CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2013, n. 20928
Tributi – Statuto del contribuente – Diniego di esenzione adottato dopo molti anni – Legittimità
Svolgimento del processo
Unitamente alla dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 1993 Industrie B. s.p.a. (già O.S. s.p.a.), società successivamente dichiarata in fallimento con sentenza del Tribunale Ordinario di Roma in data 24.4.2002, aveva richiesto l’applicazione del beneficio della esenzione decennale IRPEG ed ILOR, previsto dagli artt. 101 e 105 n. 218/1978 e dall’art. 14 legge n. 64/1986, rispettivamente, per la realizzazione di nuove iniziative produttive da parte di soggetti costituiti in forma societaria e per la installazione di stabilimenti tecnicamente organizzati localizzati nelle aree del Mezzogiorno.
Con circa un decennio di ritardo l’Ufficio II.DD. di Napoli, con provvedimento in data 20.6.2002, opponeva il diniego al riconoscimento del beneficio fiscale in quanto dal sopralluogo eseguito nel corso dell’anno 2000 era accertato che lo stabilimento ubicato in Buccino (SA) risultava inattivo già da diversi anni.
Il ricorso avverso il diniego proposto dal Fallimento veniva rigettato in primo grado e la decisone era confermata in grado di appello con sentenza della Commissione tributaria della regione Campania in data 24.11.2005 n. 129 che rilevava la infondatezza dei motivi di gravame in quanto:
– il Fallimento non aveva prodotto alcun documento idoneo a dimostrare il possesso dei requisiti previsti dalle norme di esenzione era inesatta l’affermazione secondo cui il ritardo dell’Ufficio finanziario non poteva far venire meno il diritto della contribuente alla esenzione, atteso che il sopralluogo era stata eseguito il 22.11.2000 quando non era ancora esaurito il decennio per il quale la società avrebbe dovuto fruire dei benefici fiscali e comunque anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento
– il provvedimento di diniego andava esente da vizi di legittimità, in quanto nella motivatone dello stesso era stato dato atto della chiusura da diversi armi dello stabilimento, non ravvisandosi, pertanto nella specie la motivazione “per relationem” ad altro atto o documento del quale era stato violato l’obbligo di allegazione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Fallimento B. s.p.a„ affidato a sei motivi, con atto spedito per la notifica m data 8 1 2007 all’Ufficio periferico di Napoli della Agenzia delle Entrate, nonché con atti notificati in data 8.1.2007 alla Agenzia delle Entrate -presso la sede legale, al Ministero della Economia e delle Finanze nonché alla Agenzia delle Entrate presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
Non hanno resistito gli intimati. La Agenzia delle entrate ha depositato “atto di costituzione” al solo fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione.
La contribuente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Va preliminarmente dichiarata “ex officio” l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva della parte resistente, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio svoltosi avanti la Commissione tributaria della regione Campania, introdotto dal Fallimento della società contribuente successivamente alla data 1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), e nel quale risulta costituito come parte appellata soltanto l’Ufficio di Napoli 4 della Agenzia delle Entrate, con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 co3 c.p.c. (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).
Non avendo resistito al ricorso la parte intimata , non occorre far luogo alla liquidazione delle spese di lite.
1. Con il primo motivo la sentenza viene censurata per la violazione delle norme di esenzione ILOR (art. 101 Dpr 6.3.1978 n. 218, come modificato dalla legge 1.3.1986 n. 64; art. 26 Dpr 29.9.1973 n. 601), nonché per omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360col nn. 3 e 5 c.p.c. La società sostiene che i Giudici di appello non hanno considerato che la contribuente aveva diritto alla esenzione ILOR: 1-essendo ubicato lo stabilimento -che rispondeva i requisiti tecnici ed industriali- nell’area del Mezzogiorno, 2- essendo stato attivato l’impianto entro la data del 31.12.1993, 3- avendo continuato lo stabilimento a produrre anche dopo la dichiarazione di fallimento, e, comunque, 4-essendo già state verificate dagli organi fallimentari tutte le indicate circostanze nel corso della procedura concorsuale.
