CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2013, n. 20938

Tributi – Dazi e diritti doganali – Sanzioni – Atto di contestazione – Operazione di importazione – Accertamento divenuto definitivo – Revisione – Art. 11, D.Lgs. n. 374 del 1990 – Avviso di contestazione e di effettiva irrogazione delle sanzioni – Notifica – Mancato rispetto del termine triennale – Conseguenze – Decadenza

Fatto

F. s.r.l. importò urea di origine russa con bolletta d’importazione in relazione alla quale l’ufficio aveva provveduto in data 10 aprile 2000 alla liquidazione dei diritti doganali, con accertamento divenuto definitivo in tale data.

Successivamente l’ufficio promosse una revisione dell’accertamento e notificò dapprima, in data 22 febbraio 2003, l’avviso di accertamento numero 348/03 e poi, in data 16 febbraio 2004, Fatto n. 2/2004, d’irrogazione delle sanzioni amministrative conseguenti all’accertamento in rettifica.

La società impugnò entrambi gli avvisi e la commissione tributaria provinciale di Palermo respinse i ricorsi.

La commissione tributaria regionale con la sentenza impugnata ha confermato la sentenza di primo grado, rilevando che la notifica dell’avviso di accertamento in rettifica è stata compiuta entro il termine triennale previsto dalla legge e che soltanto successivamente l’ufficio ha notificato l’invito al pagamento della sanzione, in quanto la società «non aveva provveduto al pagamento di quanto le era stato legittimamente contestato»; ha poi rimarcato che era evidente il proposito della società di evadere il pagamento del dazio antidumping, in considerazione del collegamento esistente tra la venditrice M. T. s.a.s. e l’importatrice F. s.r.l., rilevante ai fini della determinazione del valore doganale delle merci, a norma dell’articolo 29, 1° comma, lettera d) del regolamento comunitario 12 ottobre 1992, numero 2913.

Ricorre la società per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso a due motivi. L’agenzia delle dogane resiste con controricorso, mentre non spiega difese la circoscrizione doganale di Palermo dell’agenzia.

Diritto

1. – Col primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360,1° co., n. 3, c.p.c., la società lamenta, quanto all’atto numero 212004 d} irrogazione delle sanzioni la violazione e falsa applicazione degli articoli 16 e 20 del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472 nonché degli articoli 11 e 9 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374.

Denuncia al riguardo che il precedente avviso di accertamento in rettifica non ha irrogato alcuna sanzione, limitandosi a prospettare l’applicabilità del 3° comma dell’articolo 303 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, numero 43 e che l’avviso d’irrogazione delle sanzioni previste in caso di configurabilità dell’illecito amministrativo previsto dall’articolo 303 dinanzi citato è stato notificato quando era ormai decorso il termine triennale all’uopo previsto. Formula il seguente quesito di diritto: «dica la Cassazione se l’atto di accertamento suppletivo e di rettifica numero 348/2003, in mancanza della quantificazione della sanzione, possa ritenersi atto idoneo alla interruzione del termine prescrizionale di cui all’art. 20 d.lgs. 18.12.1997 n. 472 e se conseguentemente quando l’atto di contestazione contenente la effettiva irrogazione e quantificazione della sanzione, viene notificato oltre i tre anni, la pretesa tributaria deve ritenersi estinta per prescrizione».

Il motivo è fondato e va accolto.

1.1. – In linea generale per le sanzioni, il 1° comma dell’articolo 20 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, numero 472, nel testo vigente ratione temporis stabilisce che Tatto di contestazione ovvero l’atto derogazione «…devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi».

Nel nostro caso, la contestazione della sanzione è conseguita al procedimento di revisione dell’accertamento, di guisa che il diverso termine applicabile è quello stabilito dall’articolo 11 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374, a norma del quale la revisione dell’accertamento è eseguita, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data in cui l’accertamento è divenuto definitivo.

