CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2013, n. 20977
Tributi – IVA – Associazione in partecipazione – Detraibilità dell’imposta – Esclusione
Svolgimento del processo
1. Il nucleo di polizia tributaria del Piemonte sottoponeva a verifica le attività della Gestioni finanziarie e immobiliari G. s.p.a. – società operativa nel settore edilizio ed immobiliare – per gli anni dal 2002 al 2004 e redigeva, all’esito, un p.v.c. sulla cui base l’Ufficio emetteva a carico della società, per quel che qui interessa, l’avviso di accertamento n. R31 03T201 627/2006 procedendo alla ripresa a tassazione, per l’anno 2001, di IVA ed irrogando altresì le sanzioni per le violazioni accertate.
2. La contestazione ha riguardato, in particolare: a) l’erroneità delle operazioni di addebito ai clienti, senza previsione dell’IVA ai sensi dell’art. 15 dpr n.633/72, dell’ICI pagata dalla società sugli immobili per il periodo intercorrente tra la consegna degli immobili e l’epoca del rogito e di riaddebito, anch’essi senza IVA, a società cooperative promissarie acquirenti di un’area edificabile, nel periodo intercorso fra la data pattuita nel preliminare e quella della stipula dei contratti definitivi di compravendita; b) l’indebita detrazione dell’IVA operata dalla società sugli utili corrisposti dalla società agli associati in partecipazione che avevano effettuato nell’anno 2002 conferimenti in denaro.
3. La società contribuente e l’Agenzia delle Entrate proponevano ricorso innanzi alla CTP di Torino che confermava la legittimità della pretesa fiscale ad eccezione delle sanzioni irrogate per l’indebito recupero dell’IVA applicata sui compensi agli associati in partecipazione.
4. La società contribuente e l’Agenzia delle Entrate proponevano rispettivamente appello principale ed appello incidentale innanzi alla CTR del Piemonte, la quale confermava integralmente la sentenza impugnata, rigettando i gravami proposti con sentenza pubblicata il 30 settembre 2011 n. 64/31/11.
4.1 Secondo la CTR il primo giudice aveva correttamente considerato che ai fini della contabilizzazione regolata dall’art. 75 comma 2 lett. a) dpr n. 917/87 andava considerato il momento della stipulazione dei contratti di locazione immobiliare con clausola di trasferimento della proprietà del bene locato “vincolante per entrambe le parti”, non rilevando che il passaggio del dominio fosse successivo. Tale conclusione sarebbe stata comunque corretta, anche a volere considerare l’esistenza di un collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita, proprio in relazione alla causa in concreto perseguita dalle parti, sovrapponibile a quella risultante dall’inquadramento dell’intesa nell’alveo della locazione con clausola di trasferimento della proprietà.
4.2 Quanto alla seconda questione addebito ICI a carico del promissario acquirente – la CTR osservava che, essendo il proprietario il soggetto tenuto al pagamento del tributo locale anzidetto, l’attività posta in essere dalla società aveva natura sostanziale di corrispettivo dovuto per la vendita ed andava, pertanto, assoggettato all’IVA, ciò trovando conferma nella giurisprudenza delle S.U. di questa Corte in tema di detenzione (e non di possesso) del promissario acquirente.
Aggiungeva, quanto alla richiesta di restituzione dell’IVA erroneamente versata che andava condiviso l’insegnamento espresso da Cass. n. 4419/2003 e da Cass. n. 6419/2003.
Evidenziava, infine, che l’appello incidentale dell’Ufficio teso ad ottenere la revoca della ritenuta inapplicabilità delle sanzioni ex art. 10 c. 3 l. n. 212/2000 era infondato, ricorrendo un caso di obiettiva incertezza, dimostrata dalla richiesta di chiarimenti sollecitata dagli ispettori compartimentali sollevata nel 1983 proprio al fine di sollecitare un chiarimento a livello legislativo.
5. La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso. La società contribuente ha depositato memoria ed ulteriori note scritte all’esito dell’udienza.
Motivi della decisione
6. Con il primo motivo la società contribuente ha dedotto la violazione degli artt.1,3 e 19 dpr n. 633/72, nonché l’omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c.