1.1 II primo motivo è infondato in relazione ad entrambe le censure prospettate, peraltro collocate su un piano di oggettiva incompatibilità (che pone il motivo ai limiti della pronuncia di inammissibilità), non potendo all’evidenza ipotizzarsi un difetto nella ricostruzione della fattispecie concreta (per omessa rilevanza od erronea valutazione di un elemento fattuale come risultante dalle emergenze istruttorie) ed al tempo stesso un errore di interpretazione della norma di diritto o di applicazione della stessa mediante la operazione di sussunzione nella fattispecie normativa astratta, che invece presuppongono la esatta rilevazione dei fatti e la corretta ricostruzione della fattispecie concreta oggetto della controversia.
1.2 II Fallimento nella esposizione delle ragioni a sostegno del motivo si è limitato, infatti, a riprodurre le disposizioni normative che regolano l’attribuzione del beneficio fiscale (nella specie la esenzione ILOR) ed a richiamare numerosi precedenti giurisprudenziali del Giudice di legittimità che forniscono la interpretazione di tali norme agevolative, senza tuttavia scalfire il nucleo essenziale della decisione impugnata fondato sulla mancanza di prove documentali idonee a dimostrare la esistenza dei presupposti di legge.
La parte ricorrente ha rilevato, in proposito, come i requisiti legali richiesti per fruire della esenzione decennale ILOR erano da individuarsi
– nella attivazione dello stabilimento (“divenuto atto all’uso”) entro la data del 31.12.1993 “come attestato e pure verificato dalla procedura concorsuale” (pag. 12 ricorso)
– nella “stabilità” dell’insediamento produttivo, da intendersi, non come inamovibilità degli impianti o fabbricati, ma come collegamento durevole del complesso organizzativo della attività d’impresa alla specifica realtà economico-territoriale del Mezzogiorno, tale da assolvere efficacemente allo scopo della industrializzazione attraverso lo stabile impiego di personale.
A tali generali ed astratte premesse normative non è tuttavia seguita la necessaria ed indispensabile critica al concreto accertamento in fatto, compiuto dal Giudice di appello, secondo cui non era stata fornita la prova dei presupposti legali di esenzione, in quanto il Fallimento aveva omesso di depositare in giudizio: 1- l’atto costitutivo della società, 2- il certificato di agibilità dell’opificio, 3- il certificato INAIL attestante la data di inizio attività, 4- i documenti attestati l’acquisto, il noleggio di impianti ed attrezzature, 5- i documenti attestanti la costruzione, l’acquisto o la locazione delle strutture murarie o dell’area sulle quali insisteva l’opificio, 6- la relazione descrittiva dell’opificio e la potenzialità produttiva dello stesso.
Il Fallimento ha affermato che tali elementi già risultavano agli organi della procedura concorsuale, senza tuttavia indicare se e quando gli indicati documenti, od altri analoghi comprovanti i requisiti di legge, fossero stati prodotti nel corso dei gradi di merito, risultando peraltro evidente, alla stregua della norma generale sul riparto dell’onere probatorio, come la prova dei fatti indicati non possa ritenersi assolta in base alla mera asseverazione del curatore fallimentare (secondo cui il diritto alla esenzione “risultava documentato…dal!’avvenuta presentazione (ndr all’Ufficio della II.DD.) delle dichiarazioni annuali,..ma anche dai bilanci…dalle iscrizioni dei lavoratori agli uffici previdenziale: ricorso pag. 5), non essendo attribuita dall’ordinamento alla semplice dichiarazione proveniente dall’organo della procedura concorsuale – che, nel presente giudizio avente ad oggetto il rapporto tributario controverso, riveste al pari della Amministrazione finanziaria la posizione di parte processuale – alcuna efficacia probatoria privilegiata.