1.2. – La definitività è ancorata, in base al 2° comma dell’articolo 9 del medesimo decreto da ultimo indicato, alla data in cui è apposta sulla bolletta d’importazione l’annotazione dell’ufficio concernente l’esito dei controlli della dichiarazione doganale; la norma trova riscontro nell’articolo 67 del regolamento CE del Consiglio 12 ottobre 1992, numero 2913, secondo cui «salvo disposizioni specifiche contrarie, la data da prendere in considerazione per l’applicazione di tutte le disposizioni che disciplinano il regime doganale per il quale le merci sono dichiarate è la data di accettazione della dichiarazione da parte dell’autorità doganale».

Nel caso in questione, dunque, secondo quanto emerge dagli atti, la definitività dell’atto di accertamento risale al 10 aprile 2000, là dove l’avviso di contestazione delle sanzioni è stato notificato nel febbraio 2004.

1.3. – Le norme citate dall’agenzia per contrastare questa ricostruzione anziché incrinarla, la confortano.

La controricorrente invoca:

– l’articolo 11, 8° comma, del decreto legislativo 8 novembre 1990, numero 374, il quale stabilisce che «divenuta definitiva la rettifica l’ufficio procede al recupero dei maggiori diritti dovuti dall’operatore ovvero promuove d’ufficio la procedura per il rimborso di quelli pagati in più. La rettifica dell’accertamento comporta, ove ne ricorrano gli estremi, la contestazione delle violazioni per le dichiarazioni infedeli o delle più gravi infrazioni eventualmente rilevate» e

– l’articolo 328 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, numero 43, a norma del quale «nei casi dì vertenza fra la dogana e l’operatore disciplinati dalle disposizioni del presente testo unico, alla contestazione delle contravvenzioni e degli illeciti amministrativi per infedeli dichiarazioni doganali può procedersi solo dopo che l’accertamento sia divenuto definitivo».

1.4. – Va anzitutto precisato che l’articolo 328, il quale riguarda giustappunto la contestazione degli illeciti amministrativi per dichiarazioni infedeli, in relazione ad uno dei quali è prevista la sanzione di cui si discute, si limita a fissare la regola in base alla quale la contestazione postula che l’accertamento divenga definitivo, qualora esso sia stato contestato (ossia, in base al tenore della norma, qualora in relazione ad esso sia stata instaurata una vertenza in base alle norme del decreto). Difatti, il decreto, agli articoli 65 e seguenti, si limita a regolare le contestazioni -e le loro modalità di soluzione in via amministrativa- che insorgano nel corso dell’accertamento.

1.5. – La norma per conseguenza non può interferire col regime della revisione dell’accertamento il quale, si è visto, implica, di contro, che l’accertamento sia divenuto definitivo: si veda, sul punto, Cass. 28 luglio 2010, n. 17602, secondo cui «in tema di controversie doganali, secondo il sistema normativo previsto dal d.leg. n. 374 del 1990 è da ritenere definitivo l’accertamento doganale contro cui siano stati presentati ricorsi amministrativi per la revisione, per la rettifica della revisione e per l’ulteriore verificazione della rettifica della revisione, anche se non sia ancora intervenuta la decisione amministrativa». La sentenza ha precisato che:

– è definitivo l’accertamento doganale che conclude il suo procedimento di formazione, di guisa che la definitività corrisponde alla perfezione;

– l’autorità doganale può procedere all’esecuzione della sua pretesa tributaria anche prima dell’esaurimento del procedimento di revisione o (come nella specie) prima della definitività della rettifica, anche allorché sia stata attivata controversia amministrativa per la risoluzione delle contestazioni alla revisione.