6.1 Lamenta che la CTR, esprimendo considerazioni relative a giudizi diversi da quelli posti al suo vaglio, aveva fornito inadeguata e contraddittoria motivazione sulla questione relativa alla detraibilità dell’ IVA corrisposta, ai sensi degli artt 1 e 3 del DPR n. 633/72, sugli utili riconosciuti agli associati in partecipazione, richiamando precedenti giurisprudenziali di questa Corte non conducenti. Aggiunge che la questione doveva essere definita considerando il contratto di associazione in partecipazione come rapporto di scambio sinallagmatico. Nemmeno poteva ritenersi che non si era, nel caso di specie, in presenza di una prestazione di servizi ma di una cessione di beni, dovendo gli importi essere restituiti al termini del rapporto, per tal motivo inquadrandosi tra le prestazioni di servizio alla stregua dell’art. 3 dpr n. 633/72, al pari delle somme versate a mutuo.
7. L’Agenzia delle Entrate ha dedotto l’inammissibilità della censura quanto al prospettato vizio di motivazione, mancando un giudizio sul fatto. Ha, invece, sostenuto l’infondatezza nel merito del vizio, in quanto gli apporti in denaro erano da considerare a tutti gli effetti cessioni di beni, non potendo in alcun modo assimilarsi alle somme messe a disposizione del mutuante per un certo tempo. Conclusione, quest’ultima, che non poteva mutare anche inquadrando il contratto in esame nei rapporti di scambio.
8. La censura è sotto ogni profilo infondata, dovendosi integrare la motivazione, corretta nel dispositivo, alla stregua dell’art. 384 ult. comma cpc.
8.1 Ancorché non si rinvenga in tema di IVA una precisa disposizione che disciplini il tema in esame ai fini del detto tributo, come correttamente dedotto dalla società contribuente, la questione relativa alla natura del contratto di associazione in partecipazione assume rilevanza centrale ai fini della questione prospettata dalla parte ricorrente, se è vero che se si propende per la natura associativa – e non di scambio – del contratto, gli utili corrisposti all’associato non sarebbero mai sottoposti ad IVA, non potendosi considerare corrispettivi dell’obbligazione assunta.
8.2 Tale questione è stata affrontata – unitamente a quella dell’imponibilità o meno degli utili riconosciuti agli associati che hanno conferito prestazioni di servizio – cd. apporto di servizi – in maniera analitica da questa Corte che, dando continuità all’indirizzo espresso dalla Commissione tributaria centrale 18 aprile 1996 n. 1806, nella sentenza n. 6466/98, ha espresso i seguenti principi:”… il contratto di cui all’art. 2549 cod. civ. con il quale una parte attribuisce all’altra una quota degli utili d’impresa dietro un determinato apporto, è costitutivo di un’associazione, inquadrabile nell’istituto di cui agli artt. 14 e segg. cod. civ.; il dato testuale, cioè l’esplicita definizione del rapporto come “associazione”, trova conferma nella natura sostanziale del rapporto stesso, implicante un .vincolo dì collaborazione fra soggetti, sia pure con impegni e compiti differenti, in vista di una finalità comune e sulla scorta di una convergenza (non contrapposizione) di interessi. L’apporto dell’associato, cioè il bene che trasferisce all’assodante ed il servizio che si impegna a svolgere in suo favore, ha quindi natura di conferimento in associazione. La devoluzione all’associato in partecipazione di una quota di utili, a titolo di remunerazione di quel conferimento, è equiparabile, sotto il profilo fiscale, alla distribuzione degli utili medesimi fra i soci; la diversità delle due situazioni, e, in particolare, l’estraneità dell’associato alla conduzione dell’impresa (cui invece concorre il socio mediante il voto nell’assemblea e l’esercizio di facoltà connesse) non interferiscono infatti sulla configurabilità in entrambi i casi di un investimento di capitale o d’opera, nella prospettiva di un proficuo esercizio d’impresa ed allo scopo di beneficiarne dei risultati economici. Una differenza di trattamento impositivo, a secondo che il percettore della quota di utili concorra o meno alle attività gestionali, non avrebbe basi giustificative, ed esporrebbe a dubbi di legittimità costituzionale le