In relazione poi al dedotto vizio logico della sentenza, difetta del tutto anche la indicazione delle prove “decisive” che il Fallimento avrebbe fornito in giudizio e la cui rilevanza sarebbe stata illogicamente disconosciuta dal Giudice di appello, essendosi limitata la parte ricorrente a rilevare che era stata prodotta “copiosa documentazione attestante la sussistenza dei requisiti richiesti” (pag. 9 ricorso), senza tuttavia specificarne il contenuto.
2. Con il secondo motivo la parte ricorrente deduce i medesimi vizi di legittimità, riferiti stavolta alla esenzione decennale IRPEG (art. 105 TU n. 218/1978), asserendo che la CTR della Campania avrebbe ritenuto indispensabile la sussistenza di un opificio industriale (richiesta esclusivamente per la esenzione ILOR) omettendo di considerare che, ai fini della esenzione IRPEG, era invece sufficiente che fossero realizzate soltanto “nuove iniziative produttive”.
2.1 L’assunto su cui si fonda il motivo risulta smentito dalla lettura della sentenza impugnata in cui si dà conto, in modo chiaro ed inequivoco, dei differenti presupposti richiesti per la esenzione ILOR (“a- impianto di uno stabilimento industriale tecnicamente organizzato, ovvero ampliamento trasformazione, riattivazione, ricostruzione, riammodernamento di quello già esistente; b- realizzazione di attività di natura industriale; e- localizzazione nei territori agevolati del Mezzogiorno”) e per la esenzione IRPEG (“a- costituzione della impresa in forma di società soggetta alla detta imposta, b- realizzazione di nuove iniziative produttive, c- localizzazione nei territori agevolati del Mezzogiorno”).
2.2 Inoltre il Fallimento ha omesso del tutto di individuare la statuizione o la parte della motivazione concernente l’argomento logico posto dai Giudici di appello a fondamento del “decisum”, oggetto della critica e da sottoporre al sindacato di legittimità della Corte, con la conseguenza che il motivo, sotto entrambe le prospettate censure (“error juris”, vizio logico della motivazione), va incontro alla inevitabile pronuncia di inammissibilità, alla stregua del principio ripetutamente enunciato da questa Corte secondo cui in materia di procedimento civile, nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ. deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, e mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo quelle determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie (per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata), non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (cfr. Corte cass. IlI sez. 8.11.2005 n. 21659 ; id. 1 sez. 17.5.2006 n. 11501; id. III sez. 9.1.2007 n. 214; id. IlI sez. 28.2.2012 n. 3010).
Non è sufficiente ad assolvere alla predetta esigenza di completezza il fugace riferimento, contenuto nella parte finale della esposizione del motivo, all’esito negativo del “tentativo di sopralluogo” presso lo stabilimento. Premesso che la data del sopralluogo effettuata dai funzionari dell’Amministrazione finanziaria viene in rilievo nella sentenza al solo fine di rilevare la anteriorità di detta verifica rispetto alla dichiarazione di fallimento della società per escludere la fondatezza della tesi giustificativa argomentata dalla società (secondo cui la verifica in loco era stata negativa perché la società era già stata dichiarata da tempo fallita), osserva il Collegio che, diversamente da quanto sembra ipotizzare la parte ricorrente, la valorizzazione da parte della CTR campana della data del sopralluogo-non dimostra affatto il paventato equivoco sui presupposti legali di esenzione IRPEG in cui sarebbe incorsa la CTR ritenendo necessario per la concessione del beneficio IRPEG la esistenza di un opificio industriale, essendo sufficiente, al riguardo, osservare come anche la “nuova iniziativa produttiva” (non estrinsecatesi necessariamente in un impianto di tipo industriale o comunque “tecnicamente organizzato”) richieda imprescindibilmente, per potere fruire del benefìcio fiscale ex art. 105 TU n. 218/1978, il requisito della effettiva attuazione e della persistenza dell’attività produttiva durante l’intero periodo per il quale dura la esenzione, e tale accertamento -sul quale correttamente è incentrata la decisione di secondo grado- non è in alcun modo confondibile con la verifica della esistenza di un impianto dotato di specifiche caratteristiche tecniche richieste, invece, dall’art. 101 TU n. 218/1978 per la esenzione ILOR (stabilimento tecnicamente organizzato per lo svolgimento di attività di natura industriale).
