CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 settembre 2013, n. 20826
Rapporto di lavoro – Licenziamento per giusta causa – Contestazioni disciplinari – Tempestività
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda di A. M. intesa all’accertamento, con le conseguenze di cui all’art. 18 St. lav., della illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 29.1.2008 dalla datrice di lavoro B.L. s.p.a.. Il giudice di appello, respinta la eccezione di tardività della contestazione sul rilievo che le condotte addebitate, benché risalenti e protrattesi nel tempo, erano state conosciute dalla datrice di lavoro solo in conseguenza del reclamo presentato da alcuni clienti nel dicembre 2007, ha ritenuto provati gli illeciti contestati al dipendente. In particolare ha ritenuto provati la indebita e personalistica gestione dei fondi dei clienti S. -S., la consapevole violazione del criterio di territorialità sancito dalle regole aziendali; la promozione di investimenti ad alto rischio che avevano determinato ingenti perdite per i clienti con conseguente obbligo restitutorio a carico dell’istituto di credito, come attestato dalla onerosa transazione che la Banca aveva dovuto concludere con i clienti di cui sopra; l’avere proposto come affidatario all’istituto un soggetto di cui conosceva la situazione di “decozione” sottoponendo, senza alcuna osservazione in merito, la relativa pratica all’organo deliberante. Tali condotte, ha osservato, rendevano proporzionata la sanzione espulsiva . Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A. M. sulla base di tre motivi. La società ha depositato controricorso Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ. .Sostiene, in sintesi, che la decisione della Corte d’appello è stata fondata su circostanze rimaste prive di riscontro probatorio e su circostanze di fatto non contestate e neppure dedotte dalle parti. In particolare assume che non è stata provata la pubblicità e comunque la conoscenza da parte del M. delle circolari aziendali in tema di competenza territoriale e che comunque le stesse nulla specificamente disponevano in ordine ai rapporti con i clienti, concernendo solo l’apertura e la disciplina dei conti correnti; privo di riscontro probatorio era rimasto anche l’addebito relativo alla gestione in modo occulto, in qualità di Capo Area delle posizioni dei clienti S. – S.; non vi era prova inoltre di coinvolgimento personale del M. in relazione agli investimenti immobiliari che avevano determinato perdite ai clienti né che il detto lavoratore avesse avuto conoscenza che il M. in passato era stato debitore insolvente; non vi era prova dell’addebito di avere operato, in violazione del criterio di territorialità, per conto dei clienti S.-S. avendo il M. medesimo riferito che ciò era avvenuto fino al suo trasferimento a Parabiago (nel 1999), né che i detti clienti avessero spostato i propri conti correnti per “seguire” il funzionario. Priva di riscontro era rimasta anche la allegazione relativa alle due diffide, nell’anno 2004 e nell’anno 2006, al M. da parte degli Ispettori della Banca. Deduce inoltre il travisamento da parte dei giudici di merito di alcune circostanze riportate nella lettera di contestazione relative alle proposta di investimenti immobiliari ad alto rischio che avevano comportato ingenti perdite per i clienti con necessità per la Banca di addivenire ad un’onerosa transazione, evidenziando che tali circostanze oltre a non essere provate non erano state nemmeno dedotte dall’istituto di credito (in particolare la gestione dei conti e la transazione). Censura di genericità il riferimento ai documenti contenuto nella decisione e denuncia ulteriori travisamenti della sentenza con riguardo alla contestazione relativa a soggetto già dichiarato fallito e più in generale al contenuto della lettera di contestazione che – afferma – non concerneva la pretesa gestione personalizzata dei conti dei clienti ma la violazione di regole interne della Banca. Svolge inoltre ulteriori censure attinenti alle deposizioni dei testi D. e P. ed al rigetto del motivo di appello concernente la violazione tra il chiesto e pronunciato.