disposizioni che la prevedessero, dato che il fatto evidenziatore di capacità contributiva è rappresentato non dall’esercizio imprenditoriale, ma dal profitto di esso. Il corrispettivo dell’associato in partecipazione, inoltre, al pari di quello del socio è aleatorio, con riguardo sia all’an che al quantum, perché il relativo credito insorge se e quando si verifichi la produzione di utile. Con specifico riferimento all’IVA, va poi considerato che l’assunzione di tale utile, meramente eventuale al tempo della pattuizione nell’ambito di una normativa tributaria incentrata sull’identificazione a priori sia del fatto tassabile (la cessione di bene o servizio) che della base imponibile (il corrispettivo della cessione), anche in relazione ai complessi adempimenti posti a carico del contribuente, non può prescindere da un’espressa previsione, rivolta a stabilire l’assoggettamento ad imposta del rapporto nonostante l’iniziale incertezza circa il successivo determinarsi dell’imponibile. Nella disciplina del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 applicabile ratione temporis, cioè prima delle innovazione introdotte dal d.lgs. 2 settembre 1997 n. 313, mancano disposizioni nel senso indicato, ed anzi vi è un’esplicita regola di segno opposto: ai sensi dell’art. 2 terzo comma lett. e) e dell’art. 3 quarto comma lett. d) “non sono da considerarsi” cessione di beni o prestazioni di servizi tassabili i conferimenti in società od assicurazioni Tale esclusione dall’area dell’IVA comprende il conferimento dell’associato in partecipazione, alla luce di quanto sopra osservato sulla natura del contratto. Le menzionate modifiche (con effetti ex nunc e quindi non direttamente influenti nella presente causa) non autorizzano peraltro una diversa interpretazione delle norme anteriori. L’art. 1 del d.lgs. n. 313 del 1997, riformulando il terzo comma dell’art. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, ha soppresso la citata lett. e), ma ha ampliato la lett. b) con la riproposizione del principio della non debenza dell’IVA per le conferimento in società od associazione, sia pure circoscritta al caso in cui il conferimento stesso abbia ad oggetto aziende o rami di esse; non ha invece apportato varianti all’art. 3 sull’individuazione delle cessioni di servizi influenti al fini dell’IVA. La consistenza di dette modificazioni e la tecnica della loro formulazione confortano quanto sopra rilevato sulla necessità di specifiche disposizioni per applicare l’IVA rispetto al conferimento del socio o dell’associato (ancorché impostate a contrario con la delimitazione delle ipotesi non tassabili), nell’implicito presupposto che altrimenti il conferimento medesimo non rientra nella generale nozione della cessione di bene o di servizio di cui ai primi commi dei predetti artt. 2 e 3.”
8.3 Tale indirizzo, incidentalmente confermato da Cass. n. 4588/2010, ha trovato ulteriore consolidamento per effetto di Cass. n. 10283/2011.
8.4 Ora, questa Corte è consapevole del contrasto di base in ordine alla qualificazione giuridica dell’associazione in partecipazione esistente fra i precedenti appena evocati ed altro indirizzo che, fuori dalla materia fiscale, non sembra dubitare sul fatto che il contratto di associazione in partecipazione vada inquadrato nell’ambito di un negozio bilaterale che crea un singolo rapporto fra l’associato e l’assodante; e ciò senza che vi sia un vero scopo comune, né un patrimonio dell’associazione che non assurge neppure ad organismo, essendo l’apporto dell’associato – non paragonabile ad un conferimento – una dazione o prestazione unitaria (di natura patrimoniale o tecnica) in cambio di una controprestazione pur essa unitariamente considerata consistente nella partecipazione agli utili ed eventualmente alle perdite (Cass. 1420/2002; 13179/2010; Cass. n. 22521/2011, Cass. n. 13968/2011; Cass. n. 6757/2001.
8.5 Ma, a parte le critiche esposta da una parte della dottrina alla posizione espressa da questa Corte nel par. 8.2, quel che assume carattere tranciante nella vicenda qui all’esame è la circostanza che l’apporto conferito dagli associati fu pacificamente ed integralmente costituito da denaro.