Quanto al vizio motivazionale, non possono che richiamarsi le medesime valutazioni di carente formulazione già svolte nell’esame del primo motivo, atteso che il Fallimento a supporto dell’errore di fatto del Giudice di merito si è limitato ad addurre quale prova -inconsistente- che “la continuità della attività industriale dello stabilimento di Buccino” era stata accertata dalla procedura concorsuale, difettando pertanto la indicazione della “prova determinante” che costituisce requisito di ammissibilità della censura con la quale si deduce il vizio logico della motivazione ex art. 360 co l n. 5 c.p.c.
3. Con il terzo e quarto motivo viene dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 10 legge 27 luglio 2000 n. 212, dell’art. 43 co l Dpr 29.9.1973 n. 600, anche in relazione agli artt. 19 e 21 Dlgs n. 546/1992, nonché il vizio di omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo (art. 360 co l nn. 3 e 5 c.p.c).
Il Fallimento sostiene che il provvedimento di diniego della esenzione fiscale è stato emesso dall’Amministrazione finanziaria con diversi anni di ritardo rispetto alla istanza presentata nell’anno 1993, e dunque in violazione del dovere di collaborazione e buona fede prescritto dall’art. 10 dello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000) norma in ordine alla quale vengono richiamati i principi di diritto affermati da questa Corte nella sentenza della V sez. 10.12.2002 n. 17576, nonché, più in generale con riferimento alla nozione di buona fede, dalla Corte di Giustizia CE e dalla giurisprudenza amministrativa.
La sentenza di appello, a quanto è dato comprendere, viene censurata per non avere fatto applicazione del principio secondo cui l’affidamento maturato in capo alla società sulla “situazione giuridica di vantaggio a favore della contribuente” impediva la revoca del beneficio a distanza di anni.
Inoltre i Giudici di merito avevano omesso di pronunciare in ordine al punto secondo cui doveva ritenersi ormai maturato anche il termine di decadenza -mutuato dall’art. 43 Dpr n. 600/1973- per l’esercizio del potere di revoca della esenzione fiscale, con la conseguenza che il provvedimento di diniego del beneficio doveva essere dichiarato illegittimo, tanto più che la stessa Amministrazione finanziaria, onde non incorrere in decadenza, aveva in precedenza emesso tempestivi avvisi di accertamento in relazione alle annualità 1996 e 1998.
3.1 Entrambi i motivi, in relazione ai diversi profili di censura prospettati, sono inammissibili e comunque infondati.
3.2 Sono inammissibili, da un lato, in quanto la parte ricorrente sembra volere denunciare una omessa pronuncia su motivi di gravame, piuttosto che un vizio di “error in indicando” (mentre rimane del tutto sfornito di supporto argomentativo l’asserito vizio logico della sentenza), vizio di legittimità che avrebbe allora dovuto essere denunciato in relazione al diverso paradigma legale di cui all’art. 360 co l n. 4) c.p.c.; dall’altro in quanto la parte ricorrente viene ad introdurre avanti al Giudice di legittimità questioni “nuove” che non risultano siano state sottoposte con i motivi di gravame al Giudice di appello e che dunque non possono essere prospettate per la prima volta avanti alla Corte.