Con il secondo motivo di ricorso deduce ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. n. 300 del 1970 e dell’art. 2119 cod. civ.. nonché ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo rappresentato dalla tempestività della contestazione. A tal fine evidenzia che te condotte oggetto di successivo addebito erano state perduranti nel tempo e comunque già note alla Banca da molto tempo; ribadisce che non vi è prova delle diffide degli Ispettori; denunzia la contraddittorietà della motivazione sul punto per avere il giudice di appello dapprima sostenuto che di tali condotte la datrice di lavoro aveva appreso solo in seguito al reclamo dei clienti – nel dicembre del 2007 – e dall’altro per avere richiamato le diffide degli Ispettori risalenti ad anni precedenti. Invoca il principio di buona fede evidenziando che la mancanza di immediata contestazione di fatti già noti da parte della società datrice di lavoro aveva indotto il lavoratore a ritenere il fatto non grave o comunque non meritevole di sanzione. Si duole infine che la Corte di merito avesse in maniera apodittica affermato la tempestività del licenziamento senza nulla argomentare in ordine al motivo di gravame sul punto.
Con il terzo motivo di ricorso deduce ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1455 e 2119 cod. civ. nonché, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo con riferimento alla verifica dell’elemento soggettivo rappresentato dalla colpa del lavoratore e della valutazione di proporzionalità delle sanzione. Con riferimento a quest’ultimo profilo sostiene la non pertinenza della giurisprudenza di legittimità richiamata nella motivazione. Ribadisce che le circolari prodotte da controparte concernono la materia dell’apertura dei conti correnti e non hanno rilevanza su diversi rapporti bancari; che non vi è prova della mala gestio personalistica delle posizioni S. -S. ; che la vicenda relativa alla posizione N.C.M. N. s.r.l. risale ad anni prima; deduce la genericità dell’addebito relativo all’operare “occulto”.
Censura infine che la valutazione di proporzionalità sia stata effettuata senza tenere conto di ogni aspetto concreto della specifica vicenda processuale. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La valutazione di inammissibilità scaturisce dal rilievo che parte ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, nel dedurre che la sentenza è stata fondata su circostanze di fatto prive di riscontro o comunque non oggetto di allegazione, non specifica quali sono state le allegazioni in fatto e le deduzioni in diritto sulle quali si è sviluppato il contraddittorio tra le parti nelle precedenti fasi di merito; laddove viene denunziata l’erronea pronunzia del giudice di appello sulle censure svolte con l’atto di gravame non è compiutamente specificato o contenuto di tale censure in relazione alla decisione di primo grado. Inoltre a fondamento delle censure vengono in taluni casi evocati documenti dei quali non è specificata la sede processuale di produzione né riprodotto il relativo contenuto. E questo in violazione dell’onere prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 comma primo n. 6 cod. proc. civ., il quale per essere assolto, postula che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur indicato nel ricorso, risulta prodotto, e che ne sia riprodotto, anche per riassunto il contenuto in quanto indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile. Questa Corte ha infatti chiarito che la causa di inammissibilità prevista dal nuovo art. 366 c.p.c. n. 6, è direttamente ricollegata al contenuto del ricorso, come requisito che si deve esprimere in una indicazione contenutistica dello stesso (si veda, in termini, Cass. sez. un. n. 28547 del 2008; ord. sez. un. n. 7161 del 2010; ord. n. 17602 del 2011). Tanto premesso e seguendo l’ordine delle questioni prospettato nel ricorso si rileva quanto segue. La censura relativa alla assenza di prova della pubblicità delle circolari aziendali e comunque della conoscenza delle stesse da parte del M. è inammissibile perché non specifica se ed in che termini tale deduzione era stata formulata nelle precedenti fasi di merito; essa inoltre non si confronta con le motivazioni della decisione sul punto la quale non si è limitata ad evocare, come presupposto dal ricorrente, i documenti in atti ma ha fatto riferimento anche alla prova testimoniale; parte ricorrente non poteva, pertanto, assertivamente limitarsi a dedurre l’assenza di riscontri probatori ma aveva l’onere di dimostrare l’errore ricostruttivo del giudice d’appello con riferimento agli elementi documentali ed alle testimonianze da questi specificamente evocati. Analoghi rilievi vanno formulati con riferimento alla deduzione relativa all’assenza di riscontri di una serie di episodi configuranti indebita gestione dei fondi S. – S., dovendosi evidenziare che la decisione di secondo grado, nel