in ragione della maggioritaria partecipazione azionaria. I.S. rientrerebbe, dunque, tra le imprese escluse dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria, ai sensi dell’art. 3, c. 1, del d.l.C.P.S. 12.08.47 n. 869 nel testo vigente (risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1 della l. 8.08.72 n. 464 e dall’art. 4, c. 1, della l. 12.07.88 n. 270) e di conseguenza tra quelle escluse dal pagamento dell’indennità di mobilità ai sensi dell’art. 16, c. 1, della l. 23.07.91 n. 223. Parimenti, in ragione di detto inquadramento, essa non sarebbe tenuta ai contributi per l’assicurazione per la disoccupazione involontaria, in quanto i suoi dipendenti non sarebbero soggetti a tale forma di assicurazione obbligatoria in forza dell’art. 40 del r.d.l. 4.10.35 n. 1827, che esclude da detta assicurazione “gli impiegati, agenti e operai stabili di aziende pubbliche, nonché gli impiegati, agenti e operai delle aziende esercenti pubblici servizi e di quelle private, quando ad essi sia garantita la stabilità d’impiego” (n. 2).
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha già preso in considerazione tali obiezioni rilevando che nella specie non può identificarsi la società partecipata con “le imprese industriali degli enti pubblici” esonerate, trattandosi di società di natura essenzialmente privata nella quale l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato; dovendosi altresì escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, che la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico sia idonea a determinare la natura dell’organismo attraverso cui la gestione del servizio pubblico viene attuata (Cass. 24.06.09 n. 14847,10.03.10 n. 5816 e, da ultimo, 13.05.13 n. 11417).
Tale principio è posto in discussione dalle odierne ricorrenti in quanto, a loro avviso basato su un presupposto legislativo non più attuale, quale il riferimento alla norma dell’art. 23 della legge n. 142 del 1990 che non comprende l’ente societario tra quelli che sono qualificati strumentali degli enti locali. La norma applicabile ratione temporis alla fattispecie (che riguarda contributi relativi agli anni 2006 e 2007), infatti, prevederebbe ormai l’obbligatorietà del ricorso all’ente societario (art. 113, c. 4, del t.u. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 35 della l. 28.12.01 n. 448) e prescinderebbe da ogni più o meno dichiarato carattere di strumentalità.
L’obiezione è infondata. Innanzitutto, anche dopo la modifica di detto art. 113 ad opera dell’art. 35 della legge 448, il successivo art. 114, non toccato dalla modifica, continua a non prevedere l’ente societario tra quelli strumentali dell’ente locale. Inoltre, il ricorso alla forma societaria è considerato dal nuovo testo dell’art. 113 frutto di una vera e propria scelta economica imposta all’ente locale, atteso che detta forma societaria è consentita solo nel caso esista separazione dell’erogazione dalla gestione del servizio e solo per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali. Si tratta, in altre parole di una vera e propria opzione di carattere gestionale, in relazione alla onerosità dell’attività, tanto è vero che gli enti in questa ipotesi sono posti dinanzi all’alternativa di avvalersi o di soggetti economici costituiti in forma societaria partecipata dagli enti interessati, oppure di idonee imprese da scegliere attraverso pubblica gara (c. 4). Dunque, la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale una modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato.
Le disposizioni impugnate definiscono il proprio ambito di applicazione non secondo il titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in relazione all’oggetto sociale di queste ultime. Tali disposizioni sono fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d’impresa di enti pubblici. L’una e l’altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.
Questi concetti sono ben presenti nella giurisprudenza costituzionale la quale, soprattutto al fine di individuare il corretto discrimine tra la legislazione regionale e quella statuale, considera la legislazione ora in esame quale frutto di disposizioni che mirano a separare la sfera di attività amministrativa da quella privata per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può
godere in quanto pubblica amministrazione. Non è, dunque, negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza (Corte cost. 1.08.08 n. 326).
9. – Nulla aggiunge a questa impostazione il richiamo effettuato
dalle società ricorrenti alla definizione di impresa pubblica accolta dal d.lgs. 12.04.06 n. 163, recante il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (attuativo delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) per il quale “imprese pubbliche sono le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatoci possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese”, e “l’influenza dominante è presunta quando le amministrazioni aggiudicatoci, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o cumulativamente: a) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto; b) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa; c) hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa” (art. 3, c. 28). Il d.lgs. n. 103 del 2006, infatti, non è la fonte dello statuto dell’impresa pubblica, ma è una disposizione che, in attuazione del dettato comunitario, enuclea una nozione convenzionale da adottare nel suo campo di azione, che è quello della disciplina dei contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatoli e dei soggetti aggiudicatoli, aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori ed opere (art. 1, c. 1). In questo campo l’attività di impresa è comunque considerata una proiezione delle potestà dei soggetti pubblici (territoriali e non), atteso che, ove consentito, la scelta di un eventuale socio privato è sottoposta all’espletamento di procedure di evidenza pubblica (art. 1, c. 2).