Dalla sentenza impugnata risulta, infatti, che nel ricorso introduttivo il Fallimento aveva impugnato il provvedimento di diniego in quanto l’ingiustificato ritardo “non poteva portare alla perdita dell’esenzione fiscale”. Tale questione, peraltro incerta nella sua esatta comprensione (non è dato infatti verificare alla stregua dei fatti riferiti nel ricorso ovvero desunti dalla sentenza se fosse o meno stata eccepita la decadenza della Amministrazione finanziaria dal potere impositivo esercitato mediante provvedimento di revoca del beneficio: tale decadenza è infatti oggetto di eccezione in senso stretto, e non è rilevabile di ufficio), non risulta sia stata formulata in primo grado e tanto meno riproposta con i motivi di gravame, tenuto conto che:
a) il Giudice di prime cure ha, infatti, rigettato il ricorso introduttivo in relazione all’esito negativo del sopralluogo presso dello stabilimento risultato inattivo, ed in difetto di prova da parte del Fallimento dei presupposti legali della esenzione,
b) con i motivi di gravame la decisione di prime cure veniva impugnata, come risulta dalla sentenza di appello, per “assoluta infondatezza e carenza di motivazione” nonché “in guanto fondata su un atto.,.a sua volta nullo ab origine per difetto di motivazione per relationem” (cfr. sentenza CTR pag. 3): manca pertanto qualsiasi indicazione nel ricorso per cassazione -ed anche nella sentenza impugnata- della rituale introduzione nel giudizio della questione relativa alla decadenza della Amministrazione finanziaria dalla potestà impositiva (o di revoca della esenzione).
Orbene qualora una determinata questione giuridica, che implichi accertamenti di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, trascrivendone il contenuto o le parti essenziali di esso, onde dare modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (giurisprudenza consolidata: cfr Corte cass. V sez. 2.4.2004 n. 6542; id. IlI sez. 18.3.2005 n. 5972; id. III sez. 10.5.2005 n. 9765; id. IlI sez. 12.7.2005 n. 14599; id. sez. lav. 11.1.2006 n. 230; id. Ili sez. 20.10.2006 n. 22540; id. I sez. 1.3.2007 n. 4843; id. sez. lav. 28.7.2008 n. 20518; id. III sez. 27.5.2010 n. 12912).
3.3 I motivi si palesano altresì infondati in quanto il Fallimento ricorrente equipara apoditticamente la situazione di ritardo in ordine alla verifica della sussistenza dei presupposti della esenzione -condotta omissiva suscettibile di integrare una violazione del “dovere di collaborazione” imposto alla Amministrazione finanziaria in funzione della prevenzione di contestazioni e della certezza e stabilità delle situazioni giuridiche derivanti dal rapporto tributario, che può produrre inefficienze in relazione a! perseguimento di tali obiettivi- alla violazione del dovere di buona fede di cui all’art. 10 legge n. 212/2000 -che si riflette invece nella “lealtà e trasparenza” che deve connotare lo svolgimento dei rapporti tra contribuente e Fisco, e che impone a quest’ultimo di evitare azioni amministrative che producano effetti decettivi o tali da ingenerare falsi affidamenti nelle condotte esigibili dai contribuenti-, e da tale equiparazione intende fare discendere la tutela di un legittimo affidamento sull’ “acquisto del diritto” alla esenzione.
A tal fine occorre considerare che oggetto della controversia di merito era l’accertamento del diritto della società contribuente alla esenzione decennale IRPEG ed ILOR, e la consolidata giurisprudenza di legittimità esclude qualsiasi rilevanza costitutiva di tale diritto alla eventuale adozione di provvedimenti amministrativi da parte della Amministrazione finanziaria atteso che le norme sulle esenzione decennale IRPEG ed ILOR ”’integrano benefici direttamente accordati dalla legge e competono quindi indipendentemente da apposite istanze del contribuente da inserirsi nella dichiarazione annuale o da altre iniziative in sede amministrativa , e senza necessità di provvedimenti di tipo ricognitivo o concessorio dell’Amministrazione finanziaria” (cfr. Corte cass. V sez. 26.4.2004 n. 7943), con la conseguenza che, come nel caso di specie, tali benefici possono essere fatti valere direttamente avanti il Giudice tributario impugnando l’atto tributario emesso dalla Amministrazione finanziaria che esplicitamente od implicitamente li escluda, ovvero dell’atto che disponga il pagamento delle imposte o neghi il rimborso delle imposte versate, gravando in ogni caso sul contribuente che afferma il diritto alla esenzione l’onere della prova dei fatti costitutivi del medesimo (cfr. Corte cass. V sez. 31.3.2008 n. 8219).