ritenere comunque sussistente tale indebita e personalizzata gestione, non ha specificamente proceduto ad una ricostruzione dei singoli episodi. Con riferimento poi alla transazione onerosa conclusa dalla Banca, circostanza che il ricorrente (v – Pag 20 del ricorso) assume “mai contestata mai dedotta in giudizio e mai provata”, si rileva che tale deduzione, nei termini in cui è formulata è riconducibile all’errore revocatorio di cui all’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. per cui doveva essere fatta valere con il mezzo della revocazione e non con il ricorso per cassazione. In merito poi ai documenti richiamati in sentenza e ritenuti confermativi del fatto che le disposizioni sui conti correnti del clienti erano state impartite direttamente dal M. e non da altro funzionario, si rileva la assenza di specificità della censura a riguardo in quanto il ricorrente nel contrastare tale affermazione che asserisce priva di riscontro, non chiarisce con riferimento al contenuto dei detti documenti quale sia stato l’errore ricostruttivo del giudice d’appello. Parimenti inammissibile è la censura con la quale si contesta che la società P.I. s.r.l., ovvero la società che il M. aveva consigliato ai clienti non era mai fallita così come non era mai fallito tale M.. Essa non si confronta con il contenuto della sentenza la quale non individua specificamente nella P.I. s.r.l. il soggetto nei confronti del quale erano stati indirizzati gli investimenti, né afferma che si trattava di società fallita ma solo che tra i soci (di una società della quale non specifica la denominazione) vi era un soggetto – non espressamente identificato nel M.- dichiarato fallito. Le censure con le quali si contesta la valutazione di inaffidabilità della società nei cui confronti erano stati indirizzati gli investimenti dei clienti tendono a sollecitare un diverso apprezzamento probatorio delle risultanze di causa, inammissibile in sede di legittimità. Parimenti inammissibili sono le censure relative all’addebito rappresentato dalla gestione personalizzata dei conti dei clienti S. e S.. E’ sufficiente rilevare che parte ricorrente, nel dedurre la non corretta interpretazione della lettera di contestazione della Banca non solo non specifica, in violazione dell’art. 366 cod. proc. civ., il luogo processuale nel quale tale documento è reperibile ma, soprattutto, non deduce l’errore interpretativo del giudice di appello mediante prospettazione della violazione di specifiche regole legali di interpretazione di cui agli artt. 1362 e sgg. cod. civ..
Il secondo motivo di ricorso è infondato. Non sussiste in primo luogo la denunziata contraddittorietà di motivazione. Invero il richiamo alle diffide formulate negli anni precedenti dagli Ispettori non si pone in contraddizione logica con l’affermazione del giudice di appello che delle condotte poi addebitate la Banca era venuta a conoscenza solo in seguito al reclamo dei clienti. Nella sentenza impugnata è infatti bene esplicitato che la valutazione di tempestività della contestazione è stata effettuata non con riferimento alle condotte già oggetto di diffida ma con riferimento alle condotte tenute successivamente, nonostante le due diffide degli Ispettori. In mento poi alla affermazione dell’assenza di riscontri alle precedenti diffide della Banca, va rilevato come, ancora una volta, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, parte ricorrente omette di chiarire se nelle fasi precedenti di merito aveva ed in che termini contestato la circostanza ed in particolare se aveva proposto specifico motivo di gravame a riguardo. Quanto alle ulteriori circostanze evocate dal ricorrente intese a suffragare l’assunto di una pregressa conoscenza da parte della Banca della condotta del dipendente, il riferimento alle stesse si risolve nella sollecitazione di un diverso apprezzamento probatorio delle risultanze di causa, apprezzamento che come già detto è sottratto al sindacato di legittimità ove congruamente e logicamente motivato. Infine infondata è la denunzia di omesso esame della censura prospettata con il ricorso in appello, di tardività della contestazione. In primo luogo parte ricorrente non chiarisce in che termini in appello tale censura è stata formulata e, soprattutto, quale è stato il parametro temporale in relazione al quale è prospettata la tardività del recesso; in particolare se essa è prospettata avuto riguardo all’epoca delle due lettere di contestazione, risalenti a circa un mese prima – o se è prospettata in relazione alla asserita risalente conoscenza della Banca dei fatti addebitati. In secondo luogo la censura risulta espressamente esaminata e respinta dalla Corte di appello che ha a tal fine fatto riferimento al reclamo presentato dai clienti nel dicembre 2007, escludendo quindi che la Banca potesse avere avuto nel periodo anteriore conoscenza delle condotte illecite oggetto di addebito.
