CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2013, n. 20935
Tributi – Dazi e diritti doganali – Tariffa – Regime preferenziale – Importazione di prodotti lattiero-caseari – Prelievi agricoli preferenziali – Applicazione – Condizioni – Presentazione del certificato IMA compilato in violazione delle istruzioni – Conseguenze – Perdita – Trattamento preferenziale
Svolgimento del processo
A seguito dell’acquisizione degli atti di un’indagine penale svolta dalla G.d.F. di Milano, l’Agenzia della Dogana (…) di Como notificava alla società V.I. soc. coop. a r.l. (di seguito V.) un avviso di rettifica di accertamento nr. 21299 del 4/5/2004 per il recupero dei prelievi agricoli evasi, iva ed interessi, in relazione alle bollette doganali emesse negli anni 1992,1993 e 1994, con le quali la società aveva importato in Italia formaggi di origine svizzera, beneficiando del pagamento di un prelievo agricolo preferenziale, ridotto rispetto a quello intero, sulla scorta del certificato modello IMA l’attestante il rispetto delle condizioni previste dalla normativa comunitaria per il riconoscimento del trattamento preferenziale.
Il predetto modello IMA l’allegato alle bollette doganali per l’importazione di formaggi nel periodo 1992-1994, conteneva una clausola secondo la quale per i prodotti designati non potevano essere concessi all’acquirente sconti o premi o qualsiasi altra forma di riduzione avente come conseguenza un valore inferiore a quello minimo fissato dall’importazione per il prodotto in questione. In violazione della suddetta clausola la G.d.F. di Milano accertava invece che in epoca successiva agli sdoganamenti erano state accreditate alla ditta importatrice somme riferibili alle operazioni di importazione a titolo di abbuoni, premi, sconti e bonifici che, complessivamente, avevano decurtato il prezzo formalmente esposto in fattura e dichiarato in dogana al di sotto di quello del valore soglia previsto dalla normativa comunitaria.
La società importatrice presentava ricorso alla Commissione Tributaria provinciale di Como la quale con sentenza nr. 17/05/05 accoglieva il ricorso annullando l’atto impugnato emesso nei confronti della società sul presupposto dell’invalidità della clausola contenuta nel certificato IMA/1.
Su ricorso in appello proposto dalla Agenzia delle Dogane, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza nr. 25/22/07 depositata in data 20/4/2007, confermava la sentenza di primo grado. Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Dogane con cinque motivi ed ha resistito la V. con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente Agenzia delle Dogane lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 163, 183, 189 cpc e 18, 21 e 24 d. Igs. 31/12/1992 n. 546 in relazione all’art. 360 n. 4 cpc in quanto la CTR ha fondato la sua decisione sulla invalidità della clausola contenuta nel modello IMA 1 pronunciando ultra petita, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto nessuno dei motivi di opposizione della società importatrice concernevano la validità della clausola contenuta nel certificato IMA/1 e dell’impegno assunto. Il motivo proposto è infondato. Infatti questa Corte, pronunciandosi su fattispecie analoga ha affermato che “L’art. 12, comma secondo, della legge 28 dicembre 2001 n. 448 che ha sostituito l’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel riconoscere al giudice tributario il potere di risolvere in via incidentale questioni devolute ad altra giurisdizione (quali la nullità di un negozio giuridico), indipendentemente da un’espressa domanda di parte, ha natura meramente esplicativa di una regola generale già esistente nell’ordinamento. Il processo tributario, inoltre, pur avendo ad oggetto un rapporto che vede il contribuente nella veste di soggetto passivo, trae origine da un’azione costitutiva, volta all’annullamento di un atto autoritativo, il cui esercizio da parte del contribuente non fa assumere all’Amministrazione finanziaria la qualità di attrice in senso sostanziale, non essendo dovuta a tale qualità, ma ai principi costituzionali che escludono la c.d. presunzione di legittimità dell’atto amministrativo, l’imposizione a suo carico dell’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria. Ne consegue che il carattere impugnatorio del processo, comportando l’identificazione del “petitum” e della “causa petendi” con la domanda ed i motivi del ricorso, non esclude il potere del giudice di rilevare d’ufficio eventuali cause di nullità di contratti, la cui validità ed opponibilità all’Amministrazione abbia costituito oggetto dell’attività assertori a del ricorrente( Sez. 5, Sentenza n. 20398 del 21/10/2005).