Per un verso, difatti, il ricorso amministrativo non costituisce una fase necessaria prima dell’introduzione del ricorso giurisdizionale (Corte di giustizia, 11 gennaio 2001 in C-1799, Kofisa), anche in base al principio comunitario fissato dall’articolo 244 del codice doganale comunitario, a norma del quale «la presentazione di un ricorso non sospende l’esecuzione della decisione contestata»; per altro verso, nell’ordinamento nazionale non è riscontrabile un diritto soggettivo del contribuente ad un previo procedimento amministrativo interno ed al compiuto svolgimento delle sue fasi, restando meramente eventuale l’instaurazione della controversia doganale e riservato all’operatore di adire sempre l’autorità giudiziaria per far valere in quella sede le proprie ragioni a garanzia di una tutela immediata della sfera dei propri diritti (in termini, Cass. 6 settembre 2006, n. 19193).

1.6. -Parimenti irrilevante è il riferimento all’8° comma dell’articolo 11 del decreto legislativo numero 374 del 1990, che richiede la definitività della rettifica ai fini della sua concreta esecuzione, mediante il recupero dei maggiori diritti dovuti dall’operatore.

1.7. – Il recupero dei maggiori diritti dovuti evoca la loro riscossione, alla quale si applica l’articolo 84 del decreto del presidente della Repubblica numero 43/1973 (decreto espressamente richiamato dall’articolo 3 del decreto legislativo numero 374 del 1990, intitolato alla «liquidazione e riscossione dei diritti e delle spese»), secondo cui «l’azione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali si prescrive nel termine di cinque anni» -termine successivamente ridotto a tre anni dall’articolo 29 della legge 29 dicembre 1990, numero 428. Il dies a quo di decorrenza per tale riscossione è dalla norma variamente fissato e nel nostro caso è ancorato alla «… d) …data in cui i diritti sono divenuti esigibili… », ossia, appunto, alla definitività della rettifica.

1.8. -Il secondo nucleo normativo dell’8° comma dell’articolo 11 del decreto legislativo 374 del 1990, secondo cui la rettifica dell’accertamento comporta la contestazione delle violazioni per le dichiarazioni infedeli, è autonomo per lettera e per ratio:

– è autonomo per lettera, in quanto, a differenza che nel primo caso, non richiede la definitività della rettifica;

– è autonomo per ratio, giacché non concerne la riscossione dei diritti immediatamente derivanti dalla rettifica, ma regola un altro capitolo dell’accertamento doganale, quello inerente alle violazioni ed alle più gravi infrazioni, che trovano nella rettifica soltanto il loro presupposto di fatto.

1.9. -Anche questa norma, dunque, non è destinata ad interferire nel procedimento d’irrogazione delle sanzioni.

1.10. – D’altronde, va rimarcato, il decreto legislativo 18 dicembre 1997, numero 472, volto a dettare «disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie», in attuazione dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante delega al Governo per l’emanazione di uno o più decreti legislativi per la revisione organica ed il completamento della disciplina delle sanzioni tributarie non penali, ha stabilito, con gli articoli 16 e 17, un procedimento unitario d’irrogazione delle sanzioni, con riferimento a tutti i tributi, abrogando le norme procedimentali contenute nelle singole leggi d’imposta (articolo 26, 1° comma, del decreto legislativo 472/1997). Non solo: l’articolo 10, 3° comma del decreto legislativo 18 dicembre 1997, numero 473 espressamente stabilisce che «i richiami all’articolo 15 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, presenti negli articoli 325, quarto comma, e 326, primo comma, primo periodo, del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni contenute nella disciplina generale sulle sanzioni amministrative per violazioni delle norme tributarie»; il che significa che il procedimento di applicazione e di contestazione delle sanzioni, in precedenza regolato dagli articoli 325 e 326 del decreto del presidente della Repubblica numero 43 del 1973, è disciplinato, a seguito della revisione del sistema sanzionatorio, dagli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, numero 472 (da ultimo, sia pure con riguardo alla disciplina sostanziale, nel senso che il decreto legislativo numero 471 del 1997 «detta una disciplina destinata a valere, in generale, per tutti i tributi», vedi Cass. 24 febbraio 2012, n. 2951).