Tanto è sufficiente a privare di pregio l’argomento della parte ricorrente secondo cui la mera inerzia imputabile alla PA, venendo a configurare violazione dei doveri di cui all’art. 10 della legge n. 212/2000, avrebbe determinato il riconoscimento del diritto alla esenzione o comunque una sorta di consolidamento della situazione giuridica di vantaggio del contribuente: esclusa per le ragioni anzidette efficacia costitutiva del diritto ad un eventuale provvedimento ricognitivo della Amministrazione finanziaria, e corrispondentemente esclusa analoga efficacia costitutiva (in assenza di una specifica previsione legislativa della fattispecie del cd. “silenzio-assenso”) alla inerzia protratta dalla medesima Amministrazione sulla istanza presentata dal contribuente, osserva il Collegio che la consumazione/decadenza del potere di “revoca” del beneficio (erroneamente ipotizzato come tale nel motivo di ricorso: se non vi è provvedimento attributivo del diritto, non può infatti concepirsi neppure un “contrarius actus” qual è la revoca), deve essere accertata dal Giudice di merito -ove sia stata ritualmente eccepita dal contribuente- con riferimento, non all’eventuale provvedimento con il quale l’Amministrazione si limita in via generale a contestare i presupposti di legge per la fruizione delle agevolazioni, quanto piuttosto in relazione al tempestivo esercizio della potestà impositiva (idest con riferimento alla specifica pretesa tributaria avente ad oggetto il pagamento dell’IRPEG e dell’ILOR).
L’esercizio del potere impositivo è, infatti, scandito dai termini di decadenza stabiliti dalle norme tributarie per la esecuzione dei controlli sulle dichiarazioni fiscali che l’Amministrazione -anche se silente sulla verifica dei presupposti legali di esenzione- è legittimata ed anzi tenuta a compiere in relazione a ciascun anno di imposta ricadente nel periodo in cui la società contribuente afferma di fruire della esenzione, con la conseguenza che la omessa tempestiva emissione degli avvisi dell’accertamento di ufficio (in caso di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi) ovvero in rettifica (nel caso di maggiori imposte dovute rispetto a quelle risultanti dalla dichiarazione), sul presupposto della non spettanza della esenzione, preclude alla Amministrazione finanziaria di far valere il credito tributario relativo agli anni per i quali è incorsa in decadenza, ma non anche di contestare il diritto alla esenzione e di richiedere il versamento delle relative imposte per gli anni in cui tale decadenza non si è compiuta.
4, Con il quinto motivo il Fallimento censura la sentenza di appello per violazione dell’art. 10 legge n. 212/200 e dell’art. 2697 c.c. nonché per vizio motivazionale.
Scarsamente perspicuo il riferimento al principio di buona fede (non è chiaro se dalla asserita violazione del dovere di buona fede da parte della Amministrazione finanziaria, la parte ricorrente intenda derivare la inversione dell’onere probatorio in ordine alla sussistenza dei presupposti della esenzione fiscale), la esposizione del motivo si incentra sulla erronea valutazione delle prove da parte del Giudice di appello.