8.6 Orbene, tale circostanza impedisce di potere configurare uno dei presupposti oggettivi che giustifica l’imponibilità ai fini IVA rappresentato, ai sensi dell’art. 2 comma 3 lett. a) d.p.r. n. 633/72, dall’essere in presenza di una cessione di beni. E poiché il conferimento di denaro non può essere assimilato ad una cessione di beni mancherebbe in radice, anche a condividere la sussumibilità del contratto nell’ambito dei rapporti di scambio, il nesso di corrispettività fra tale apporto e il successivo riconoscimento degli utili che dovrebbe porsi in termini di corrispettività rispetto all’iniziale messa a disposizione di capitale in denaro.
8.7 Né a diverse conclusioni può giungersi valorizzando l’inciso della motivazione del giudice di primo grado – riportata a pag.17 del ricorso, laddove quest’ultimo ha sostenuto che l’apporto in denaro sarebbe soggetto ad obbligo di restituzione all’associato ad affare concluso, quando è cessata la strumentalità dell’apporto dell’associato all’impresa dell’assodante, con conseguente assimilabilità, ai fini IVA, della vicenda a quella delle somme date a mutuo. Appare infatti idoneo a confutare la tesi della contribuente il fatto che l’apporto in denaro offerto dall’associato determina con certezza il trasferimento in proprietà del denaro, con la conseguenza che l’eventuale restituzione – ove concordata fra le parti – potrà avvenire considerando le perdite eventualmente maturate che possono, per legge, assorbire integralmente il valore del suo apporto(v. art. 2553 c.c. e, in giurisprudenza, Cass. n. 13179/2010). Il che finisce col rendere comunque improponibile l’assimilazione, ai fini dell’IVA, pure prospettata dalla società contribuente, fra apporto in denaro dell’associato e somme corrisposte a titolo di mutuo al mutuatario che la disciplina in tema di IVA qualifica espressamente come prestazioni di servizi art. 3 secondo comma n. 3 d.p.r. n. 633/72.
8.8 Sulla base di tali argomentazioni, che vanno ad integrare la motivazione della sentenza impugnata, corretta in diritto, la censura va disattesa.
9. Con il secondo motivo di ricorso la società contribuente ha prospettato la violazione dell’art. 19 dpr n. 633/72, anche in relazione all’art. 17 della dir. 1877/388 CEE e dell’art. 120 l. n. 212/2000, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. Sostiene, in via graduata rispetto alla prima doglianza, di avere comunque diritto alla detrazione dell’IVA applicata sugli utili in favore degli associati.
10. L’Agenzia ha chiesto il rigetto della censura.
11. La censura è infondata.
11.1 Ed invero, questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di IVA, – ai sensi dell’art. 19 del d.p.r. 633/1972, ed in conformità all’art. 17 della sesta direttiva del Consiglio CEE del 15 maggio 1977, n. 77/388/CEE – non è ammessa in ogni caso la detrazione dell’imposta pagata “a monte” per l’acquisto o l’importazione di beni o per conseguire la prestazione di servizi necessari all’impresa, atteso che, in base alla normativa citata, ai fini della detrazione, non è sufficiente che le dette operazioni attengano all’oggetto dell’impresa e siano fatturate, ma è, altresì, indispensabile che esse siano, a loro volta, assoggettabili all’IVA (cfr. Cass. n. 8059/2003; Cass. n. 12146/2009, Cass. n. 11110/03, Cass. 11110/03, 8959/03,12756/02, 8786/01, 7602/93).
Tale conclusione trova piena conferma nella giurisprudenza della Corte di Giustizia – sent. 13 dicembre 1989 in causa C-342/87, Genius Holding, p. 13, ove si è ritenuto che l’esercizio del diritto di detrazione è limitato soltanto alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’IVA o versate in quanto erano dovute. Indirizzo, quest’ultimo, ribadito nelle sentenze 19 settembre 2000, causa C-454/98, Schmeink & Cofreth e Strobel, punto 53, 6 novembre 2003, cause riunite da C-78/02 a C-80/02, Karageorgou e a, punto 50 e 15 marzo 2007, causa C-35,05, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH, p.23.
La censura va quindi rigettata.
12. Le spese relative al giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in favore dell’Agenzia come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società contribuente alle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 20.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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