1.11. -Anche sul piano sistematico dunque, argomentando dal sistema procedimentale delineato dal decreto legislativo numero 472 del 1997, è agevole rilevare che la contestazione e l’irrogazione della sanzione non postulano affatto la definitività dell’accertamento del tributo al quale la sanzione inerisce: ne sono chiare espressioni il procedimento di irrogazione immediata con atto complesso contenente l’avviso di accertamento o di rettifica del tributo nonché l’atto derogazione delle sanzioni (articolo 17, 1° comma) nonché, ancor di più, il procedimento d’irrogazione immediata mediante iscrizione a ruolo delle sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi (articolo 17, 3° comma).

1.12. -In questo contesto, è manifestamente irrilevante la circostanza che con l’avviso di accertamento dei maggiori diritti doganali l’ufficio abbia prospettato l’applicabilità ai fini sanzionatoti della violazione prevista dall’articolo 303 del decreto del presidente della Repubblica numero 43 del 1973. Per la specifica funzione che assolve, la decadenza non ammette interruzione né sospensione: essa non può essere impedita se non dal compimento dell’atto (ex articolo 2966 del codice civile), che, nel nostro caso, doveva tradursi nella contestazione o direttamente nell’irrogazione della sanzione, debitamente quantificata.

1.13. – Va dunque affermato il seguente principio di diritto: «In tema di controversie doganali, l’avviso di contestazione delle sanzioni per un illecito amministrativo che faccia seguito ad un avviso di rettifica emesso in esito a revisione dell’accertamento, dev’essere notificato entro il termine triennale di decadenza stabilito per procedere alla revisione».

1.14. -La sentenza va dunque cassata sul punto e, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la controversia va decisa nel merito, con l’accoglimento della corrispondente impugnazione originariamente proposta dalla contribuente.

2. Col secondo motivo di ricorso, anch’esso proposto ex articolo 360, Io comma, numero 3, c.p.c., la contribuente lamenta, in relazione all’avviso di accertamento dei maggiori diritti doganali, la violazione e falsa applicazione degli articoli 220 e 29 del codice doganale comunitario previsto dal regolamento del consiglio dell’Unione europea 12 ottobre 1992, n. 2913. Invoca in particolare l’esimente stabilita dall’articolo 220 del codice doganale comunitario, in quanto l’agenzia delle dogane disponeva sin dal compimento dell’operazione doganale di tutti gli elementi necessari alla corretta determinazione dei diritti doganali; in particolare, sottolinea, all’ufficio doganale era ben noto che la società inglese General Chemical Corporation aveva venduto la merce per 104 $ per tonnellata a s.a.s. M. T., che quest’ultima l’ha rivenduta a s.r.l. F. per euro 116,202 per tonnellata e che M. Gandolfo e M. T., entrambi soci di F. s.r.l. e di M. T. s.a.s., sono fratelli.

Formula il seguente quesito di diritto: «dica la Cassazione se, a fronte di una oggettiva conoscenza dei rapporti di collegamento sopra enunciati, la mancata contestazione -al momento delle operazioni di sdoganamento- di maggiori diritti doganali dovuti configuri la esimente di cui all’articolo 220 del codice doganale comunitario di cui al regolamento Consiglio Ue 12,10 1992 n. 2913 nonché la improcedibilità della contabilizzazione a posteriori dei maggiori oneri doganali in seguito ad errore dell’autorità doganale».

2.1. – Il motivo, pur essendo ammissibile, in quanto l’affermazione contenuta in sentenza della legittimità della contabilizzazione a posteriori postula necessariamente l’insussistenza di esimenti, è infondato.

La Corte ha già avuto occasione di rimarcare che, in tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’artico 220, 2° comma, lettera b), del Regolamento CEE n. 2913 del 1992, ai fini dell’esenzione della contabilizzazione a posteriori, non ha valenza esimente in re ipsa, ma solo in quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, che, per assumere rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile a comportamento attivo delle autorità doganali (Cass. 16 maggio 2012, n. 7674; Cass. 7 marzo 2012, n. 7531; Cass. 31 marzo 2010, n. 7837).