2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dei Regolamenti CEE n. 1767/82 e 222/88 in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, in quanto la CTR, nel rigettare l’appello dell’Ufficio, ha Finito per riconoscere alla società importatrice trattamenti agevolati non spettanti, in violazione dei Regolamenti Comunitari sopra citati, che disciplinano la materia e prevedono la clausola dichiarata invalida come facente parte del contenuto necessario del certificato IMA/1 ai fini del riconoscimento del trattamento preferenziale. Il motivo è fondato e deve essere accolto. In tema di tributi doganali, la disciplina del Regolamento CEE n. 1767/1982 della Commissione in data 1 luglio 1982, applicabile “ratione temporis” subordina la concessione del regime preferenziale in favore dell’importatore alla presentazione, al momento dello sdoganamento dei beni, del certificato IMA l’e la compilazione di questo in conformità delle istruzioni enunciate negli allegati al citato Regolamento costituisce, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE dell’11 giugno 1998 in C-41/97, condizione per il riconoscimento del beneficio. Ne consegue che, dovendo il certificato IMA 1 tra l’altro attestare la non inferiorità del prezzo delle merci franco frontiera alla “soglia” fissata dai regolamenti e contenere la dichiarazione dell’importatore in ordine alla mancata concessione, presente o futura, di sconti, premi o altre forme di riduzione che possano determinare un valore inferiore a quello minimo fissato all’importazione per i prodotti interessati, l’accertato godimento di sconti, premi o riduzioni produttive degli effetti appena precisati determina la non corrispondenza del medesimo certificato alle istruzioni enunciate nel Regolamento CEE n. 1767/1982 e, quindi, la perdita del trattamento preferenziale.(Sez. 5, Sentenza n. 5385 del 04/04/2012).
3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione degli artt. 112 e 346 cpc in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 4 cpc in quanto la CTR ha pronunciato in ordine al motivo di opposizione formulato dalla società importatrice nell’originario ricorso davanti alla CTP, relativo all’annullamento in via di autotutela di un precedente avviso di pagamento poi sostituito dall’atto impugnato nonostante il principio ne bis in idem, sebbene tale eccezione non fosse stata oggetto di pronuncia da parte della Commissione di primo grado e non fosse stata ritualmente riproposta all’esame della Commissione di secondo grado, contravvenendo così al disposto dell’art. 346 cpc. Il motivo proposto appare infondato in quanto, al contrario,la V., nell’atto di controdeduzioni in appello, ha chiesto espressamente di esaminare i motivi di impugnazione proposti in primo grado e non esaminati in quanto assorbiti dalla decisione favorevole.
4. Il quarto motivo di ricorso riguarda la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 – quater d.l. 30/9/1994 n. 564 convertito in legge 30/11/1994 n. 656, dell’art. 84 DPR 23/1/73 n. 43 dell’art. 11 d.lgs 8/11/1990 n. 374 ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cpc, in quanto la CTR ha ritenuto che l’annullamento in via di autotutela di un precedente avviso di pagamento del 30/5/2001 non consentiva il nuovo accertamento all’esito del quale era stato emesso l’avviso di rettifica impugnato, stante il principio del ne bis in idem. Il motivo è fondato in quanto in tema di accertamento tributario, è legittimo il comportamento dell’amminstirazione finanziaria che annulli un avviso di accertamento, già notificato al contribuente e, nell’esercizio del potere generale di autotutela, lo sostituisca con un nuovo avviso. La giurisprudenza di questa Corte appare infatti concorde nell’affermare “Il potere di autotutela tributaria, che si esprime in quello di annullamento d’ufficio dell’atto, ha come presupposto temporale, da un lato, la mancata formazione del giudicato sull’accertamento emesso dall’amministrazione (d.P.R. 27 marzo 1992, n. 287), e da un altro, la mancata scadenza del termine decadenziale fissato per l’esercizio del potere di accertamento tributario dalle singole leggi d’imposta (Nella specie, è stato ritenuto legittimo, l’esercizio del potere di annullamento del primo avviso di accertamento dell’amministrazione, sostituito, nel rispetto dei due presupposti indicati, da un nuovo accertamento dell’imposta in esame). (Sez. 5, Sentenza n. 2531 del 22/02/2002).
5. Il quinto motivo (…) di (…) riguardante l’insufficiente motivazione su punti controversi e decisivi in relazione all’art. 360 n. 5 cpc, rimane assorbito dall’accoglimento del secondo e quarto motivo.
6. Per quanto sopra il ricorso proposto è fondato e deve essere accolto in relazione ai motivi due e quattro, assorbito il quinto, con condanna alle spese del soccombente e compensazione tra le parti delle spese del giudizio di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso proposto in relazione ai motivi due e quattro, assorbito il quinto, cassa la sentenza e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo. Condanna V.I. soc.coop.a r.l. al pagamento delle spese del giudizio a favore di Agenzia delle Dogane che si liquidano in € 7.000,00 oltre s.p.ad. Compensa tra le parti le spese del giudizio di merito.
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