Tuttavia il Fallimento si dilunga sulla nozione legale di “novità della iniziativa” (da inferirsi mediante verifica di tutti gli ordinari fattori aziendali e non solo del livello occupazionale) e sullo scopo della legge (incentivo della imprenditoria nelle zone depresse del Mezzogiorno), che impone di individuare il “dies a quo” della esenzione, non in relazione al concreto inizio dell’attività d’impresa, ma al momento in cui viene ad essere prodotto il reddito positivo, senza tuttavia specificare in che modo le “dichiarazioni annuali ed i “bilanci della società” (dei quali neppure è specificato l’anno, né è riferito il risultato contabile -positivo o negativo-) che si afferma “debitamente prodotti in giudizio” (senza tuttavia alcun riferimento alla fase ed alle modalità processuali attraverso le quali tali documenti sarebbero stati ritualmente acquisiti all’esame dei Giudici di merito), avrebbero contraddetto la valutazione probatoria compiuta dalla CTR in quanto idonei a fornire la prova dei requisiti di cui agli artt. 101 e 105 del TU n. 218/1978 ed in particolare dell’effettivo svolgimento della iniziativa produttiva durante il periodo decennale di esenzione.
5. Con il sesto ed ultimo motivo, il Fallimento ricorrente denuncia la violazione dell’art. 7 legge n. 212/2000 nonché insufficiente motivazione in ordine alla questione concernente la nullità del provvedimento di diniego della esenzione in quanto motivato “per relationem” al verbale di sopralluogo ma notificato al contribuente senza tale allegato.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato, non essendo dato verificare alla stregua dei fatti esposti dalla parte ricorrente -ed in assenza di trascrizione del contenuto del provvedimento dì diniego- sia la congruità della censura rispetto alla statuizione della sentenza impugnata, sia la effettiva rilevanza che il documento richiamato riveste nella indicazione dei “presupposti di fatto e delle ragioni di diritto” posti a fondamento del provvedimento impugnato (cfr. Corte cass. V sez. 19.1.2010 n. 729 secondo cui “l’avviso di accertamento contenente nella sua giustificazione il riferimento ad atti procedimentali propri della fase istruttoria, ma dotato di una motivazione strutturalmente indipendente da essi, è validamente notificato al contribuente anche senza l’allegazione degli atti menzionati”), non essendo dato in conseguenza verificare l’eventuale pregiudizio arrecato al diritto di difesa della società contribuente, pregiudizio nella specie neppure allegato e che non pare sussistente, tenuto conto che il Fallimento è stato in grado -come rilevato dalla CTR campana- di svolgere compiutamente la propria difesa impugnando nel merito il provvedimento di diniego (cfr. Corte cass. SU 14.5.2010 n. 11722 secondo cui il difetto di motivazione dell’atto impositivo, che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione senza indicarne ì relativi estremi di notificazione o di pubblicazione, non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorché tale atto impositivo sia stato impugnato dal contribuente il quale abbia dimostrato in tal modo di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati, ma abbia omesso di allegare e specificamente provare quale sia stato in concreto il pregiudizio che il vizio dell’atto abbia determinato al suo diritto di difesa). Come ripetutamente affermato da questa Corte, l’obbligo di allegazione dell’atto richiamato “per relationem” trova, infatti, limite nella stessa ragionevolezza della norma, dovendo ribadirsi che “in tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma I, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cosiddetto Statuto del contribuente), nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non intende certo riferirsi ad atti di cui il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione; infatti, un’interpretazione puramente formalistica si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia loro propria, limitando al massimo le cause d’invalidità o d’inammissibilità chiaramente irragionevoli (cfr. Corte cass. V sez. 2.7.2008 n. 18073). Ne consegue che la funzione dell’obbligo di allegazione viene meno le volte in cui ” la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione” (cfr. Corte cass. V sez. 18.12.2009 n. 26683).
6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione, in favore della Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
– dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e delle Finanze;
– rigetta il ricorso proposto nei confronti della Agenzia delle Entrate e condanna il Fallimento Industrie B. s.p.a. alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in € 6.500,00 per compensi professionali oltre le spese prenotate a debito.
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