2.2. – Ed anche la Corte di giustizia ha ripetutamente sottolineato che la deroga al recupero a posteriori prevista dall’articolo 220, numero 2, lettera b), del codice doganale postula l’errore delle autorità competenti, la sua ragionevole riconoscibilità e l’osservanza da parte del debitore di tutte le prescrizioni della normativa in vigore (Corte di giustizia 14 maggio 1996, C-153/94, C-204/94, Faroe Seafood ed altri, punto 83: Corte di giustizia 3 marzo 2005, causa C- 499/03. Biegi Nahrungsmittel, punto 46; Corte di giustizia 18 ottobre 2007, C- 173/06, Agrover, punto 30; Corte di giustizia 15 dicembre 2011, C-409/10, Afasia Knits, punto 47).

2.3. – Nel nostro caso, è indubbio -e, comunque, non è contestato- che l’accertamento definitivo oggetto di revisione sia avvenuto in base alle dichiarazioni contenute nella bolletta d’importazione presentata in dogana, in base, dunque, agli elementi fomiti dalla società contribuente. E risulta altresì accertato in sentenza che il legame tra le due società abbia influito sul prezzo, rendendo il valore della transazione inaccettabile ai sensi dell’articolo 29 del regolamento doganale comunitario.

2.4. – Non è allora ravvisabile un errore incolpevole della società dovuto ad un comportamento attivo dell’amministrazione, sebbene, al contrario, un errore dell’amministrazione dovuto alla condotta della società.

2.5. – Va considerato, al riguardo che l’articolo 71 del codice doganale comunitario stabilisce che «i risultati della verifica della dichiarazione servono di base per l’applicazione delle disposizioni che regolano il regime doganale al quale le merci sono vincolate. Quando non si proceda alla verifica della dichiarazione, l’applicazione delle disposizioni di cui al paragrafo 1 viene effettuata in base alle dichiarazioni figuranti nella dichiarazione».

2.6. -Le prescrizioni del codice, alla luce del suo sesto considerando («considerando che, tenuto conto della grande importanza che il commercio esterno ha per la Comunità, occorre sopprimere o per lo meno limitare, per quanto possibile, le formalità e i controlli doganali»), vanno interpretate nel senso che, per un verso, «il sistema appena descritto, il quale non prevede che le dichiarazioni in dogana siano sistematicamente sottoposte a verifica, presuppone che il dichiarante fornisca all’autorità doganale informazioni esatte e complete» (Corte di giustizia, 15 settembre 2011, G-138/10, DP Group EOOD, punto 38) e, per l’altro, «…al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana, Vautorità suddetta non si pronuncia sull’esattezza delle informazioni fornite dal dichiarante, di cui quest’ultimo si assume la responsabilità» (punto 39 della medesima sentenza).

2.7. – Nel nostro caso, allora, è del tutto irrilevante la condotta pregressa dell’autorità doganale; ed irrilevante sarebbe altresì la «conoscenza dei rapporti di collegamento», se effettivamente riscontrabile: si consideri che, in ricorso, la società non deduce di aver allegato l’esistenza del collegamento, ma si limita ad asserire che la circostanza doveva essere nota all’ufficio, in considerazione del dato che «…circa il 40% delle operazioni che impegnano il predetto ufficio riguardano proprio le predette società… ».

Di qui l’esclusione dell’opreratività dell’esimente invocata.

Questo motivo va in conseguenza respinto.

3. – L’esito complessivo del giudizio comporta la compensazione di tutte le voci di spesa. Nulla per le spese in relazione alla parte non costituita.

 

P.Q.M.

 

-accoglie il primo motivo di ricorso;

-cassa sul punto la sentenza impugnata e7 decidendo nel merito, accoglie la corrispondente impugnazione originariamente proposta dalla società ricorrente; -rigetta il secondo motivo di ricorso;

-compensa tutte le voci di spesa.