CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 settembre 2013, n. 20917
Pubblico impiego – Servizio sanitario nazionale – Dirigenti medici – Attività intra moenia – Imposizione Irap – Onere economico del pagamento – Traslazione convenzionale
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 3.7.10 la Corte d’appello di Brescia rigettava il gravame interposto dall’Azienda Ospedaliera “Ospedale Maggiore di Crema-contro la pronuncia del Tribunale di Crema che aveva dichiarato l’illegittimità della trattenuta a titolo di IRAP operata dalla predetta azienda sui compensi erogati a numerosi dirigenti sanitari (dottori (…)) per attività da loro svolta intra moenia fino all’entrata in vigore della nuova contrattazione aziendale del marzo 2007, con condanna in via generica dell’azienda alla restituzione delle somme indebitamente trattenute.
Statuivano i giudici di merito che la traslazione convenzionale dell’onere economico del pagamento dell’IRAP, il cui soggetto passivo restava pur sempre l’Azienda Ospedaliera e non i singoli dirigenti sanitari, doveva essere esplicitamente prevista in via contrattuale, cosa che l’accordo integrativo aziendale dell’area dirigenza medica del 2002 – a differenza di quello del 2007 – non aveva fatto. Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’Azienda Ospedaliera “Ospedale Maggiore di Crema” affidandosi a quattro motivi. I suddetti dirigenti sanitari resistono con controricorso.
Motivi della decisione
1- Con il primo motivo si lamenta vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza ha ritenuto che la traslazione convenzionale dell’onere economico dell’IRAP debba essere oggetto di esplicita previsione e che ciò non sia avvenuto nell’accordo integrativo aziendale dell’area dirigenza medica del 2002, ma solo in quello del 2007.
Analoga doglianza viene fatta valere in riferimento all’accordo integrativo aziendale dell’area dirigenza medica del 2002 con il secondo motivo, sempre sotto forma di vizio di motivazione, nonché con il terzo e il quarto motivo, sotto forma di violazione e falsa applicazione – rispettivamente – dell’art. 1362 e 1363 ce, considerato che l’art. 23 del cit. accordo del 2002 prevede che sulla quota restante dei compensi dovuti per attività intra moenia verranno “applicate le imposte di legge”, espressione che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, è chiara nel prevedere tale traslazione convenzionale, anche alla luce del successivo accordo del 2007 che, sostituendo la dizione “imposte di legge” con la frase “a cui si aggiunge l’incidenza dell’IRAP”, omettendo ogni riferimento alle altre imposte, è significativa del fatto che tale fosse l’effettiva volontà delle parti contraenti già nel 2002. D’altronde, prosegue il ricorso, il riferimento alle imposte di legge non poteva riguardare imposte come quelle sul reddito già pacificamente gravanti per legge sul dirigente medico e la cui aliquota non era neppure determinabile ex ante. Infine, sempre ai sensi del cit. art. 23, le tariffe delle prestazioni ambulatoriali dovevano essere remunerative dei costi sostenuti dall’azienda e comprendere la copertura degli oneri fiscali.
2- I motivi di ricorso – da esaminarsi congiuntamente perché connessi – sono infondati.
Si premetta che l’azienda ricorrente non nega di essere soggetto passivo dell’IRAP sui compensi per attività intra moenia, ma si limita a sostenere che la traslazione del relativo onere economico a carico dei medici, esplicitamente stabilita dall’accordo integrativo aziendale dell’area dirigenza medica del 2007, sarebbe stata prevista anche nel precedente accordo del 2002, all’art. 23, laddove si pattuiva che sulla quota restante dei compensi dovuti per attività intra moenia sarebbero state “applicate le imposte di legge”.
Ora, premesso che ex art. 360 co. 1° n. 3 c.p.c. non possono dedursi pure e semplici violazioni del cit. accordo integrativo aziendale (in quanto tale estraneo al novero delle fonti collettive la cui violazione o falsa applicazione può formare oggetto di ricorso innanzi a questa S.C.), si noti che nel caso di specie le uniche doglianze astrattamente rilevanti potrebbero essere quelle concernenti gli artt. 1362 e 1363 c.c. (dedotte nel terzo e nel quarto motivo).
Quanto all’art. 1362 c.c., esso in tanto può considerarsi violato in quanto il giudice di merito abbia trascurato il comportamento delle parti anche successivo alla stipulazione o abbia travisato od omesso di esaminare il senso letterale delle espressioni adoperate nel testo negoziale.
Ma nel caso di specie non può certo dirsi che il senso letterale dell’applicazione, sui predetti compensi, delle “imposte di legge” equivalga ad una clausola di traslazione del relativo onere economico su soggetti diversi da quelli passivi del rapporto di imposta: anzi, proprio parlare di “applicazione” di “imposte di legge” evoca oggettivamente l’adempimento di un obbligo legislativo, non di uno convenzionale.
Né può dirsi violato il predetto canone ermeneutico in relazione al comportamento, anche successivo, delle parti sol perché nel successivo accordo integrativo aziendale dell’area dirigenza medica del 2007 è stata espressamente pattuita la suddetta traslazione: si tratta di una anfibologia perché, nel succedersi delle fonti collettive, una specificazione non presente in quelle precedenti può essere intesa tanto come mera interpretazione autentica quanto come innovazione rispetto al precedente assetto negoziale.
Né si vede in cosa consista l’asserita violazione dell’art. 1363 ce, atteso che (anche a tacere dei profili di non autosufficienza del ricorso) per potersi ipotizzare una violazione del criterio interpretativo sistematico bisognerebbe indicare più clausole, all’interno dello stesso testo contrattuale, suscettibili di una lettura unidirezionale nel senso propugnato: al contrario, dell’accordo integrativo aziendale dell’area dirigenza medica del 2002 la ricorrente indica soltanto l’art. 23, suggerendone valutazioni difformi da quella accolta, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, dall’impugnata sentenza.
Per il resto e nei primi due motivi il ricorso si dilunga in difformi apprezzamenti della clausola contrattuale che si collocano all’esterno dell’area di cui all’art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c, noto essendo nella giurisprudenza di questa Corte Suprema – da cui non si ravvisa motivo alcuno di discostarsi – che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 c.p.c, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di un fatto decisivo della controversia, potendosi in sede di legittimità controllare unicamente sotto il profilo logico – formale la valutazione operata dal giudice del merito, soltanto al quale spetta individuare le fonti del proprio convincimento.
Né il ricorso isola (come invece avrebbe dovuto) singoli passaggi argomentativi per evidenziarne l’illogicità o la contraddittorietà intrinseche e manifeste, vale a dire tali da poter essere percepite in maniera oggettiva e a prescindere dalla lettura del materiale di causa.
Da ultimo, il verificare se con l’interpretazione accolta dall’impugnata sentenza le tariffe delle prestazioni ambulatoriali siano o non remunerative dei costi sostenuti dall’azienda, anche a copertura degli oneri fiscali, richiederebbe un esame complessivo degli atti e un calcolo in concreto dei costi sopportati dalla ricorrente, vale a dire accertamenti di fatto, non consentiti in sede di legittimità.
3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità nei confronti delle parti costituite, liquidate in euro 300,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
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