10. – Nessun significato interpretativo può, infine, attribuirsi al d.l. 25.06.08 n. 112, conv. dalla l. 6.08.08 n. 133, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, il quale ha previsto, solo con decorrenza 1.01.09 l’obbligo del versamento dei contributi per malattia e maternità nei confronti delle “imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali, privatizzate ed a capitale misto” (art. 20, c. 2). Infatti, la contribuzione disciplinata da tale norma è diversa da quella inerente i titoli vantati dall’INPS nella presente controversia e non implica una “razionalizzazione” dell’intera materia dell’obbligazione contributiva delle imprese pubbliche,
privatizzate e a capitale misto, ovvero una assimilazione di tali imprese a qualunque fine previdenziale o assistenziale, dato che, piuttosto, la omogeneità è solo nel senso della estensione dell’obbligo contributivo per la malattia a tutte le imprese, comprese quelle privatizzate e a capitale misto (v. la già citata sentenza Cass. n. 5816 del 2010).
Una volta escluse le società per azioni a partecipazione pubblica dal concetto lato di “imprese pubbliche”, ai fini della presente controversia, diviene ovviamente irrilevante che l’art. 20, c. 4, dello stesso d.l. n. 112 del 2008 abbia abrogato la disposizione dell’art. 40, n. 2, del r.d.l. 4.10.35 n. 1827 (che esclude dall’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria i dipendenti delle aziende pubbliche e delle aziende esercenti pubblici servizi, v. n. 9) ed abbia esteso il detto obbligo assicurativo “solo dal primo periodo di paga decorrente dal 1° gennaio 2009”.
11. – Giova pure richiamare il principio enunziato dalle Sezioni unite con la sentenza 19.12.09 n. 26806 che – nello statuire che spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti – ha affermato che non è configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. Tale principio è stato adottato da tutta la giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite anche in relazione a società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria o totalitaria, anche se sottoposte a penetranti poteri di controllo dell’ente pubblico ed anche se la s.p.a. gestisce un servizio pubblico essenziale (S.u. 7.07.11 n. 14957; S.u. 12.10.11 n. 20940; 5.07.11 n. 14655).
In questa sede deve essere rimarcato che a dette conclusioni le Sezioni Unite sull’onda della già menzionata sentenza n. 26806 del 2009 sono pervenute proprio sulla base del rilievo – che questo Collegio ha più sopra già affermato – che le disposizioni del codice civile sulle società per azioni a partecipazione pubblica non valgono a configurare uno statuto speciale delle stesse e che la scelta della Pubblica Amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica l’assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta.
12. – Con un’ultima argomentazione a cavallo del quarto e quinto motivo, le ricorrenti intendono far derivare l’esonero dalla richiesta contribuzione da alcuni provvedimenti emessi dall’Autorità amministrativa (d.m. 25338 del 12.11.98 e ulteriori provvedimenti dell’INPS) ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 26.04.57 n. 818 (peraltro abrogato in parte qua dal menzionato art. 20 del d.l. n. 112 del 2008), per l’applicazione del più volte richiamato art. 40, c. 2, del r.d.l.4.10.35 n. 1827, che escludeva l’assoggettamento dei dipendenti delle aziende pubbliche e di quelle esercenti pubblici servizi “quando ad essi sia garantita la stabilità dell’impiego”. Detti provvedimenti, con cui era accertata la stabilità di impiego del personale dipendente della Azienda energetica metropolitana (AEM) di Torino, dante causa remota di I.S. costituirebbero titolo per l’esonero contributivo, in quanto contenuti nel patrimonio dell’impresa originaria, trasmesso ex art. 2112 c.c. all’avente causa.
Questa richiesta è frutto di una non corretta lettura dell’art. 2112 c.c. Questa norma, infatti, persegue lo scopo di garantire ai lavoratori la conservazione dei diritti in caso di mutamento dell’imprenditore, assicurando la continuità del rapporto di lavoro nei confronti dell’azienda, o alla parte di essa, trasferita ed esistente al momento del trasferimento (v. per tutte Cass. 17.03.09 n. 4452). E’ estranea, invece, alla tutela da essa offerta la garanzia di continuità delle prerogative della struttura aziendale riconosciute alla parte imprenditoriale dall’autorità amministrativa, atteso che dette prerogative sono condizionate alla permanenza dei requisiti richiesti dalla legge per il loro riconoscimento. Nel caso di specie detti provvedimenti di accertamento erano legati alla condizione dell’Azienda esaminata – chiamata ad accertare “la sussistenza della stabilità d’impiego, (…) in sede amministrativa su domanda del datore di lavoro” – in relazione alla soggettività specifica del datore di lavoro, come esistente al momento dell’accertamento, ed alle condizioni ivi verificate, con impossibilità di trasferire detti provvedimenti in capo ad altri soggetti economici.
Per tali ragioni anche l’ultima frazione del quarto motivo ed il quinto sono anch’essi infondati.
13. – In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
In ragione della successione di leggi intervenuta nella fattispecie e delle conseguenti incertezze di coordinamento, il Collegio ritiene opportuno procedere alla compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra le parti costituite, nulla statuendo invece nei confronti di E.N. spa, che non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti costituite.
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