E’ infondato il terzo motivo di ricorso. Nel prospettare la violazione del canone di proporzionalità del recesso e nel dedurre, in sintonia con il citato orientamento di questa Corte, la necessità ai fini della verifica della giusta causa di licenziamento dell’esame di tutte le circostanze concrete, parte ricorrente non segnala alcuna elemento, avente carattere di decisività, trascurato dal giudice di appello che, ove, invece considerato, avrebbe potuto condurre ad una valutazione dell’illecito disciplinare in termini di minore gravità. Non risponde al vero che il giudice di appello anziché esaminare il caso specifico si sarebbe affidato, richiamando un precedente giurisprudenziale di legittimità, apoditticamente, alla soluzione di un caso ritenuto per errore analogo, deciso in senso sfavorevole al dipendente. Il giudice d’appello non si è limitato ad evocare la decisione di questa Corte n. 1890 del 2009 relativa a fattispecie che presentava alcune analogie con la presente vicenda, ma ha fatto esplicito riferimento, quale parametro al quale ancorare la valutazione di gravità degli illeciti, al loro costante svolgimento cronologico. La congruità e logicità di tale parametro non risulta posta specificamente in discussione da parte ricorrente, come era suo onere, al fine di sollecitare il sindacato del giudice di legittimità. Invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte, in caso di licenziamento (come di ogni altra sanzione) disciplinare, l’accertamento dei farti addebitati al lavoratore e il giudizio di gravità degli stessi, nonché di proporzionalità tra farti accertati e relative sanzioni, sono riservati ai giudice di merito e non sono sindacabili in sede di legittimità, se sorretti da motivazione congrua ed immune da vizi logici (cfr, tra le altre, Cass. n. 144 del 2008, n. 21965 del 2007, n. 12634 del 2003, n. 313 del 2003, n. 6790 del 2002). Le ulteriori censure sviluppate nel terzo motivo ripropongono deduzioni già formulate nel primo motivo di ricorso attinenti all’assenza di prova degli addebiti contestati e risultano quindi inammissibili per le medesime ragioni già esposte a riguardo. Consegue il rigetto del ricorso Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di cui € 50,00 per esborsi ed € 4500,00 per compensi professionali, oltre accessori.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- TRIBUNALE di FOGGIA - Ordinanza del 3 aprile 2023 - La giusta causa di licenziamento è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti - al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo - le previsioni dei contratti…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 novembre 2021, n. 31065 - Nei rapporti tra licenziamento e previsioni disciplinari della contrattazione collettiva, le previsioni della contrattazione collettiva che graduano le sanzioni disciplinari non vincolano il…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 giugno 2022, n. 19327 - In tema di licenziamento per giusta causa nel caso in cui le previsioni del contratto collettivo siano più favorevoli al lavoratore - nel senso che la condotta addebitata quale causa del…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 7590 depositata il 21 marzo 2024 - Nel rito del lavoro, il divieto di nova in appello, ex art. 437 c.p.c., non riguarda soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma è esteso alle…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 25987 depositata il 6 settembre 2023 - Il licenziamento per giusta causa, irrogato per una condotta tenuta dal dipendente nell'ambito del rapporto di lavoro e ritenuta dal datore di lavoro tanto scorretta da minare il…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 19621 depositata l' 11 luglio 2023 - Il diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro deve rispettare i limiti di continenza formale, il cui superamento integra comportamento idoneo a ledere…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…
- L’indennità sostitutiva della mensa, non avendo na
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7181 depositata…